Israele, la pelle del potere
Un post che non si limita a raccontare, ma accusa. Un grido civile che non cerca consolazione, ma verità.
La pelle del potere: Gaza e l’arroganza che uccide
Contro l’arroganza del potere, le parole sembrano sterili. I concetti si svuotano. I proclami si dissolvono. Eppure, non possiamo tacere.
A Gaza, il potere non indossa una divisa: ha una pelle fatta di pragmatismo cinico, di calcoli geopolitici, di indifferenza assoluta. Ogni decisione è una condanna. Ogni strategia è una demolizione. Ogni silenzio è complice.
I despoti non si fermano davanti ai morti. Non si piegano davanti alle macerie. Non si interrogano davanti ai bambini sepolti sotto le bombe. Tirano dritti. Con la freddezza di chi ha trasformato la distruzione in mestiere.
Grattacieli abbattuti. Quartieri rasi al suolo. Ospedali bombardati. Scuole distrutte. Civiltà cancellata. Libertà negata.
E mentre il mondo balbetta, mentre le diplomazie si perdono in circonlocuzioni, mentre i media si affannano a “contestualizzare”, Gaza muore. Ogni giorno. Ogni ora. Ogni minuto.
Chi ha il potere non si chiede se sia giusto. Si chiede quanto convenga. E chi subisce non ha più nemmeno il diritto di esistere. Non è più persona: è danno collaterale. È statistica. È rumore di fondo.
Questo non è un conflitto. È un massacro. È una disumanizzazione sistematica. È l’arroganza che si fa carnefice.
E allora sì, le parole sono sterili. Ma il silenzio è assassino.
Questo post è un atto d’accusa. Contro chi bombarda. Contro chi giustifica. Contro chi tace. Contro chi volta lo sguardo. Contro chi ha smesso di vedere l’umano dietro il nemico.
Gaza non è una questione politica. È una questione morale.
E se non lo capiamo ora, saremo complici per sempre.
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