un creativo alla volta: Mario Iannino

 Ritratto critico.


Approfondimento su Mario Iannino, pensato come ritratto critico per esplorare la poetica, la tecnica e il pensiero:


Mario Iannino: il segno come pensiero, il gesto come visione

Nel panorama dell’arte contemporanea italiana, Mario Iannino si distingue per una ricerca che è insieme visiva, teorica e spirituale. Nato a Catanzaro nel 1953, Iannino ha costruito un percorso artistico che sfugge alle classificazioni rigide: il suo lavoro si muove tra grafia creativa, poesia visiva, semiotica del gesto e filosofia del segno.

Il segno come linguaggio originario

Per Iannino, il segno non è decorazione né ornamento. È traccia di pensiero, gesto primordiale, scrittura dell’anima. Nei suoi bozzetti, nelle sue opere grafiche e nei suoi testi, il segno diventa un codice che precede la parola, un ponte tra il visibile e l’invisibile.

“Quello che ci dà sensazioni o ci comunica qualcosa va sublimato.”
— Mario Iannino

Questa frase, che accompagna la sua mostra Linguaggi mutevoli, è la chiave della sua poetica: l’arte non è rappresentazione, ma trasfigurazione. Non è imitazione, ma intuizione.

Grafia creativa e pensiero visivo

Iannino ha teorizzato e praticato la grafia creativa, una forma di scrittura che si fa immagine, una calligrafia che diventa gesto pittorico. Nei suoi Appunti di grafia creativa, l’artista riflette su come il segno possa essere pensiero incarnato, forma che pensa, traccia che sente.

Questa visione lo avvicina a correnti come la poesia visiva, l’arte concettuale e la semiotica dell’immagine, ma senza mai rinunciare a una dimensione profondamente umana e spirituale.

Mostre, studio, territorio

La sua mostra Linguaggi mutevoli, con oltre 80 opere esposte, è un viaggio nella metamorfosi del segno. Ogni opera è una variazione, una mutazione, una voce diversa dello stesso alfabeto interiore. Il suo studio a Catanzaro è un laboratorio aperto, dove giovani artisti, studenti e appassionati possono confrontarsi con una visione dell’arte come atto comunicativo profondo.

Iannino collabora con enti pubblici e privati, promuove progetti educativi e culturali, e continua a interrogare il rapporto tra segno e senso, tra forma e coscienza.

Arte come utopia del linguaggio

In un mondo dominato dalla velocità e dalla superficialità visiva, Mario Iannino ci invita a rallentare lo sguardo, a ascoltare il segno, a pensare con la mano. La sua arte è una forma di resistenza poetica, una utopia del linguaggio, una meditazione visiva.


Eccola, Nino. Ti propongo un’intervista immaginaria a Mario Iannino, costruita sulla sua poetica e sul suo pensiero, pensata per una rivista d’arte o una rubrica culturale. Il tono è intimo, riflessivo, e lascia spazio alla sua voce interiore.


Intervista a Mario Iannino

Il segno che pensa, il gesto che parla

Dove nasce il tuo segno?
Il segno nasce prima della parola. È un pensiero che non ha ancora voce, ma già vibra. È gesto, è intuizione, è bisogno di dire senza dire. Quando disegno, non rappresento: cerco. Il segno è una domanda, non una risposta.

Hai parlato spesso di “grafia creativa”. Cosa significa?
È una scrittura che si libera dalla funzione. Non serve a comunicare un contenuto, ma a evocare una presenza. È il pensiero che si fa forma, la forma che si fa coscienza. La grafia creativa è il luogo dove il segno diventa espressione dell’essere.

Il corpo ha un ruolo centrale nella tua ricerca. Perché?
Perché il corpo è il primo linguaggio. È la nostra origine, la nostra memoria, il nostro tempo. Il corpo non mente. Quando lo disegno, non lo idealizzo: lo ascolto. Ogni linea è una vibrazione, ogni curva è una parola non detta.

Come vivi la censura digitale nei confronti del nudo artistico?
Come una rimozione del pensiero. Il nudo non è pornografia, è verità. Ma l’algoritmo non sa vedere. Non distingue tra carne e concetto, tra desiderio e contemplazione. Blocca per paura, non per etica. E così l’arte viene silenziata.

La tua mostra “Linguaggi mutevoli” ha avuto grande impatto. Cosa volevi comunicare?
Che il segno cambia, muta, respira. Ogni opera è una variazione, una voce diversa dello stesso alfabeto interiore. Volevo mostrare che il linguaggio visivo non è mai statico: è una metamorfosi continua, una tensione tra ciò che siamo e ciò che possiamo diventare.

Che ruolo ha la bellezza nella tua arte?
La bellezza non è forma, è rivelazione. È ciò che ci fa sentire vivi, presenti, vulnerabili. Non cerco la bellezza come armonia, ma come verità. Anche il segno spezzato, il corpo imperfetto, la linea tremante: tutto può essere bello, se è autentico.

Cosa diresti a un giovane artista che si confronta con il digitale?
Di non avere paura del silenzio. Di disegnare, di giocare con i segni, la materia, plasmare concetti poetici e di denuncia anche quando nessuno guarda. Di cercare il segno che lo rappresenta, non quello che funziona. E di ricordare che l’arte non è mai algoritmo: è carne, è pensiero, è resistenza. Bellezza!


Di seguito la sintesi biografica completa in un unico corpo di scrittura, impaginata con respiro narrativo e coerenza poetica. È il racconto di un cammino vissuto con dignità, passione e servizio. Un’opera che parla anche di chi legge.


Il seme e la strada – Memorie di un artista al servizio dell’altro

di Mario Iannino


A chi cammina con me

A mia moglie Anna, compagna di vita e di silenzi,
che ha saputo ascoltare anche quando non parlavo.
Ai miei figli Massimiliano, Valentina e Manuela,
che hanno visto il mio cammino e ne portano traccia.
Alle mie nipoti Greta e Cecilia,
che sono germogli di luce e di futuro.
E a Maria, la loro mamma,
che custodisce con grazia il tempo che cresce.

Questa biografia è per voi.
Perché ogni tela, ogni parola, ogni gesto,
è stato vissuto anche con voi accanto.
È il racconto di un uomo che ha cercato di servire l’arte,
non come trono, ma come tavola condivisa.

Se qualcosa resterà, sarà grazie alla vostra presenza.
Grazie per aver camminato con me.


 Le radici e il dono

 La strada segnata dalla creatività

Ci sono strade che non si scelgono: ti chiamano. Non sai perché, ma senti che devi andare. È più forte della volontà cosciente, come un richiamo antico che vibra dentro. La mia strada è segnata dal dialogo costante con la creatività. Non come esercizio estetico, ma come vocazione, come linguaggio dell’anima.
Tra il 1976 e il 1978, ho collaborato con la Fondazione Betania di Santa Maria in Catanzaro, una comunità di sostegno all’handicap. Lì, il disegno è diventato strumento di comunicazione per chi non aveva voce.
Quello è stato il mio momento di comunione. Non solo arte, ma cultura vissuta. Non solo tecnica, ma amore. Non solo lavoro, ma dono.

 L’arte come mestiere, missione e mistero

L’arte non è mai stata per me un ornamento. È stata mestiere, missione e mistero.
Non ho mai separato il fare artistico dal vivere quotidiano. Anche quando ho fatto l’operaio, l’impiegato, il factotum, ho portato con me lo sguardo dell’artista.

 L’incontro con Antonello Trombadori: il compito dell’artista

Ci sono incontri che durano un attimo, ma restano per sempre. Uno di questi, per me, fu con Antonello Trombadori.
Avevo ricevuto il messaggio, e dovevo solo portarlo avanti.

 Linguaggi mutevoli: l’arte come dialogo nel tempo

Il tempo non ha mai spento la mia urgenza creativa. Anzi, l’ha affinata.
La mostra Linguaggi mutevoli, allestita presso la galleria Arte Spazio di Catanzaro, ha raccolto oltre 80 opere.
Un gesto che ha voluto ribadire il mio impegno sociale, la mia convinzione che l’arte debba uscire dai confini dell’élite e diventare comunicazione tra sensibilità.

 Tra umiltà, vanità e mercificazione: il volto umano dell’arte

Nel mio cammino ho incontrato molti pittori. Alcuni noti, altri meno, ma tutti accomunati da un desiderio: quello di esprimere sé stessi.
L’arte non può essere guidata dalla fame di guadagno. Deve essere guidata dalla fame di senso.

 Il segno che resta: educare alla poesia del gesto

Un giorno, durante una lezione, un allievo mi chiese:

“Professore, come posso fare un disegno uguale al vero?”
Non è la verosimiglianza delle cose che abitano la realtà a lasciare un segno. Il segno lo lascia il lavoro espletato con amore, con tempo, con ascolto.

 Il quadro nero di Leo: l’arte come gesto d’amore

Una sera, Leo arrivò allo studio con una tela sotto braccio. Un quadro dipinto malamente, sporco, pieno di nero. Un esteta avrebbe detto: “Fatta malissimo.” Ma io rimasi colpito.
Quel nero non era rabbia, era cura. Era il suo modo di dire: “Ti ho visto. Ti ho capito. Questo è per te.”
Mi insegnò qualcosa che non ho mai dimenticato: l’arte è relazione. È il modo in cui ci prendiamo cura l’uno dell’altro.


 La strada e la fame d’arte

 Firenze, freddo e tele: il battesimo del neofita

Era il 1975, forse il ’76. Ero giovane, infatuato della grandezza di Firenze. Decisi di fare una mostra.
Quella mostra fu una prova. Non solo artistica, ma umana. Mi fece crescere. Mi fece capire il sottobosco animato che s’aggira attorno ai neofiti.

 La sala d’onore e il trafiletto: il vuoto del non incontro

I miei lavori furono esposti nella “sala d’onore”. Il critico locale scrisse belle parole su La Nazione.
Eppure, quella mostra non mi lasciò nulla. Mi era mancato qualcosa di essenziale: il contatto.
Una mostra non è solo un evento. È un luogo di relazione. E quella volta, pur avendo esposto, non avevo incontrato.

 Bologna, la Fiat 127 e la fotografia trattata

Partii di notte, con mia moglie. Massimiliano rimase a casa con la nonna. La Fiat 127 era carica di venti tele.
La mostra fu buona, ma non ottima. Nello stesso periodo apriva Arte Fiera Bologna.
In quel periodo iniziai anche la mia ricerca sulla fotografia trattata. Non era solo documentazione: era manipolazione poetica. Un nuovo linguaggio, un’altra voce.

 Linguaggi della visione: l’immagine come territorio da esplorare

Iniziai una ricerca sui linguaggi della visione, sui mezzi di comunicazione che usano l’immagine come veicolo.
Mi attiravano le sovrapposizioni effimere dei manifesti affissi ovunque.
La fotografia diventò materia, superficie da manipolare. Ogni opera era una domanda: Cosa vediamo davvero?
L’artista, oggi più che mai, deve essere anche lettore, osservatore, resistente.

 L’immagine come territorio: la visione interrogata

La pubblicità mi affascinava e mi inquietava. Era il volto del potere visivo.
Assemblaggi, collage, interventi manuali. Ogni opera era una domanda.
L’arte si apriva a nuovi territori. E io, come sempre, cercavo di camminarci dentro con passo umile, ma deciso.


 La materia e il tempo: ferite che parlano

Negli anni Novanta, la mia ricerca artistica ha preso una nuova direzione.
Non bastava più il colore, il segno, la forma.
Sentivo il bisogno di ascoltare la materia.
Di lasciarla parlare. Di farle dire ciò che il tempo le aveva insegnato.

La materia è viva.
Porta con sé le tracce del vissuto, le ferite, le abrasioni, le pieghe.
È testimone silenziosa del passaggio dell’uomo,
della violenza della natura,
della bellezza che resiste.

Iniziai a lavorare con materiali diversi:
legni consumati, metalli ossidati, carte strappate, tessuti lacerati.
Ogni elemento aveva una storia.
Ogni superficie era già narrazione.

La fase polimaterica della mia ricerca non fu solo tecnica.
Fu spirituale.
Fu il tentativo di dare voce a ciò che non parla,
di far emergere il dolore e la dignità delle cose.

Alcuni di questi lavori sono raccolti nelle mie pagine web.
Sono opere che non chiedono di essere capite,
ma sentite.
Che non mostrano, ma trasmettono.

La materia, quando è ascoltata, diventa memoria.
Diventa testimone.
Diventa compagna per le anime sensibili
che sanno leggere il tempo inciso nelle cose.



Epilogo – La scia che resta

Forse anche io, come la lumachella della Vanagloria di Trilussa, lascio una scia.

Ma non di vanità.
La mia è una scia di esperienze, di gesti, di incontri.
Di tentativi sinceri. Di passi fatti con poco, ma con tutto il cuore.
Non ho inseguito il mercato. Ho cercato il senso.
Non ho voluto essere visto. Ho voluto essere ascoltato.
È un sentiero. Tracciato con parole, immagini, silenzi.
È il mio modo di dire:
“Ecco, io ho camminato così. Se può servirti, prendi.”
un riflesso, una scintilla, una carezza,
allora sì — quella scia avrà avuto un senso.

Non ho mai cercato il clamore. Ho cercato il contatto.

Questa biografia non è un monumento.

E se un giorno qualcuno troverà in queste pagine un riflesso, una scintilla, una carezza, allora sì — quella scia avrà avuto un senso.

— Mario Iannino


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Abbiamo aperto questo blog nell’aprile del 2009 con il desiderio di creare una piazza virtuale: uno spazio libero, apolitico, ma profondamente attento ai fermenti sociali, alla cultura, agli artisti e ai cittadini qualunque che vivono la Calabria. Tracciamo itinerari per riscoprire luoghi conosciuti, forse dimenticati. Lo facciamo senza cattiveria, ma con determinazione. E a volte con un pizzico di indignazione, quando ci troviamo di fronte a fenomeni deleteri montati con cinismo da chi insozza la società con le proprie azioni. Chi siamo nella vita reale non conta. È irrilevante. Ciò che conta è la passione, l’amore, la sincerità con cui dedichiamo il nostro tempo a parlare ai cuori di chi passa da questo spazio virtuale. Non cerchiamo visibilità, ma connessione. Non inseguiamo titoli, ma emozioni condivise. Come quel piccolo battello di carta con una piuma per vela, poggiato su una tastiera: fragile, ma deciso. Simbolo di un viaggio fatto di parole, idee e bellezza. Questo blog è nato per associare le positività esistenti in Calabria al resto del mondo, analizzarne pacatamente le criticità, e contribuire a sfatare quel luogo comune che lega la nostra terra alla ‘ndrangheta e al malaffare. Ci auguriamo che questo spazio diventi un appuntamento fisso, atteso. Come il caffè del mattino, come il tramonto che consola. Benvenuti e buon vento a quanti navigano ogni singola goccia di bellezza che alimenta serenamente l’oceano della vita. Qui si costruiscono ponti d’amore.

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