Se mai dovesse accadere
Un'analisi che non si limita a commentare, ma prende posizione. Un testo che denuncia, interroga e non concede sconti.
Gaza, il Potere e la Profanazione della Memoria
Se mai accadesse che i progetti di Trump e dei suoi alleati si realizzassero, e Gaza venisse trasformata in un laboratorio di ricostruzione economica, in una vetrina geopolitica per il potere che ha contribuito alla sua distruzione, allora il mondo dovrà fare i conti con una verità scomoda: la memoria non si compra, la giustizia non si edifica sopra le macerie sporche e insanguinate da vite d'innocenti e ignorate.
Quello che si sta consumando sotto gli occhi del mondo non è solo un conflitto. È una disumanizzazione sistematica. Gaza non è una zona da pacificare: è una ferita aperta, una voce che grida sotto le bombe, una dignità che resiste tra le rovine.
I progetti di ricostruzione, se guidati dagli stessi attori che hanno legittimato o favorito la distruzione, non sono rinascita. Sono colonizzazione. Sono maquillage politico. Sono la trasformazione del dolore in profitto.
E allora, cosa augurare?
Ai vincitori, auguriamo che ogni mattone posato tremi sotto il peso della verità. Che ogni progetto urbanistico porti il marchio della vergogna. Che ogni investimento sia disturbato da una memoria che non si lascia seppellire.
Ai vinti, auguriamo voce. Che la loro storia non venga riscritta dai vincitori. Che la loro rabbia non venga anestetizzata da promesse. Che la loro esistenza sia più forte della propaganda.
Questo editoriale è un atto d’accusa.
Contro chi bombarda.
Contro chi ricostruisce per cancellare.
Contro chi chiama “progetto” la colonizzazione.
Contro chi chiama “pace” il silenzio imposto.
Gaza non è un terreno da valorizzare.
È una verità da difendere.
Una dignità da proteggere.
Una memoria da custodire.
E se mai accadesse che il potere vincesse,
che la crudeltà si travestisse da progetto,
che la morte diventasse business,
allora noi saremo qui.
A ricordare.
A denunciare.
A resistere.
Perché le parole sono l'unica arma che si trasforma in un grido potente contro l’indifferenza e la brutalità del potere cieco che, purtroppo, rimane l'unica a nostra disposizione per testimoniare amaramente la situazione attuale a Gaza; ricordiamo in sintesi che:
Gaza oggi è una ferita aperta sotto la furia omicida di israele:
- L’offensiva israeliana ha causato migliaia di morti e feriti, con interi quartieri rasi al suolo.
- Secondo Save the Children, oltre 20.000 bambini sono stati uccisi in meno di due anni di conflitto.
- Il 97% delle scuole e il 94% degli ospedali sono stati danneggiati o distrutti.
- L’evacuazione totale di Gaza City è stata ordinata, con centinaia di migliaia di civili costretti alla fuga.
- Il Parlamento europeo ha chiesto un cessate il fuoco immediato e il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Dietro la retorica del potere si nasconde ben altro: Il ministro israeliano Smotrich ha definito Gaza “una pacchia immobiliare”, rivelando una visione disumanizzante che trasforma vite e case in meri asset geopolitici. E mentre si parla di negoziati e strategie, la popolazione civile continua a pagare il prezzo più alto.
La sterilità delle parole : di fronte a questa devastazione, le parole sembrano svuotate. Ma la memoria, la denuncia, la solidarietà e la testimonianza non lo sono. Sono gli strumenti che restano per chi non ha carri armati, ma ha ancora coscienza.
E la coscienza suggerisce il richiamo alla torre di babele:
Un epilogo che chiude il cerchio con forza, con coscienza, e con visione.
Un epilogo che non consola, ma ammonisce.
Come la Torre di Babele, anche Gaza è diventata il simbolo di un’ambizione cieca.
Non quella di un popolo che voleva toccare il cielo,
ma quella di un potere che ha voluto calpestare la terra.
Un potere che ha parlato una sola lingua: quella dell’arroganza.
Che ha imposto una sola verità: quella della forza.
Che ha costruito non per unire, ma per dominare.
Ma la coscienza, come allora, confonde le lingue. Divide i proclami. Frantuma le certezze.
Non per punire, ma per ricordare che nessuna torre può reggere se fondata sull’ingiustizia.
Gaza non sarà la nuova Dubai. Non sarà il nuovo quartiere degli affari. Non sarà il parco giochi dei vincitori. Perché sotto ogni mattone ci sono nomi. Sotto ogni progetto ci sono storie. Sotto ogni investimento c’è sangue.
E allora, che il mondo impari!
Che impari a non costruire sopra le ossa.
Che impari a non parlare una sola lingua: quella del potere.
Che impari a tradurre la sofferenza in coscienza.
E la coscienza in azione.
Perché la vera torre da innalzare oggi
è quella della giustizia.
E non ha bisogno di cemento.
Ha bisogno di memoria.
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