L'opinione, condivisa, di Franco Cimino
LE PAROLE CATTIVE DI ORBÁN E LE NUOVE STRATEGIE IMPERIALISTE
«L’Europa, sullo scenario mondiale, non conta nulla. In questi giorni incontrerò Trump e gli chiederò di togliere le sanzioni alla Russia e di costruire un nuovo rapporto con Putin».
Sono parole testuali pronunciate ieri da Viktor Orbán, capo indiscusso dell’Ungheria, nel corso della sua visita ufficiale in Italia, tra l’incontro con Papa Francesco e quello con la nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con la quale è noto intrattenere un rapporto di amicizia e condividere molte vedute politiche.
Sono parole sbagliate, scorrette, e – nel contesto di una visita ufficiale – anche molto gravi. Ancora di più perché pronunciate in Italia, non l’Italia degli attuali governanti e della sua momentanea collocazione a destra nello scacchiere europeo e mondiale, ma l’Italia che è stata tra le fondatrici dell’Unione Europea. L’Italia che, come ricorda spesso il Presidente della Repubblica, ha contribuito ai principi fondanti dell’Unione, ispirati a quelli fondamentali della nostra Costituzione.
Non serve ripeterli: in estrema sintesi, si tratta di un’Europa libera e democratica, un’unione di Stati nazionali estranei ai nazionalismi e ai sovranismi.
Le parole di Orbán, oltre che politicamente inopportune, sono volgari, oltraggiose e perfino maleducate. Lo sono ancor più in un’Europa che oggi soffre sinceramente per il dramma genocidario che si consuma oltre il suo mare più importante e che resta traumatizzata dalla guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina, Stato libero, indipendente e sovrano.
Sono anche arroganti, per la mancata risposta del nostro governo. Come ormai consuetudine, poco filtra dalle stanze dei colloqui riservati: restano solo i volti dei leader. Qualche dettaglio emergerà più avanti. Tuttavia, il fatto che la presidente del Consiglio non si sia pronunciata, che il ministro degli Esteri si sia rifugiato in una risposta ambigua e debole davanti ai giornalisti, e che, alla fine della sua visita ufficiale di Stato, Orbán si incontri anche con l’onorevole Salvini – vicepresidente del Consiglio, ministro autorevole e capo di un partito – mostra una certa debolezza politica.
Oggi, l’Italia non sembra recitare un ruolo importante e decisivo nella politica internazionale, né come rappresentante delle posizioni europee – pur flebili e contraddittorie – né come portatrice della propria storica cultura di libertà, autonomia e coraggio, maturata sul fronte internazionale. In particolare nel Mediterraneo: un campo difficile ma decisivo, su cui, da Moro ad Andreotti, da Berlinguer a Craxi, l’Italia ha sempre espresso posizioni chiare e coraggiose.
Detto questo, le dichiarazioni di Orbán non sono estemporanee: sono studiate e calcolate. Sembrano battute da bar, ma sono frutto di una strategia concordata – guarda caso – o forse ispirata dal nuovo leader della destra mondiale, il presidente degli Stati Uniti, sempre più impegnato a vincere quella che egli chiama una “crociata per la pace”, ma in realtà quella sorta di concorso da lui indetto per l’assegnazione del prossimo Premio Nobel.
Orbán, sia pure in modo provocatorio e offensivo, dice anche alcune verità. Una su tutte: l’Europa è debole, e perciò conta poco sullo scenario internazionale. Ma di chi è la responsabilità di questa debolezza?
I motivi principali sono tre:
Primo. Si sta affermando una nuova cultura della destra mondiale, che con le sue spinte nazionaliste e sovraniste – già radicate in molti Paesi europei – non crede nell’Europa. Non in quell’Europa democratica che la storia aveva faticosamente costruito.
Secondo. Questa destra, pur chiusa nei confini nazionali, ideologicamente confusa e contraddittoria, finora mancava di un leader forte che la unificasse e la organizzasse in un soggetto politico nuovo, unitario e identitario, capace di farsi riconoscere e affermare in ogni Stato e di creare alleanze tra i “Paesi affini”.
Terzo. Questa destra ha trovato il suo leader. E perché un leader internazionale di destra possa esserlo davvero, deve incarnare – anche fisicamente e caratterialmente – i tratti della leadership autoritaria: forza fisica, arroganza, spirito di divisione, visione binaria del mondo diviso tra amici da premiare e nemici da punire.
È, questa, una cultura premiale, fondata sul potere economico e sulle forze capitalistiche che in esso si rafforzano, generando divisione sociale ed economica tra forti e deboli, ricchi e poveri. Il potere politico si radica così nei ricchi divenuti oligarchi, che si arricchiscono sulla povertà della maggioranza prodotta dalla stessa cultura economica che li sostiene.
Quarto. Questa nuova ideologia internazionalista di destra, nel contempo reazionaria, ha bisogno di ridisegnare gli equilibri geopolitici del pianeta. Si sta disegnando una nuova carta del mondo, articolata tra un blocco egemone guidato dall’unica superpotenza rimasta pienamente tale – gli Stati Uniti – con i suoi alleati e satelliti, premiati da una nuova distribuzione delle risorse globali, e un altro blocco, non ostile ma collaborante sul piano economico, guidato dalla Cina capitalista.
La Russia, nel mezzo, determinerà il proprio destino in base all’esito della sua guerra accelerata contro l’Ucraina. Si accoderà alla Cina o agli Stati Uniti? È incerto.
Questo scenario ha bisogno di un’Europa debole, che perda definitivamente il suo progetto originario: essere il “terzo continente”, popoloso e ricco, capace – superata la vecchia dicotomia tra superpotenze – di porsi come elemento di mediazione e pacificazione, per costruire un mondo diverso, in cui pace e progresso camminino insieme a libertà e democrazia.
Per tutti i Paesi e per tutti i popoli del mondo.
Non capire questo, qui da noi, è tanto stolto quanto colpevole.
Perché la pace non si impone con la forza del più forte né con la vittoria nelle guerre. La pace si costruisce con la pace, e con una vera cultura della pace, fondata sull’amore per la vita e per l’uomo nella natura che è Vita. Armonia di Pace.
Franco Cimino

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