Gesù, La forza dell'Amore
Ieri come adesso: il potere logora chi non ce l'ha!
La croce non era solo legno: era potere, paura e tortura
Immagino una collina polverosa, il sole che brucia la pelle, l’odore acre del sangue e della polvere. Tre croci svettano contro il cielo, e su quella centrale non c’è un ladro, né un assassino. C’è un uomo che ha parlato troppo. Troppo di giustizia, troppo di amore, troppo di verità.
Gesù di Nazaret non fu crocifisso per aver rubato o ucciso. Fu crocifisso perché era pericoloso. Perché muoveva le folle. Perché metteva in crisi l’equilibrio tra potere religioso e potere imperiale. E quando il popolo fu chiamato a scegliere, preferì Barabba — un criminale noto — all’uomo che parlava di libertà interiore.
Ma cosa significava davvero morire in croce?
La scienza della tortura
La crocifissione romana era una macchina di dolore. Prima la flagellazione: il flagrum, un frustino con punte metalliche, strappava la pelle e apriva le carni. Poi il trasporto del patibulum, la trave orizzontale, legata agli avambracci, che il condannato doveva portare fino al luogo dell’esecuzione, inciampando, cadendo, senza potersi proteggere.
Infine, la croce. I chiodi non venivano conficcati nelle mani — troppo fragili — ma nei polsi, tra le ossa, dove il nervo mediano esplodeva di dolore. A volte, per evitare lo strappo, le braccia venivano anche legate con corde spesse. Il corpo, sospeso, lottava per respirare. Ogni respiro era una spinta verso l’alto, un dolore nuovo. La morte arrivava lentamente: asfissia, collasso cardiaco, crampi tetanici. E se tardava, si spezzavano le gambe con una mazza. Fine della lotta.
Un messaggio politico
La croce non era solo punizione. Era spettacolo. Era deterrente. Era il modo in cui Roma diceva: “Questo è ciò che accade a chi sfida l’ordine.” Eppure, proprio quella croce — simbolo di vergogna — è diventata il segno più potente della speranza umana.
Gesù non fu solo un martire. Fu un leader. Un uomo che parlava al cuore, e per questo faceva paura. La croce fu la risposta del potere alla verità. Ma la verità, si sa, non muore mai davvero.
Ecco, è plausibile pensare ché, suffragati dalle notizie storiche e scientifiche, la paura che la Croce incarna è divenuta destabilizzante per il potere che voleva difendere
La croce: quando il potere ha paura di una voce
Non serviva una spada. Bastava una parola. Gesù non aveva eserciti, né terre, né titoli. Aveva solo la forza di dire la verità. E questo bastò per far tremare Roma e il Tempio.
Un uomo che parlava di giustizia, che toccava gli emarginati, che smascherava l’ipocrisia. Un uomo che non si piegava. Troppo pericoloso. Troppo libero. Troppo seguito.
Così, quando fu il momento di scegliere, il popolo — manipolato, spaventato, confuso — preferì Barabba. Un ladro. Un violento. Perché il potere preferisce il caos controllabile alla verità incontrollabile.
La croce non era una punizione. Era un messaggio.
- Prima il carnefice flagellava il corpo del malcapitato in pubblico, esposto nell'arena, umiliato e lasciato alla mercé delle più basse espressioni degli astanti che, potevano scaricare frustrazioni e risentimenti.
- Poi legato al patibulum, la trave orizzontale, come un animale da macello.
- I chiodi non nelle mani, ma nei polsi, dove il dolore è puro, crudo, paralizzante.
- Il corpo appeso, costretto a sollevarsi per respirare. Ogni respiro, una tortura.
- La morte? Lenta. Asfissia. Collasso. Crampi. E se tardava, si spezzavano le gambe.
La croce era il modo in cui Roma diceva: “Questo è ciò che accade a chi ci sfida.” Era spettacolo. Era deterrente. Era terrore.
Ma non bastò a fermare l'Amore.
Perché quell’uomo, inchiodato e nudo, ha lasciato un’eredità più potente di qualsiasi impero. La croce, da strumento di tortura, è diventata simbolo di speranza.
E il potere terreno, che voleva spegnere una voce, ha acceso milioni di coscienze.
La croce non ha ucciso la verità. Ha solo dimostrato quanto il potere la tema.
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