Un frammento alla volta
“Calabria, bellezza fragile e resiliente”
Calabria, terra che resiste
Fragile come le sue coste che si sgretolano,
come i borghi che si svuotano piano,
come le mani di chi parte e lascia dietro il cuore.
Ma forte. Ostinata. Viva.
La Calabria non urla.
Sussurra tra le pietre antiche,
tra i fichi d’India che crescono dove nessuno li ha
piantati,
tra i silenzi che parlano più delle parole.
È terra che cade e si rialza,
che si piega al vento ma non si spezza.
Ogni frana è una ferita,
ogni ricostruzione è un atto d’amore.
Resiliente come le donne che tengono insieme famiglie e
sogni,
come gli ulivi che resistono al tempo,
come chi resta — e chi torna —
perché sa che la bellezza non si abbandona.
Amare la Calabria è accettarne le crepe,
è vedere il valore nel non detto,
è credere che anche ciò che è fragile
può essere fondamento.
E allora sì, parliamone.
Parliamo di bellezza che nasce dalla fragilità,
di resilienza che non fa rumore,
di una terra che non chiede di essere salvata,
ma semplicemente… amata.
Continuiamo a raccontare la Calabria, un frammento alla
volta.
Il silenzio che resta
C’è un silenzio che non è vuoto. In Calabria.
È quello che rimane dopo le parole, dopo i gesti, dopo il
rumore del mondo.
Un silenzio che non chiede di essere riempito, ma ascoltato.
Lo trovi nei vicoli di un borgo calabrese all’alba,
quando il sole ancora non ha deciso se svegliare le pietre o
lasciarle dormire.
Lo trovi nello sguardo di chi ha vissuto troppo per parlare
ancora,
e in quello di chi non ha ancora trovato le parole giuste
per cominciare.
La bellezza non è sempre luce.
A volte è ombra che accarezza,
è crepa che racconta,
è attesa che non pretende.
Viviamo in un tempo che corre,
che misura, che pretende.
Ma la bellezza — quella vera —
non si misura, non si pretende.
Si accoglie.
E allora, forse, non parliamo troppo di bellezza.
Forse ne parliamo troppo poco.
O forse, semplicemente,
non la ascoltiamo abbastanza.
Fragile come il vento
Siamo fatti di crepe.
Di giorni in cui il respiro pesa,
di notti in cui il cuore si piega senza spezzarsi.
La fragilità non è rottura.
È la curva dolce prima del crollo,
è il tremore che ci ricorda che siamo vivi.
Ci hanno insegnato a nasconderla,
a vestirla di forza,
a chiamarla debolezza.
Ma la fragilità è bellezza che non urla,
è verità che non pretende.
È nel volto di chi ha perso e continua a donare,
nelle mani che tremano ma ancora accarezzano,
negli occhi che hanno visto troppo
e scelgono ancora di guardare.
La fragilità è il contrario dell’indifferenza.
È il ponte tra il dolore e la speranza.
È il luogo dove l’umano si fa intero.
E allora, non vergogniamoci di essere fragili.
Perché è lì, proprio lì,
che nasce la bellezza più vera.
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