Sotto accusa, sopra l'odio
“Lettera aperta per chi può ancora scegliere il bene comune”
Sotto scacco, sopra le bombe
In un angolo del mondo, a Gaza, si muore. Non per caso, non per errore, ma per sistematica disumanizzazione. E mentre i corpi si accumulano, qui sotto le luci dei riflettori si discute se chiamarlo genocidio. Come se la semantica potesse assolvere la coscienza. Come se la morte avesse bisogno di un’etichetta per essere riconosciuta.
Io non cerco definizioni. Cerco la sostanza. E la sostanza è questa: milioni di persone inermi muoiono per mano di un macellaio e dei suoi fiancheggiatori. E chi osa guardare, chi osa parlare, viene accusato di violenza, di provocazione, di ignoranza. I rappresentanti di governo urlano contro chi non la pensa come loro, sciorinano numeri, convinti di avere a che fare con ebeti sprovveduti. Ma dimenticano che dietro ogni cifra c’è un volto, una madre, un figlio, una storia.
Nel frattempo, qui, l’occupazione aumenta. Così dicono. Ma non spiegano come. Non raccontano che “occupata” è anche la ragazza con contratto intermittente, due giorni a settimana, salario da fame, sotto scacco perché non può nemmeno chiarire i suoi diritti. Non raccontano che il secondo stop non è per inefficienza, ma per calcolo. Perché l’azienda ha fatto due conti e ha deciso che qualche stipendio può essere sospeso. Per una questione di “baget”.
E allora mi chiedo: cosa unisce Gaza e il centro commerciale? Cosa lega la bomba al foglio Excel? La risposta è semplice e terribile: il disprezzo per la vita non redditizia. La convinzione che alcune esistenze valgano meno. Che si possano sacrificare, silenziare, ignorare.
Ma io non ignoro. Io vedo. E scrivo. Perché testimoniare è già resistere. Perché la parola, quando è onesta, è più forte di qualsiasi propaganda. Perché la sostanza, quella vera, non si misura in definizioni, ma in dignità.
Un appello alla saggezza, alla responsabilità, alla cura, un invito a:
Governare con la luce accesa, affinché:
Chi governa torni a guardare negli occhi chi è governato.
Che smetta di urlare contro chi dissente, e cominci ad ascoltare chi testimonia.
Che tolga la maschera degli odiatori, quella che trasforma il dissenso in nemico, la fragilità in colpa, la povertà in fastidio.
Governare non è dominare.
È custodire. È scegliere la complessità invece della semplificazione.
È riconoscere che dietro ogni statistica c’è una vita, dietro ogni salario tagliato c’è una dignità ferita.
Il bene comune non si costruisce con slogan, ma con gesti concreti di tolleranza, comprensione, e giustizia.
Con il coraggio di dire: “Abbiamo sbagliato.”
Con la forza di cambiare rotta, non per convenienza, ma per coscienza.
Perché solo chi sa ascoltare il dolore può davvero guidare verso la speranza.
Il mio è un invito al disarmo mentale, una resa pacifica. Un gesto d'amore!
Un invito alla tolleranza e alla responsabilità, rivolto a chi governa, ma anche a chi ascolta, questo il senso della:
“Lettera aperta per chi può ancora scegliere e perseguire il bene comune”
Vi scrivo non per accusare, ma per ricordare.
Ricordare che governare non è comandare.
È custodire. È servire. È ascoltare.
In un tempo in cui le bombe cadono su Gaza e i contratti intermittenti cadono su chi lavora, in Italia, in un tempo in cui la retorica è più forte della compassione,
in un tempo in cui si confonde il dissenso con l’odio,
vi chiedo di togliere la maschera.
La maschera degli odiatori.
La maschera di chi divide per governare.
La maschera di chi crede che il potere sia più importante della verità.
Vi chiedo di guardare negli occhi chi vive sotto scacco.
Chi lavora due giorni a settimana per un salario da fame.
Chi sopravvive sotto le bombe, senza sapere se vedrà il domani.
Chi testimonia, chi denuncia, chi resiste.
Vi chiedo di governare con saggezza.
Con la luce accesa.
Non quella dei riflettori, ma quella della coscienza.
Perché il bene comune non si costruisce con slogan,
ma con gesti concreti di tolleranza, comprensione e giustizia.
Con il coraggio di cambiare rotta.
Con la forza di dire: “Abbiamo sbagliato. Ora ascoltiamo.”
Che il vostro potere sia servizio.
Che la vostra voce sia ponte.
Che la vostra azione sia cura.
Perché solo chi sa ascoltare il dolore può davvero guidare verso la speranza.
Con rispetto e fermezza
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