La coscienza di Israele

 

La voce lucida e inquieta di chi osserva il mondo senza voltarsi dall’altra parte.


Israele, Gaza e la coscienza smarrita: il grido che viene da dentro

Dopo la Shoah, il mondo ha giurato che mai più si sarebbe piegato all’ideologia della razza e allo sterminio sistematico. Il popolo ebraico, sopravvissuto all’abisso, ha ricostruito la propria identità con forza, intelligenza e dignità. Israele è diventato un simbolo di rinascita: potente, moderno, scientificamente avanzato. Ma oggi, qualcosa si è incrinato. E non è solo la pace a mancare: è la coscienza.

L’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas ha riportato l’orrore in terra israeliana. Un assalto brutale, che ha lasciato dietro di sé morte, paura e ferite profonde. Ma la risposta dello Stato israeliano, guidato da una coalizione di estrema destra, ha superato i confini della legittima difesa. La furia bellica si è riversata sulla Striscia di Gaza con una violenza che ha travolto civili, ospedali, scuole, vite innocenti. La giustizia si è trasformata in vendetta, e la ragione ha ceduto il passo alla distruzione.

Dentro Israele, però, le voci critiche non tacciono. Ex generali, giornalisti, cittadini comuni si interrogano sul senso di questa guerra. Manifestazioni chiedono la liberazione degli ostaggi e la fine delle ostilità. Il quotidiano Haaretz denuncia la deriva autoritaria e la perdita di umanità. Ma queste voci, pur coraggiose, sembrano impotenti di fronte alla macchina bellica e alla retorica del potere.

Fuori da Israele, la diaspora ebraica si divide. In America, in Europa, in Italia, molti ebrei si dissociano dalle scelte del governo Netanyahu. Alcuni scendono in piazza, altri scrivono appelli, altri ancora si interrogano sul significato profondo dell’identità ebraica. Non è tradimento, è responsabilità. È il dovere di chi ha memoria e non vuole che la tragedia del passato venga usata per giustificare nuove sofferenze.

E i media? Spesso raccontano il conflitto in modo parziale, spettacolarizzato, decontestualizzato. L’attacco di Hamas è stato giustamente condannato, ma la narrazione dominante ha ignorato decenni di occupazione, colonizzazione, umiliazione. Solo pochi giornalisti, pochi spazi, provano a restituire complessità e verità.

La sensazione, oggi, è che ci sia ben altro dietro. Interessi geopolitici, strategie di potere, sopravvivenze politiche. Ma dietro tutto questo, c’è anche una domanda che brucia: dove è finita la coscienza? Dove sono finiti i valori che hanno fondato Israele come rifugio di giustizia?

Non basta vincere una guerra. Bisogna vincere la sfida della memoria, della dignità, della pace. E per farlo, serve ascoltare le voci che vengono da dentro. Quelle che non urlano, ma resistono. Quelle che non sparano, ma pensano. Quelle che non giustificano, ma interrogano.


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