Tra arte, mercato, e visibilità condizionata
Arte e mercato: un legame ambivalente
L’arte, per quanto si proclami libera e indipendente, è spesso intrappolata in logiche di visibilità, branding e capitalizzazione. I circuiti ufficiali — musei, gallerie, festival, premi — sono dominati da dinamiche di potere, dove le lobby culturali, le relazioni personali e le strategie di marketing decidono chi emerge e chi resta invisibile. L’artista “libero” è spesso tale solo nella misura in cui riesce a negoziare con queste forze.
La cultura non è più solo espressione, ma merce. Il valore
simbolico dell’opera si intreccia con il suo valore economico. I nomi noti
diventano marchi, e il loro lavoro viene tesaurizzato come investimento. Questo
crea una barriera quasi invalicabile per chi non ha accesso ai canali di
legittimazione: gli emergenti, i marginali, gli outsider sono vittime di associazioni
e lobby: il potere invisibile!
Le “associazioni” e i gruppi di interesse citati sono il
tessuto connettivo del sistema. Non sempre agiscono in modo esplicito, ma
influenzano scelte curatoriali, finanziamenti, premi, pubblicazioni. La giustizia
sociale, in questo contesto, appare come un’eccezione, un colpo di fortuna, più
che un risultato sistemico.
La manipolazione mentale è reale: il gusto viene educato, il
pubblico viene indirizzato, e ciò che “vale” viene deciso da pochi. L’arte che
non si allinea, che non è “spendibile”, rischia di essere ignorata, anche se
potente e necessaria.
Si dice che l’arte renda liberi, ma spesso è proprio
l’artista a essere imprigionato. Libero nel gesto creativo, ma vincolato nel
sistema di diffusione. La cultura può essere strumento di emancipazione, ma
solo se riesce a sottrarsi — almeno in parte — alle logiche di mercato. Di fatto
è un paradosso il concetto dell’arte liberatrice.
Procediamo con alcuni esempi e riflessioni su artisti e
movimenti che hanno cercato di rompere i meccanismi del mercato e delle lobby
culturali, o che hanno trovato vie alternative per esistere e resistere.
La velocità della divulgazione mediatica spesso privilegia l’impatto emotivo rispetto alla profondità poetica. Banksy, con i suoi stencil, ha saputo sintetizzare messaggi universali in forme immediate, quasi virali. Ma la poetica di Mario Iannino si muove in un territorio diverso: meno istantaneo, più stratificato, più resistente al consumo rapido.
La sua poetica non cerca lo shock, ma la risonanza.
Non si limita a denunciare: trasforma. Prende i simboli urbani e industriali — spesso dimenticati o marginalizzati — e li rilegge come metafore civiche, come tracce di memoria collettiva. Dove Banksy semplifica per colpire, lui complessifica per includere.
Attraverso collage, manifesti, lettere editoriali e locandine, costruisce un linguaggio che non si impone, ma invita. Invita a riflettere, a riconoscersi, a partecipare. È una poetica che non si consuma in un click, ma si sedimenta nel tempo — come un seme che attende il terreno giusto per germogliare.
E se i mass-media si nutrono di umori, lui nutre la dignità.
La sua arte non rincorre l’attualità, ma la riformula. Non cerca il consenso, ma la comunanza. E in questo, forse, sta la sua forza più radicale: nel non voler essere virale, ma vitale.
Arte come dissenso: il caso di Banksy
Banksy è emblematico: un artista che ha scelto l’anonimato,
rifiutando il sistema delle gallerie e dei collezionisti, eppure è diventato
un’icona globale. Le sue opere appaiono nei luoghi pubblici, spesso senza
autorizzazione, e criticano apertamente il potere, il consumismo, la guerra.
Paradossalmente, il mercato ha cercato di inglobarlo, vendendo persino i muri
su cui dipinge. Ma la sua forza sta nel sabotare le regole del gioco.
Molti artisti emergenti trovano respiro in spazi
autogestiti, collettivi, residenze alternative. Penso a realtà come *MACAO* a
Milano, *Teatro Valle Occupato* a Roma, o *L’Asilo* a Napoli: luoghi dove si
sperimenta una cultura non subordinata al profitto, dove l’arte è vissuta come
bene comune. Questi spazi resistono, ma spesso sono sotto attacco o ignorati
dalle istituzioni.
E poi c’è internet come ulteriore strumento di democratizzazione.
La rete ha aperto brecce: piattaforme come Patreon,
Substack, Bandcamp, o anche i social, permettono agli artisti di bypassare
intermediari. Ma anche qui, la visibilità è spesso legata agli algoritmi, e il rischio
è di riprodurre nuove forme di esclusione. Tuttavia, alcuni riescono a
costruire comunità autentiche, basate su scambi reali.
C’è chi rifiuta l’oggetto artistico come merce e lavora
sull’esperienza, sulla relazione. L’arte diventa processo, incontro,
trasformazione sociale. Penso a Tania Bruguera, Santiago Sierra, oppure ai
progetti di arte pubblica che coinvolgono comunità marginali. Qui il valore non
è monetizzabile, e spesso sfugge alle logiche del mercato.
Anche nel pensiero critico troviamo voci che smascherano le
dinamiche culturali dominanti: da Pier Paolo Pasolini, che denunciava la
mercificazione della cultura, a Franco “Bifo” Berardi, che riflette sul
precariato creativo e sulla colonizzazione dell’immaginario. Questi
intellettuali non offrono soluzioni facili, ma strumenti per decostruire.
Mario Iannino è un artista che ha scelto la via
dell’indipendenza, costruendo nel tempo un linguaggio personale e una pratica
che sfida le logiche dominanti del mercato. La sua azione è concreta, radicata
nel territorio e nella ricerca.
Ha scelto un percorso fuori dai
circuiti dominanti fin dagli esordi.
Mario Iannino, è attivo a Catanzaro fin dai primi anni '70, ha
costruito una carriera lontana dai riflettori delle grandi gallerie e dai
meccanismi elitari. La sua produzione spazia dalla pittura polimaterica
all’astratto informale, fino alla grafica digitale e all’arte politico-sociale.
Non si è mai piegato alle mode, ma ha seguito una traiettoria coerente, fondata
su studio, sperimentazione e apertura al dialogo.
La sua recente mostra “Linguaggi mutevoli” raccoglie oltre 80 opere
e rappresenta il culmine di una ricerca che unisce riflessione semantica e
tensione poetica. Iannino afferma: “Quello che ci dà sensazioni o ci comunica
qualcosa va sublimato”. Questa frase racchiude il suo approccio: l’arte come
strumento di elevazione, non di consumo. Ricerca semantica e poesia visiva,
dunque. Con uno sguardo attento all’azione
sul territorio e apertura ai giovani.
Nel 1986 apre il suo studio ai giovani, con il
patrocinio di enti pubblici e privati, crea uno spazio di formazione e
scambio. Questo gesto è profondamente politico: significa rompere l’isolamento,
costruire comunità, trasmettere sapere. È una forma di resistenza culturale che
agisce dal basso nelle periferie sonnacchiose.
Oltre alla pratica visiva, Iannino ha pubblicato libri che
ampliano la sua riflessione, disponibili anche online. Questo dimostra una
volontà di lasciare traccia, di costruire un pensiero che accompagni l’opera e
la renda accessibile. Anche mediante la produzione editoriale e la diffusione
del pensiero critico.
La sua azione è un invito a condividere i saperi e le passioni e a radicarci convintamente nel territorio. Costruire reti orizzontali con altri artisti e con il pubblico. Sottrarsi alle logiche di mercato senza rinunciare alla visibilità. Usare l’arte come strumento di pensiero, non solo di estetica.
Mario Iannino sviluppa una ricerca artistica profonda e
coerente, fondata sulla trasformazione semantica e sulla tensione poetica. Le
sue opere sono il frutto di una riflessione che attraversa materiali, linguaggi
e significati, con una forte impronta etica e sociale.
Iannino afferma: “Quello che ci dà sensazioni o ci comunica qualcosa va sublimato” — una dichiarazione che sintetizza la sua poetica: l’arte come processo di elevazione, non come decorazione. Ricerca artistica: tra semantica e sublimazione, quindi.
La sua ricerca si muove tra pittura polimaterica, astratto
informale, grafica digitale e arte politico-sociale. Ogni opera è un tentativo
di dialogo, di comunicazione profonda tra sensibilità. Non c’è compiacimento
estetico, ma tensione verso il significato.
Recensione di alcune opere pubblicate nel web:
1.“Fuori dal coro” – Pittura, Politico/Sociale
Questa opera si distingue per la sua forza espressiva e il
messaggio di rottura. Il titolo stesso è un manifesto: l’artista si pone fuori
dalle logiche dominanti, fuori dal conformismo. I colori sono intensi, le forme
spezzate, come a voler denunciare una realtà frammentata e oppressiva.
2. “Polimaterico” – Pittura,
Astratto Informale
In questa serie, Iannino sperimenta materiali e texture,
creando superfici vibranti e stratificate. L’astrazione non è fuga, ma
immersione: ogni segno è un frammento di pensiero, ogni materia è memoria.
L’opera invita a una lettura tattile e mentale, dove il significato si
costruisce nel tempo.
3.“Io sono vita, abbraccio essenziale” – Donata al Centro
Calabrese di Solidarietà
Quest’opera, dal titolo potente e poetico, è un gesto di
generosità e impegno civile. Il concetto di “abbraccio essenziale” richiama
l’idea di connessione, di cura, di presenza. È arte che si fa dono, che esce
dallo spazio espositivo per entrare nella vita.
4. “Autoritratto” – Grafica Digitale
Qui l’artista si confronta con la propria immagine, ma lo fa
attraverso il filtro della tecnologia. Il ritratto non è narcisismo, ma
interrogazione: chi siamo, come ci vediamo, come ci rappresentiamo. La grafica
digitale diventa strumento di introspezione e critica.
Il fare di Iannino è una pratica resistente e generosa
perché Mario Iannino non cerca il consenso, ma il senso. La sua arte è “resistenza
culturale”, “dialogo umano”, “sperimentazione linguistica”. È un esempio raro
di coerenza e profondità, che merita attenzione e studio. La sua azione sul
territorio, la sua apertura ai giovani, e la sua produzione editoriale lo
rendono un punto di riferimento per chi crede in un’arte libera e necessaria.
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