Gratteri, la Calabria, i Calabresi

 opinione, società, cultura, legalità, onestà intellettuale,



Nicola Gratteri risponde al giornalista del "foglio". sì ho ricevuto la proposta di candidarmi per la sinistra alla presidenza della regione calabia, ma sono il felice procuratore di napoli e mi sta bene così. Certo che vado a votare! ma non posso dire per chi. condizionerei l'elettorato visto il seguito che ho. Notizie flash che lasciano ampi spazi alla riflessione e alle possibili manipolazioni strumentali di quanti sostengono la separazione delle carriere togate, al giustizialismo e al premierato che vuole l'uomo solo o la donna sola al comando come se la democrazia costituzionale e quanti si sono immolati per ottenerla non contasse nulla.

 

Nicola Gratteri ha effettivamente confermato di aver ricevuto una proposta per candidarsi alla presidenza della Regione Calabria, sostenuto dal centrosinistra. Tuttavia, ha risposto con fermezza e ironia: "Sono un felice magistrato di Napoli. Voi non sapete com’è bello il mio lavoro e quanto lo ami". Ha anche aggiunto che, una volta in pensione, si dedicherà al suo bergamotteto e forse a qualche trasmissione televisiva, sottolineando il suo attaccamento alla professione e la volontà di non entrare nell’agone politico.

 La sua dichiarazione di voto ("Certo che vado a votare! Ma non posso dire per chi") riflette una consapevolezza profonda del ruolo pubblico che ricopre e del peso che le sue parole potrebbero avere sull’elettorato. È un esempio di equilibrio istituzionale, ma anche di quanto sia sottile il confine tra magistratura e politica, soprattutto in un contesto come quello calabrese, dove la lotta alla criminalità organizzata si intreccia spesso con dinamiche politiche complesse.

 Il nodo cruciale: la tensione tra giustizialismo e garantismo, tra la separazione delle carriere e il rischio di concentrazione del potere nel modello del premierato. Sono temi che dividono profondamente l’opinione pubblica e che, come dimostra il caso Gratteri, possono essere facilmente strumentalizzati. La sua figura, amata da molti per il rigore e la trasparenza, diventa così terreno di scontro ideologico, dove ogni parola può essere letta come endorsement o rifiuto di un’intera visione politica.

Temi caldissimi che toccano il cuore della democrazia italiana:

Separazione delle carriere: autonomia o indebolimento?

La riforma costituzionale in corso propone di separare le carriere dei magistrati giudicanti (giudici) da quelle requirenti (pubblici ministeri). Ogni magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera se essere giudice o PM, senza possibilità di cambiare ruolo.

I vantaggi secondo i sostenitori:

- Maggiore imparzialità del giudice, che non ha mai ricoperto il ruolo di accusa.

- Specializzazione più netta tra chi giudica e chi indaga.

- Due Consigli Superiori della Magistratura separati, per evitare commistioni.

 Criticità e rischi:

- Possibile indebolimento dell’autonomia della magistratura, soprattutto dei PM, più esposti a pressioni politiche.

- Rischio di “politicizzazione” del PM, che potrebbe diventare figura più vicina all’esecutivo.

- Perdita di flessibilità e visione d’insieme nella carriera giudiziaria.

Questa riforma è vista da molti come un passo verso un sistema più accusatorio, ma anche come un tentativo di ridurre il potere delle Procure, spesso scomode per la politica.

Giustizialismo: giustizia o vendetta?

Il giustizialismo è una tendenza culturale e politica che enfatizza la punizione dei colpevoli, spesso a scapito delle garanzie costituzionali e del principio di presunzione d’innocenza.

I due volti del giustizialismo:

A destra: giustizia come strumento di ordine sociale, con tendenze autoritarie e classiste.

A sinistra: magistratura investita di un ruolo messianico, che corregge la politica e tutela la società, anche forzando la legge.

Effetti collaterali:

- Spettacolarizzazione delle inchieste.

- Distruzione reputazionale prima del giudizio.

- Uso politico della giustizia per colpire avversari.

Il giustizialismo ha radici profonde in Italia, da Tangentopoli in poi, e continua a influenzare il rapporto tra magistratura, media e opinione pubblica.

Premierato: stabilità o concentrazione del potere?

La riforma del premierato proposta dal governo Meloni prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, con un mandato di 5 anni e un limite di due legislature.

Obiettivi dichiarati:

- Maggiore stabilità dei governi.

- Fine dei “ribaltoni” parlamentari.

- Investitura popolare diretta del capo dell’esecutivo.

Critiche:

- Indebolimento del ruolo del Presidente della Repubblica.

- Rischio di concentrazione eccessiva del potere in una sola figura.

- Possibile riduzione del ruolo del Parlamento come organo di controllo.

Il premierato trasforma il Presidente del Consiglio in una sorta di “sindaco d’Italia”, ma molti temono che possa minare l’equilibrio tra i poteri previsto dalla Costituzione repubblicana.

Riflessione finale

Questi tre temi sono intrecciati: la separazione delle carriere può indebolire la magistratura, il giustizialismo può distorcere la giustizia, e il premierato può concentrare il potere. Insieme, potrebbero ridisegnare profondamente l’architettura costituzionale italiana.

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