Il fuoco gentile, seconda parte

 


 Il sogno si trasforma in un soffio e compare Leyla, col suo cucchiaio d’argento, che versa nell’aria granelli di coriandolo cantori. Le note si posano sulla zuppa fumante e diventano parole, parole che parlano di viaggi, di terre lontane e di chi ha perso la voce. 

Al risveglio, Nino riapre gli occhi e scopre che la padella ha creato una nuova ricetta: la Zuppa dei Ricordi Sognati. Ne versa un mestolo nel Calderone del Mondo, e il vapore si alza trasformandosi in immagini danzanti di volti amici, di mani strette, di abbracci che ancora non sono accaduti in un dipinto profumatissimo e pieno di nostalgia; la storia prende vita e illustra un racconto dal sapore autentico della Calabria, quello che sprigiona la padella sul fuoco dei ricordi e danza nella mente di chi legge o ascolta la favola:

SECONDA PARTE

del rito delle

 “Patati e Pipareddhi Frijiuti”

 

Più che un ricordo, è un dipinto profumatissimo e pieno di nostalgia: il racconto prende vita e si colora col sapore autentico della Calabria, quello che si sprigiona dalle padelle e danza nella mente di chi legge o ascolta la favola. Ogni volta che l’olio caldo incontra le fette di patata e i pezzetti di peperone, si sprigiona un’eco di ricordi antichi, come se ogni profumo fosse un colore inciso nell’aria.

“Patati e pipareddhi frijiuti” non è solo un piatto: è un rito, un gesto d’amore, una memoria che si tramanda. La padella di rame di Filomena, con il suo sfrigolio cantilenante, insegna a chi frigge a cucinare ascoltando il tempo: ogni frullolio, ogni bollicina è un battito del cuore delle montagne calabre.

Un tempo considerato “cibo povero”, oggi questo piatto è quasi un lusso. Non tanto per il costo degli ingredienti, ma per il tempo, la cura e la semplicità che richiede: sbucciare, affettare con delicatezza, dosare l’olio con rispetto, girare con pazienza. È un atto di resistenza culturale in un mondo che corre veloce.

Fermarsi a friggere patate e peperoni come una volta è un modo per dire: “Io mi ricordo da dove vengo, e lo celebro”. È un invito a rallentare, a celebrare l’istante in cui l’olio e la fiamma incontrano la terra, trasformando un gesto quotidiano in un inno alla memoria.

Andiamo. Seguitemi. Entriamo nella

Cucina della Memoria

Entriamo delicatamente con passi felpati per non disturbare i sensi perché quando varchi la soglia della Cucina della Memoria, il tempo si fa fluido e i sensi si risvegliano. Le pareti, rivestite di antichi scaffali carichi di barattoli scintillanti, ognuno etichettato con una parola: “Risate”, “Primo Amore”, “Inverno”, “Festa di San Rocco” amano la quiete interiore. Basta aprire un barattolo e un profumo avvolge il corpo e la mente, trascinandoti in ricordi che credevi perduti. Lo so per esperienza.

Al centro, un grande tavolo di quercia sorretto da gambe intagliate a forma di mani: accoglie chiunque porti con sé una storia. Le pentole appese al soffitto, di rame e terracotta, emettono un leggero rintocco quando passi sotto, come se salutassero il tuo cuore.

Osserviamo Nino mentre accende il fuoco sotto la pentola d’ottone e invita Leyla ad avvicinarsi. Sul bancone, stende patate e peperoni già tagliati, e intorno li circonda di piccoli contenitori:

 Radici di gentilezza, raccolte nelle campagne di Filomena 

 Spezie di silenzio, sospese tra le dune del deserto 

 Gocce di memoria, estratte dal cucchiaio d’argento . questi sono gli ingredienti.

Con gesti lenti e cerimoniosi, versano l’olio caldo, lo lasciano frullare finché non canta, poi adagiano le fette di patata e i pezzi di peperone. Il loro sfrigolio mescola sapori e ricordi in un unico canto.

 

Mentre il piatto cuoce, Nino racconta a Leyla di Agata: di come imparò a dosare il basilico con un gesto del cuore. Leyla, respingendo la nostalgia, mescola il sugo e sente riaffiorare il calore della Calabria. Ogni volta che mescola, una nuova sfumatura di sapore prende vita.

 

 

Quando il cibo è pronto, ben rosolato, lo adagiano su un piatto di ceramica antica. Il caldo profumo di “Patati e Pipareddhi Frijiuti” riempie l’aria, e nella Cucina della Memoria, ogni volto si illumina. È un rito che unisce passato e presente, un inno alla cultura che resiste, fatta di gesti semplici e anima profonda.

Il rituale dei piatti poveri, dalle qualità inconfondibili originati dall’amore per la terra, dalle carezze amorevoli delle coltivazioni sono cultura da tramandare.

 “Patati e pipareddhi frijiuti” non è solo un piatto: è un rito, un gesto d’amore, una memoria che resiste e si tramanda nell’aria insieme al profumo dell’olio caldo, e si materializza.

 

 Al Tavolo dei Popoli

 

Quando le lanterne della Cucina della Memoria si riflettono sul lungo tavolo dei Popoli, Nino e Leyla portano due grandi piatti fumanti di “Patati e Pipareddhi Frijiuti”. Il legno antico vibra al loro passaggio come se riconoscesse mani che cucinano con amore. Su entrambe le sponde, volti di ogni terra si voltano, curiosi e affamati.

Il primo a gustare le patate e i peperoni dorati è un pescatore siciliano, dalle mani segnate dal sale e dal vento. Al primo boccone chiude gli occhi e riaffiorano ricordi di vecchi porti, reti da riparare sotto il tramonto e risate di compagni sparsi per il mondo. Alla sedia accanto, una dottoressa siriana assaggia e trattiene a stento una lacrima: in un istante rivive la cucina della nonna, le spezie mescolate nel coperchio, le domeniche di festa perdute.

Un ragazzino messicano racconta di come la friggitrice di una zia producesse lo stesso suono cantilenante, e un’anziana maori ritrova nel sapore del peperone il ricordo delle fiamme del fuoco di comunità. Ogni assaggio diventa una storia: un canto d’infanzia, un viaggio, un addio trasformato in carezza. Il piatto, un tempo cibo povero, si fa ponte tra culture lontane.

 

Mentre l’ultima forchettata svanisce, Nino scambia uno sguardo con Leyla: sanno che la magia non è nella ricetta, ma nei cuori che aprono. Nel silenzio che segue, il tavolo si illumina di nuove luci: nei barattoli della Memoria, nascono etichette mai viste, pronte ad accogliere i profumi e le storie appena nate.

Il Ricordo della Dottoressa Siriana

 

Nella luce tremolante delle lanterne, la dottoressa siriana chiuse gli occhi al primo assaggio di “Patati e Pipareddhi Frijiuti”. Un’ondata di profumi la trasportò in una cucina di Aleppo, dove la nonna preparava dolci al miele e zucchero a velo durante l’Eid. Sentì il tepore delle piastrelle smaltate sotto i piedi nudi e il canto dei vicini che si scambiavano auguri davanti alla porta.

 

 

Aprendo la bocca di nuovo, ritrovò il sapore delle spezie rare: un pizzico di sumac amaro e la dolcezza delle cipolle caramellate. Il peperone arrostito le ricordò i pomeriggi passati a sbucciarli sul balcone, con le mani che profumavano di fumo e terra. Nel cuore della memoria sbocciò un sorriso: in quel piatto “povero”, la ricchezza di un’intera casa.

La dottoressa si alzò, la voce un po’ rotta dall’emozione, e posò un barattolo in mezzo al tavolo. Sull’etichetta, tracciata a mano con inchiostro viola, c’era scritto “Polvere di Alba Siriana”. Un cucchiaino di quella polvere avrebbe riportato all’alba di un giorno perduto, alla speranza che si rinnova quando il sole spunta dietro le rovine.

 

Leyla prese il barattolo fra le mani e lo passò a Nino. In un gesto silenzioso, i due cuochi versarono la polvere nella pentola d’ottone. Il vapore cambiò colore, tingendosi di rosa tenue, e intorno al tavolo si alzò un coro sommesso: i ricordi di ognuno si intrecciarono in un abbraccio invisibile.

 

La Zuppa dell'Alba

 

Nella pentola d’ottone, la Polvere di Alba Siriana si scioglie come un’alba dipinta. Il vapore si trasforma in un soffio rosato che avvolge la Cucina della Memoria, portando con sé l’attimo in cui il sole incontra l’orizzonte.

Gli Ingredienti della Zuppa dell’Alba Rosa sono le fondamenta della cucina senza tempo:

 

- Polvere di Alba Siriana 

- Acqua di memoria raccolta all’alba 

- Radici di gentilezza di Filomena 

- Un filo di spezie di silenzio 

 

 

Con gesti lenti, Nino mescola gli ingredienti mentre Leyla versa gocce d’acqua dal cucchiaio d’argento. Ad ogni vibrazione del cucchiaio, il brodo si tinge di tonalità che vanno dal rosa tenue al corallo. Il profumo ricorda il primo respiro del giorno, il sentore di brezza e di promessa.

 

 

Quando la zuppa è pronta, Nino la versa in piccole ciotole di ceramica bianca. Il calore che si sprigiona non solo riscalda le mani, ma illumina il cuore di chi la riceve. Assaggiandola, gli ospiti scoprono in sé una chiarezza nuova: pensieri confusi si dissolvono e lasciano spazio a speranza e desiderio di rinascita.

 

Un pescatore norvegese apre gli occhi e vede le aurore boreali danzare davanti a sé. Una contadina indiana rivive il canto dei galli che annunciano il giorno. E in un angolo, un poeta russo ritrova le parole perdute, che danzano leggere come petali di pesco.

 

Nella luce dorata della Cucina della Memoria, Nino e Leyla preparano “Patati e Pipareddhi Frijiuti” come se fosse un rito antico. Ogni gesto evoca un ricordo: il coltello che scivola sulle patate, il suono sfrigolante dell’olio, il pepe che danza nell’aria come polvere di stelle. È una cerimonia di semplicità e cura, in cui il gesto quotidiano si trasforma in atto d’amore.

Un atto d’amore che accomuna le donne di Calabria che salutano le persone care con “hai mangiato? Sei bello ma ti trovo sciupato! Siediti mangia..” e come per incanto la tavola si imbandisce con i prodotti stagionali della campagna.

E quando entri in cucina, l’aria si carica di un sussurro di peperoncino e di origano raccolto all’alba. 

Le donne, con le maniche arrotolate, posano sui taglieri cipolle dorate, pomodori maturi come cuori pronti ad esplodere, e melanzane dalla pelle lucida. 

“Hai mangiato? Sei bello ma ti trovo sciupato!” ripetono sorridendo, mentre la nonna passa un mestolo di sugo al pomodoro, rosso come il tramonto sullo Stretto. 

È un gesto che sa di cura infinita: nel profumo dell’olio extra vergine, nel tonfo leggero delle olive nella ciotola di ceramica, si sente la voce di tutte le generazioni. 

Nella realtà, le case sono tana e le donne le regine attente agli approvvigionamenti. Figure pragmatiche governano le famiglie. Il duro lavoro giornaliero nei campi conferisce praticità nella gestione dei beni coltivati. Non c’è, purtroppo, nella realtà, una cucina governata da Leyla e Nino. I piselli devono essere piselli, seminati e allevati da mani esperte se si intende fare una zuppa. Come il rsto degli ingredienti.

Ma, mentre i piselli freschi scoppiettano in padella, le foglie di basilico ballano sul filo del cucchiaio di legno. 

All’improvviso la tavola s’illumina: ci sono bruschette, zucchine grigliate, pane casereccio che trattiene ancora il calore del forno. 

Sedersi equivale a ritrovare un frammento di sé, custodito nel sapore di un boccone carico di ricordi. 

Saranno le fatine delle stagioni?  Le portatrici di doni?

Ogni stagione porta il suo dono, in: 

 Primavera: asparagi selvatici e fiori di zucca ripieni di ricotta. 

Estate: meloni succosi, fichi neri e la leggerezza di un’insalata di finocchi e arance. 

 Autunno: castagne arrostite, funghi raccolti sotto i castagni secolari. 

Inverno: cime di rapa stufate con acciughe, broccoli e peperoncino a riscaldare il respiro. 

Così, intorno al tavolo, la storia del mondo rurale si rinnova ogni giorno, con la medesima semplicità con cui un bimbo impara a dire “mamma” e “papà”. 

E i figli a correre festosi e acchiappare con mani golose le patatine croccanti appena cotti.

 

Pattate e peperoni fritti era un piatto considerato “cibo povero”,  ma oggi è quasi un lusso non per il costo degli ingredienti, ma per il tempo, la cura e la semplicità che richiede. In un mondo che corre, fermarsi a friggere patate e peperoni come si faceva una volta è un atto di resistenza culturale. È dire: “Io mi ricordo da dove vengo, e lo celebro”.

E poi, quel profumo invitante che invade la casa, ha più valore di mille piatti gourmet. È il profumo dell’identità, della terra, della famiglia che aleggia nella memoria, è un dolce momento di melancolia dedicata e ispirata da quei sapori e a quella saggezza popolare calabrese che non è nostalgia del tempo perduto.

E’ una Favola di nascite e Vita. Generata in un piccolo borgo arroccato tra le montagne della Calabria, grazie ad una vecchina di nome Filomena. Che Viveva sola in una casetta di pietra, con un orto che profumava di basilico, cipolle e peperoni.

Gentile come il fuoco dolce che alimenta l'amore 

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Abbiamo aperto questo blog nell’aprile del 2009 con il desiderio di creare una piazza virtuale: uno spazio libero, apolitico, ma profondamente attento ai fermenti sociali, alla cultura, agli artisti e ai cittadini qualunque che vivono la Calabria. Tracciamo itinerari per riscoprire luoghi conosciuti, forse dimenticati. Lo facciamo senza cattiveria, ma con determinazione. E a volte con un pizzico di indignazione, quando ci troviamo di fronte a fenomeni deleteri montati con cinismo da chi insozza la società con le proprie azioni. Chi siamo nella vita reale non conta. È irrilevante. Ciò che conta è la passione, l’amore, la sincerità con cui dedichiamo il nostro tempo a parlare ai cuori di chi passa da questo spazio virtuale. Non cerchiamo visibilità, ma connessione. Non inseguiamo titoli, ma emozioni condivise. Come quel piccolo battello di carta con una piuma per vela, poggiato su una tastiera: fragile, ma deciso. Simbolo di un viaggio fatto di parole, idee e bellezza. Questo blog è nato per associare le positività esistenti in Calabria al resto del mondo, analizzarne pacatamente le criticità, e contribuire a sfatare quel luogo comune che lega la nostra terra alla ‘ndrangheta e al malaffare. Ci auguriamo che questo spazio diventi un appuntamento fisso, atteso. Come il caffè del mattino, come il tramonto che consola. Benvenuti e buon vento a quanti navigano ogni singola goccia di bellezza che alimenta serenamente l’oceano della vita. Qui si costruiscono ponti d’amore.

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