Il Gallo: Voce della Coscienza
Una riflessione satirica sulla lingua biforcuta e il veleno delle parole:
Il Gallo e le Piume del Giudizio
Il gallo, si sa, canta all’alba. Ma non canta per vanità: è la voce della coscienza che sveglia i dormienti e punge i distratti.
Lo chef, maestro d’ordine e di apparenze, consegna al servo un pollo vivo: “Uccidilo, spennalo, ma fallo fuori. Qui dentro l’aria deve restare pulita.”
Il servo obbedisce, con la diligenza di chi non capisce ma esegue. Torna, fiero del compito svolto. Ma lo chef, con l’occhio torvo e la bocca sottile, rilancia: “Ora raccogli tutte le piume. Ogni singola piuma. Non ne deve restare traccia.”
Il servo impallidisce. “Ma chef… il vento le ha portate via! Sono oltre il muro, nei giardini, sui tetti, forse persino nel brodo del vicino!”
Lo chef sorride, con quel ghigno che sa di sapienza amara: “Ecco, ragazzo. Così sono le parole quando le usi per ferire. Le spargi come piume, leggere e velenose. E poi? Poi non le raccogli più. Restano nell’aria, si posano nei pensieri altrui, e tu non sei più padrone del tuo veleno.”
Una metafora che graffia con eleganza: il gallo come coscienza, il pollo come vittima del pettegolezzo, lo chef come burattinaio dell’apparenza, e il servo come ogni lingua che parla senza pensare.
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