Chi ha spento la voce del Popolo?
La democrazia in azione.
Sensazione comune è che viviamo un tempo in cui la politica tradizionale spesso appare distante e autoreferenziale, diversi movimenti contemporanei stanno cercando di rinnovarne il senso originario della “polis”, della partecipazione, del bene comune.
I movimenti ambientalisti sembrano essere per ilriequilibrio
e la giustizia climatica, e “Fridays for Future” nato dall’azione di Greta
Thunberg ha mobilitato milioni di giovani in tutto il mondo per chiedere
politiche ambientali più responsabili.
“Extinction Rebellion” adotta la disobbedienza civile non
violenta per denunciare l’inazione dei governi sul cambiamento climatico. Entrambi
i movimenti riportano la politica alla sua radice etica e invogliano tutti a “prendersi
cura del futuro collettivo”.
In Italia, realtà come “le ACLI” promuovono l’“altra
politica” fatta di attivismo civico, mobilitazioni territoriali e
partecipazione diretta muovendosi fuori dai partiti, influenzano profondamente
l’agenda pubblica su temi come diritti sociali, inclusione, democrazia urbana.
Alcuni gruppi stanno sperimentando le piattaforme digitali per coinvolgere i
cittadini nelle decisioni politiche, come il bilancio partecipativo o le
consultazioni online.
In Italia, nuovi movimenti tecnocratici e progressisti
stanno cercando di rendere la politica più trasparente e accessibile. Sembra,
quest’azione, al momento una guerra titanica, paragonabile per portata e poteri
forti in campo alla sfida di Davide contro Golia. Molte sono le lobby che
fiancheggiano i poteri consolidati.
Le lotte LGBTQ+, femministe e antirazziste hanno riportato
al centro la politica come spazio di riconoscimento e giustizia. Il loro fare non
solo chiede leggi, ma, tutti insieme trasformano il linguaggio, la cultura e la
coscienza collettiva in una nuova essenza di socialità.
In molte città italiane, si sviluppano le reti di mutualismo,
nascono cooperative, orti urbani, gruppi di acquisto solidale. Esperienze che
incarnano una politica del quotidiano, dove la cura del territorio diventa
azione politica concreta.
Ovviamente questi movimenti non sono perfetti, ma hanno un
merito enorme: rimettono al centro le persone, la partecipazione, la
responsabilità. Non si limitano a chiedere cambiamento: lo praticano!
i personaggi che invadono gli spazi attuali ritenuti di
democrazia politica, con la loro arrogante supponenza, allontanano i cittadini
dalla politica, li demotivano. sembra che la loro sia una tattica per mantenere
il potere acquisito.
Quando la politica si riempie di figure arroganti e
autoreferenziali, il senso di partecipazione democratica può svanire. I
cittadini iniziano a percepire le istituzioni come distanti, ostili, quasi
impermeabili al cambiamento. E questo non è solo un problema di stile
comunicativo: è una questione di fiducia, di legittimità, di rappresentanza.
Ecco alcune dinamiche che spesso si osservano in questi
contesti:
Centralizzazione del potere: chi è già al vertice tende a
blindare le proprie posizioni, scoraggiando il ricambio e la pluralità. ( le
mosse degli attuali politici al potere rafforzano questa tesi. Da Giorgia
Meloni che adotta la tattica del silenzio salvo romperlo poi dai suoi canali
social, ad Occhiuto che si “dimette ma no” giocando d’anticipo e
destabilizzando la sua coalizione e gli antagonisti perché presi alla sprovvista
da tali decisioni che li trova impreparati).
Poi c’è la copiosa retorica divisiva, utilissima ad alimentare
conflitti e polarizzazioni per distrarre dai problemi reali e consolidare il
consenso.
E che dire della delegittimazione del dissenso? Cioè la
critica che mira ad etichettare come nemico, incompetente o “anti-sistema” l’altro.
In tutto non può esimersi la spettacolarizzazione della politica che diventa
show, e i contenuti si svuotano a favore di slogan e provocazioni.
il risultato? Disaffezione, astensionismo, e una crescente
sensazione che “tanto non cambia nulla”. Ma la democrazia non è un automatismo:
vive solo se i cittadini la alimentano con partecipazione, pensiero critico e
impegno.
Domanda:
come si potrebbe invertire questa tendenza? quali strumenti
potrebbero riavvicinare le persone alla politica? Oppure, quali esempi virtuosi
esistono oggi, anche fuori dall’Italia?
Invertire la rotta non è solo possibile è necessario! E si
può fare, ma serve una combinazione di consapevolezza, azione collettiva e
strumenti concreti.
Ecco una mappa di idee per riaccendere la partecipazione
democratica e contrastare l’arroganza del potere. Semplici strategie per
riavvicinare i cittadini alla politica:
primo punto: Educazione civica attiva che significa non solo
teoria, ma pratica, simulazioni di assemblee, dibattiti pubblici, laboratori di
cittadinanza nelle scuole, università, e nelle piazze fisiche e virtuali dei
social.
Secondo: spazi di partecipazione reale con la resa pubblica e il dibattito sui bilanci
nei comuni e dove i cittadini decidono come usare parte del budget pubblico.
Assemblee civiche e forum deliberativi: luoghi dove si
discute e si decide insieme.
Terzo punto: trasparenza radicale!
Rendere accessibili e comprensibili le decisioni politiche. Nonché
piattaforme digitali che mostrano voti, spese, progetti in tempo reale.
Quarto: Nuove forme di attivismo che spinge a campagne
creative, ironiche, virali che smascherano l’arroganza del potere. Quindi collaborazioni
tra artisti, giornalisti, attivisti e cittadini.
Quinto punto:
Dare voce a chi non
ha voce: storie di quartiere, esperienze locali, micro-politiche che
funzionano.
Contro-narrazioni che mostrano che il cambiamento è
possibile.
In sintesi mettere a dimora semi di speranza prendendo
esempio da realtà virtuose che hanno operato il cambiamento come in Barcellona,
dove il progetto “Decidim” ha creato una piattaforma digitale per la democrazia
diretta.
O in Islanda, dopo la crisi del 2008, i cittadini hanno
riscritto la bozza della Costituzione attraverso un processo partecipativo.
E anche in Italia, con esperienze come “Labsus” dove si
promuovono la cura condivisa dei beni comuni.
Labsus è l’acronimo di “Laboratorio per la sussidiarietà”, è
un’associazione culturale italiana che promuove un modello di amministrazione
condivisa tra cittadini e istituzioni pubbliche. In pratica, sostiene l’idea
che i cittadini non siano solo portatori di bisogni, ma anche di capacità da
mettere al servizio della collettività.
Che tradotto, consiste nella sussidiarietà attiva: Labsus si
basa sull’art. 118 della Costituzione, che incoraggia la collaborazione tra
cittadini e pubblica amministrazione per la cura dei beni comuni. Pratica i Patti
di collaborazione e promuove accordi tra cittadini e comuni per gestire insieme
spazi pubblici, giardini, edifici abbandonati, ecc. attraverso disciplini
innovative ha contribuito alla stesura del Regolamento sulla collaborazione tra
cittadini e amministrazione adottato per la prima volta dal Comune di Bologna
nel 2014.
La divulgazione e la formazione prende corpo dalla pubblicazione
di una rivista online, in cui si organizzano eventi e raccoglie esperienze
virtuose in tutta Italia per diffondere la cultura della cittadinanza attiva.
La filosofia di fondo di Labsus si fonda su una “antropologia
positiva”: l’idea che le persone siano risorse, capaci di contribuire alla
gestione del bene comune. Non si tratta di sostituire lo Stato, ma di allearsi
con esso, in un rapporto basato su fiducia, responsabilità e reciprocità. D’altronde,
lo Stato siamo noi.
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