SINNER E LA LIBERTÀ SMARRITA.
QUANDO IL LIBERALISMO DIMENTICA LA DEMOCRAZIA
di Franco Cimino
La scelta di Jannik Sinner di non partecipare alla Coppa Davis ha diviso l’Italia.
Una metà lo condanna come traditore della patria sportiva, l’altra lo difende come professionista moderno, libero di decidere secondo la propria logica di lavoro. Entrambe le posizioni, però, sfiorano appena la questione vera: non è Sinner il problema, ma la cultura che lo ha formato. Io vengo da un’altra stagione, quella in cui la politica era un confronto di idee, di dottrine, di visioni del mondo.
Negli anni della mia giovinezza nella Democrazia Cristiana, era normale definirsi socialisti, comunisti, liberali, repubblicani o cattolici democratici. Ciascuno portava un pensiero, una scuola, una tradizione. Quel pluralismo — autentico e persino conflittuale — nutriva la democrazia e dava significato alla partecipazione.
Poi arrivarono gli anni Novanta, Mani Pulite, la “discesa in campo”. L’Italia politica cambiò pelle.
I partiti storici scomparvero, le culture politiche furono archiviate come corruzione del passato.
Si impose una sola parola d’ordine: liberale. Ma quella parola, nobile nella sua storia, fu svuotata. Da ideale di libertà responsabile divenne giustificazione dell’arbitrio, sinonimo di individualismo, espressione del diritto di ciascuno a fare ciò che vuole senza più regole comuni. Oggi la cultura dominante è questa: la libertà come proprietà privata, la democrazia come orpello formale. E lo sport, un tempo luogo di valori e di identità collettiva, è diventato il campo d’addestramento di questa ideologia. L’atleta non rappresenta più un popolo: è un’azienda globale.
Sinner, con il suo entourage internazionale di manager, tecnici, medici e sponsor, non è soltanto un tennista: è un’impresa economica che deve produrre reddito, visibilità, profitto. Pretendere che rinunci a tornei milionari per amore di patria è ingenuo. Non perché manchi di sentimento, ma perché appartiene a un sistema che misura tutto in termini di rendimento. Non è lui ad aver tradito la bandiera; è il nostro tempo ad averla sbiadita confondendo il valore della libertà con il prezzo della prestazione. Per questo Sinner ha insieme ragione e torto. Ha ragione come figlio coerente della sua epoca; ha torto come erede inconsapevole di una cultura che ha smarrito il senso della comunità. Non serve condannarlo: serve interrogarsi su di noi, su un Paese che ha smesso di discutere di idee, che ha perso la sua grammatica democratica.
La libertà, da sola, può diventare prepotenza, in questa falsa cultura liberale. Solo la democrazia riesce a tenerla insieme con la giustizia, a unire individuo e collettività, profitto e solidarietà, economia e umanità. Progresso e Democrazia.
È da qui che dovremmo ripartire.
Forse il problema non è che Sinner non giochi la Coppa Davis.
Il problema è che noi, come società, non giochiamo più la partita della democrazia. E io che sono rimasto profondamente democratico-né liberale, né progressista, ma ambedue le culture il quell’unificante valore- soffro molto. Anche vedendoli giocare, i nostri straricchi campioni.
PS: adesso corro a vedere con quale facilità Jannik ha vinto la finale del torneo internazionale di Vienna
Franco Cimino
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