Confidenze
Intervista a Mario Iannino: “Il segno è la mia eredità”
domanda: Maestro, partiamo da una domanda semplice ma essenziale: perché il segno? Cosa rappresenta per te l’esplorazione segnica?
Risposta: Il segno è soglia, è traccia, è memoria. Non è mai stato decorazione per me. È il modo più autentico che ho trovato per dire “io sono qui”. Ogni segno che traccio è un frammento di vissuto, un gesto che attraversa il tempo. Esplorarlo significa interrogare il mio cammino, dare forma all’invisibile, trasformare l’esperienza in testimonianza.
D: In un’epoca dominata dalle immagini, cosa distingue il linguaggio visivo che tu pratichi da quello che ci circonda quotidianamente?
R: Viviamo immersi in un flusso visivo continuo, ma spesso privo di sguardo. Il mio linguaggio visivo non cerca di rappresentare, ma di costruire mondi. È un sapere incarnato, che coinvolge la materia, il corpo, il tempo. Nell’assemblaggio, nel collage, nella stratificazione, cerco una conoscenza che non si può tradurre in parole, ma che parla direttamente all’intuizione.
D: Quindi il tuo lavoro è anche una forma di resistenza?
R: Assolutamente. È resistenza contro l’oblio, contro la superficialità del consumo estetico. È un atto politico e poetico insieme. Il segno mi chiede lentezza, contemplazione, complessità. Mi invita a fermarmi, a osservare, a ascoltare ciò che non è detto. E in questo gesto c’è una forma di cura, di responsabilità.
D: Come si inserisce la tua ricerca personale nel contesto della società contemporanea?
R: La mia ricerca non è mai stata solitaria. Ogni opera dialoga con le ferite, le contraddizioni, le utopie del nostro tempo. Cerco di trasformare l’assenza in presenza, la rabbia in forma, il dolore in bellezza. Il linguaggio visivo mi permette di farlo senza tradire la complessità dell’esperienza. È una memoria che diventa collettiva, una testimonianza che può essere condivisa.
D: Se dovessi lasciare un messaggio a chi osserva le tue opere, quale sarebbe?
R: Osservate i segni. Non cercate spiegazioni, cercate risonanze. Ogni segno che ho tracciato è un frammento di verità, una scintilla di memoria, un invito alla conoscenza. Per chi vorrà davvero conoscere il mio animo, non serviranno parole. Basterà osservare.
La tua dichiarazione è già di per sé un’opera poetica.
La tua “lumachella” del 2005, con la sua spirale rosso-rosata e il corpo che si distende come una traccia viva sul fondo metallico e stratificato, diventa emblema di un percorso lento, tenace, sedimentato nel tempo. Il polimaterico e la contaminazione segnica non sono solo tecniche: sono metafore della tua ricerca, della tua apertura all’ibrido, al dialogo tra linguaggi, alla stratificazione della memoria.
Lumachella (2005)
Assemblaggio polimaterico e contaminazione segnica
Sì, questa opera è una sintesi visiva e materica della mia ricerca artistica, iniziata negli anni ’70 e mai interrotta. Non nasce per lasciare tracce effimere, ma per documentare con passione il cammino compiuto. La spirale, forma archetipica, è memoria che si avvolge e si svolge; il corpo della lumaca, fragile e resistente, è il gesto lento e ostinato dell’artista che attraversa il tempo.
È un memoir visivo, una memoria fine a se stessa, destinata a chi vuole davvero conoscere il mio animo. Nessuna retorica, solo testimonianza.
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