IL SILENZIO

 di Franco Cimino 

GAZA, IL GENOCIDIO ANNUNCIATO E IL SILENZIO COLPEVOLE DELL’EUROPA



C’era un solo palazzo ancora in piedi nell’inferno di Gaza. Uno soltanto. Un piccolo grattacielo che sembrava toccare il cielo, prima che un missile ne cancellasse anche l’ultima ombra. È diventato simbolo di ciò che resta: macerie.

Ma non solo quelle di cemento. Macerie morali, civili, politiche. Quelle dell’Europa, della comunità internazionale, di chi ha scelto di guardare altrove.


Da quasi due anni, con il pretesto della legittima difesa, Israele ha dato corpo a un progetto di annientamento sistematico. Non solo contro Hamas — che pure ha responsabilità evidenti e pesanti — ma contro un intero popolo. Circa un milione di civili: uomini, donne, bambini, anziani. Non soldati. Non terroristi.

E la parola genocidio, che all’inizio sembrava eccessiva, oggi è diventata necessaria.


Non è distrazione, né semplice passività. È calcolo. È la stessa logica che guida da decenni molte decisioni di politica estera: distruggere per poi ricostruire. Guerra come investimento.

Piatto ricco, mi ci ficco. Prima in Ucraina, ora anche in Palestina.


Il comportamento dell’Unione Europea è stato vergognoso. Non solo non si è fermato il massacro, ma si è lasciato intendere che, in fondo, la spartizione postbellica potrebbe coinvolgere anche noi.

E l’Italia? Ancora più grave. Due ministri del governo si sono detti apertamente a fianco di Israele, ignorando il mandato della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu.

Siamo arrivati al punto che un criminale di guerra può essere accolto con gli onori riservati a un capo di Stato. Questo, in un Paese che si dice cattolico, cristiano, fondato sulla pace.


Nel frattempo, oltre un milione di palestinesi vive in condizioni che ricordano — e non è una forzatura — i campi di concentramento del secolo scorso. Senza acqua, cibo, cure mediche. Si muore per malattie curabili, per fame, per il freddo.

E noi, in Europa, buttiamo cibo, latte e medicine nella spazzatura.


Questa non è più geopolitica. È complicità. È ingiustizia. È peccato, per chi crede. È un crimine morale e forse anche penale.

E chi governa con questa indifferenza, dovrebbe essere rimosso. Subito.

Anche solo per incapacità. Anche solo per stupidità. Perché in politica, la stupidità equivale alla corresponsabilità.


La parola da dire è una, chiara, definitiva: basta.


Basta con le stragi.

Basta con l’occupazione.

Basta con il silenzio.

Basta con il pretesto degli ostaggi, usato per giustificare l’invasione, quando molti di loro — lo sappiamo — sono morti proprio sotto i bombardamenti dell’esercito israeliano. O lasciati morire dalle mani carnefici dei loro prigionieri, per rappresaglia a ogni brutale attacco israeliano. 

Basta con l’ipocrisia, con la diplomazia che finge equilibrio mentre tollera crimini.

Basta con l’idea che la guerra sia una fase necessaria alla ricostruzione.


Si imponga a Israele, con gli strumenti del diritto internazionale e della pressione diplomatica e commerciale, il cessate il fuoco immediato.

Si pretenda il ritiro dai territori occupati.

Si sostenga — e si garantisca — la creazione di uno Stato palestinese libero e indipendente, come sancito da accordi sottoscritti e poi disattesi per decenni.

Si imponga anche un piano di ricostruzione, partecipato e giusto, che restituisca ai palestinesi non solo le macerie, ma la possibilità di vivere. Non di sopravvivere: di vivere.


Perché ciò che si consuma oggi non è solo un crimine contro un popolo, ma un crimine contro l’idea stessa di giustizia, di diritto, di umanità. E questo si chiama con il solo nome che lo spiega bene, genocidio. 


Se l’Europa ha ancora una coscienza, se i governi occidentali vogliono ancora dirsi civili, se l’Italia vuole davvero tornare a essere un Paese credibile, allora non basta una presa di posizione.

Serve una scelta. Serve il coraggio di dire: non in nostro nome.


Perché non esiste pace costruita sull’annientamento di un popolo. 

E non esiste sicurezza duratura fondata sul sangue degli innocenti. 

 Franco Cimino

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