La gente comune, Forza morale
Il grido della coscienza comune
In un tempo in cui la verità viene truccata e la giustizia barattata, la coscienza comune ha scelto di parlare. Non con slogan vuoti, non con bandiere di partito, ma con il silenzio potente delle piazze senza sigle, con lo sguardo pulito di chi non ha nulla da guadagnare se non la dignità.
La Palestina brucia, Gaza piange, e il mondo osserva. Ma non tutto il mondo. C’è chi si è alzato in piedi, chi ha detto no alla cieca violenza, chi ha infranto l’isolamento con la sola forza della presenza. Sono loro, i cittadini senza etichette, che hanno restituito senso alla parola “umanità”.
Le organizzazioni storiche, i partiti, i sindacati — pur con le migliori intenzioni — sembrano parlare un linguaggio che non scalda più. Troppa ambiguità, troppa distanza tra i comizi e la realtà. La gente comune non crede più. E non è cinismo: è esperienza. È fame. È disillusione.
Il divario tra chi decide e chi subisce è diventato una voragine. Da una parte, stipendi inverosimili, privilegi, retorica. Dall’altra, eserciti di sottopagati, sfruttati, invisibili. Il lavoro c’è, dicono. Ma non dicono che è precario, umiliante, senza tutele. Non dicono che si lavora per sopravvivere, non per vivere.
Eppure, nonostante tutto, la coscienza resiste. Si organizza. Si educa. Si prende cura. Non cerca leader, cerca relazioni. Non cerca potere, cerca verità. È tempo di ascoltarla. Di darle spazio. Di smettere di parlare al posto della gente e iniziare a parlare con la gente.
La pace non è un’utopia. È una responsabilità. E la giustizia non è una concessione: è un diritto. Se le classi dirigenti non lo capiscono, sarà la base a ricordarglielo. Con le parole, con i gesti, con la presenza. Perché il futuro non si costruisce con le promesse, ma con la coerenza.
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