Il tempo si sente
"scrittura creativa"
La retorica del “risparmio” è spesso una scorciatoia
semantica che confonde consapevolmente l’ottimizzazione contabile con il benessere umano. I
fautori dell’ora legale mostrano grafici, curve, percentuali: energia
risparmiata, costi abbattuti, efficienza aumentata. Ma raramente si interrogano
sull’effetto che questa disciplina del tempo ha sul corpo, sulla mente, sul
ritmo interno delle persone.
Ci dicono che l’ora legale è utile perché si risparmia e che
la luce è “ottimizzata” secondo le esigenze industriali e economiche. Che i
grafici parlano chiaro, ma nessuno mostra il grafico del sonno interrotto.
Del risveglio anticipato. Del corpo che non si adatta. Della
mente che si disorienta!
Il guadagno è sempre economico; mai umano, psicofisico. Ma mai
reale.
Abbiamo imparato a misurare tutto, tranne il disagio. Ecco che
la saggezza antica ci soccorre con la voce di una nonnina saggia, concreta, con
il passo lento e il pensiero lungo, che parla come chi ha vissuto, osservato, e
ora semina parole come si semina il pane duro per gli uccelli d’inverno:
Eh, caro mio, vieni qua vicino. Non ti preoccupare
dell’orologio, che tanto lui corre anche se non lo guardi.
Siediti, che ti racconto una cosa. Quando ero piccola, il
tempo lo si contava con la luce. La gallina usciva dal pollaio, il sole batteva
sulla pietra, e noi sapevamo che era ora di mettersi al lavoro. Non c’erano
lancette da girare, né decreti da rispettare. Il tempo era quello che sentivi
nelle ossa.
Poi sono arrivati gli uomini col tempo da risparmiare. Dicevano
che bastava spostare l’ora, e si guadagnava luce. Io li guardavo e pensavo: “Ma
la luce non si mette da parte come il pane secco. E neanche il sonno si può
stirare come le lenzuola.”
Ogni anno, da marzo a ottobre, ci fanno vivere un’ora
avanti. E poi, a fine ottobre, ce la restituiscono.
Come se fosse un favore. Come se il tempo fosse loro. Ma ti
dico una cosa, che ho imparato da vecchia:
il tempo non si risparmia. Si vive! E se lo vivi male, non c’è grafico che tenga o narrazione di benessere economico indotto.
Io ho visto gente svegliarsi col buio, mangiare di fretta,
correre dietro a orari che non sentivano propri.
E poi arrivare a sera stanchi, ma senza sapere perché. Non
era a causa del lavoro. Era il tempo rubato al ritmo naturale delle cose create
dal Buon Dio e donato all’industria, alle catene di montaggio, all’illuminazione
comunale.
Il gallo canta quando è il momento. Non quando glielo dice
il Comune. E noi dovremmo fare lo stesso.
Perciò, caro mio, non ti fidare troppo di chi ti parla di
ottimizzazione. Chiedi sempre: “Ottimizzato per chi?”
Perché il tempo, quello vero, non si misura in kilowatt. Si
misura in respiro, in sguardi, in passi lenti.
E ora vai, ma ricordati:
se ti svegli col canto del gallo, sei ancora vivo.
Se ti svegli col suono dell’allarme, sei già in ritardo.
La nonna si era appena seduta sulla sedia di paglia, il sole
ancora timido dietro il monte.
Il gallo cantava, puntuale come sempre. Il bambino, con gli
occhi ancora pieni di sogni, si avvicinò piano.
«Nonna, ma il gallo… come fa a sapere che è ora di
svegliarsi?»
La nonna sorrise, senza fretta.
«Il gallo non guarda l’orologio, tesoro. Lui sente il tempo
nel petto.»
Il bambino ci pensò un po’, poi si voltò verso il pollaio. Il
gallo lo fissava, fermo, fiero.
«Gallo, gallo! Cos’è il tempo?»
Il gallo non rispose subito.
Fece due passi, grattò la terra, poi si fermò.
«Il tempo,» disse il gallo, «è quando la luce cambia e la
terra respira.
È quando il freddo si muove e le foglie si voltano.
È quando tu hai fame, e quando tua madre ti chiama.
Il tempo non si misura. Si sente.»
Il bambino lo guardò stupito.
«Ma allora perché papà ha spostato l’orologio ieri?»
Il gallo scrollò le piume.
«Perché gli uomini pensano di comandare il tempo. Ma poi si svegliano stanchi, e non sanno perché.»
La nonna annuì.
«Il tempo vero non si risparmia. Si vive, si ascolta, si lascia andare.
Come il canto del gallo. che arriva quando deve arrivare.»


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