Ultimo assalto a Gaza?
Mentre il conflitto a Gaza continua a mietere vittime civili, in Italia si stanno muovendo iniziative simboliche e concrete di solidarietà. Il caso più rilevante è quello di Riace, il piccolo comune calabrese noto per le sue politiche di accoglienza, guidato da Mimmo Lucano.
Riace e Gaza: un gemellaggio contro l’indifferenza
ufficializzato il 5 agosto 2025; Mimmo Lucano europarlamentare e sindaco di
Riace ha ufficialmente siglato un gemellaggio con la città di Gaza, in un gesto
definito “di solidarietà, memoria e umanità condivisa”. Ecco i punti salienti:
Firmatari: il sindaco, appunto, Mimmo Lucano e una cittadina
palestinese, Ranya Lana M.R. Alhaddad, sopravvissuta a un bombardamento in cui
ha perso 15 familiari, tra cui il figlio maggiore. Quel giorno, mentre la sua
casa era colpita, lei dava alla luce una bambina.
Lucano ha dichiarato che il gemellaggio è “un grido che
attraversa confini e macerie, un messaggio di pace che si oppone al silenzio e
all’indifferenza”. Durante la cerimonia, è stato eseguito un collegamento video
con il sindaco di Gaza City, Yahya Sarraj.
Un gesto che ispira altri comuni.
L’iniziativa di Riace ha già ispirato altre città italiane:
Civitavecchia ha proposto un gemellaggio con Gaza City,
sottolineando l’importanza di non restare indifferenti di fronte alla
sofferenza del popolo palestinese.
Lugo, in Emilia-Romagna, ha approvato una mozione per un gemellaggio con una città palestinese, come completamento del patto già esistente con una città israeliana.
In sintesi, mentre la guerra continua a devastare Gaza,
alcuni comuni italiani scelgono di rispondere con atti di fraternità e impegno
civile. Il gemellaggio tra Riace e Gaza non è solo un atto simbolico: è una
dichiarazione di umanità, un ponte tra popoli che condividono il desiderio di
pace.
Purtroppo sembra che questa forma di dissenso contro la
guerra e lo sterminio di un popolo non rientri tra le corde dell’irremovibile
assalitore: Netanyahu, nonostante Israele abbia dei servizi segreti di
altissima qualità, il capo indiscusso persiste nell’intimare l’assalto ultimo
alla città .
Israele è riconosciuto per avere uno dei servizi di
intelligence più sofisticati al mondo, con agenzie come il Mossad e lo Shin Bet
che vantano operazioni di altissimo livello. Tuttavia, la questione del conflitto
con Hamas nella Striscia di Gaza rimane una azione estremamente complessa e non
può essere risolta solo con il controspionaggio. Perlomeno questo dicono gli
analisti.
Perché Israele non riesce a “debellare” Hamas senza colpire
i civili? Si chiede il mondo davanti alle immagini cruente che arrivano dalla
striscia di Gaza.
Ecco alcune delle ragioni principali:
Hamas è radicato nel tessuto civile e non è solo un gruppo armato: è anche un partito politico e un'organizzazione sociale. I suoi combattenti si nascondono tra la popolazione civile, spesso in aree densamente popolate come Gaza City. Utilizza tunnel sotterranei e infrastrutture civili (ospedali, scuole) per proteggersi dai raid. Anche con intelligence avanzata, identificare con certezza la posizione dei leader o dei depositi di armi è difficile. Le operazioni mirate rischiano di fallire o causare danni collaterali, soprattutto in ambienti urbani. Queste le motivazioni addotte fino ad ora, anche se i fatti dicono il contrario.
Il piano approvato da Netanyahu prevede l’occupazione
militare di Gaza City, il disarmo di Hamas e la liberazione degli ostaggi.
Questo comporta operazioni su larga scala, con evacuazioni forzate e
bombardamenti, che inevitabilmente colpiscono soprattutto i civili.
L’esercito stesso ha espresso dubbi: il capo di stato
maggiore Eyal Zamir ha definito l’operazione “un buco nero” e teme per la sorte
degli ostaggi e per l’usura delle truppe.
Le Nazioni Unite e vari governi hanno condannato l’occupazione, definendola contraria al diritto internazionale. Israele è sotto pressione per trovare soluzioni che non causino ulteriori disastri umanitari.
In sintesi:
Israele potrebbe avere la capacità tecnica di colpire Hamas,
ma farlo senza coinvolgere i civili è quasi impossibile in un contesto urbano e
sociale come Gaza. La densità abitativa,
l’uso d’infrastrutture civili da parte di Hamas e la natura del conflitto
rendono ogni operazione militare un dilemma etico e strategico. Dilemma che Netanyahu
non si è per nulla preoccupato di risolvere pacificamente.
Le alternative diplomatiche al conflitto tra Israele e Hamas
sono complesse, ma esistono percorsi che potrebbero ridurre la violenza e
aprire la strada a una soluzione più stabile. Ecco le principali opzioni che
emergono dal dibattito internazionale:
Cessate il fuoco negoziato sconvolgendo mediatori come l’Egitto,
Qatar e Turchia, i quali, stanno esercitando pressioni su Hamas per tornare al
tavolo delle trattative.
Gli obiettivi immediati sono: la liberazione degli ostaggi,
la fine dei bombardamenti, l’accesso agli aiuti umanitari. Purtroppo la mancanza
di fiducia reciproca, e il rischio che Hamas usi il cessate il fuoco per riorganizzarsi
militarmente, è una realtà pagata a caro prezzo dai civili inermi.
La soluzione storica sarebbe quella dei due Stati. La creazione
di uno Stato palestinese accanto a Israele, basato sui confini del 1967. Questa
è la posizione ufficiale di ONU, UE e molti Stati arabi.
Gli ostacoli da rimuovere sono: gli insediamenti israeliani in Cisgiordania: il rifiuto di Hamas di riconoscere Israele come Stato; e la divisione interna tra Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).
L’Amministrazione civile alternativa a Hamas proposta da Netanyahu
dopo l’occupazione di Gaza, è, appunto di affidare la gestione del territorio a
un governo civile non ostile. Mentre l’ipotesi araba è di formare un comitato
di tecnocrati coordinato con l’ANP e supportato da una forza di pace internazionale.
Hamas considera questa opzione un “colpo di stato” e minaccia ritorsioni.
Gli accordi multilaterali regionali rivendicano un ruolo
delle monarchie del Golfo: Arabia Saudita, Emirati, Egitto e Giordania stanno
lavorando a una road map per la ricostruzione di Gaza e l’emarginazione di
Hamas per stabilizzare la regione, normalizzare i rapporti con Israele, e
rilanciare la diplomazia.
Soluzioni più radicali sono uno Stato unico o
confederazione; uno Stato binazionale con un’unica entità con pari diritti per
israeliani e palestinesi; la Confederazione di due entità autonome con
cooperazione su sicurezza e risorse. Ma i limiti connessi incutono una scarsa
accettazione da entrambe le parti, con il consequenziale rischio di instabilità
permanente.
Intano gli innocenti muoiono! Affamati e trucidati... mentre aspettano
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