Tomahawk e litio: il nuovo baratto
La pace? Solo dopo il catalogo armi
Aiutiamoli a distruggersi da soli!
Tre anni di guerra. Tre anni di missili, droni, carri armati, e conferenze stampa con bandiere dietro e occhi lucidi davanti. Tre anni in cui l’Ucraina è diventata campo di battaglia, vetrina bellica, e — diciamolo — catalogo promozionale per l’industria delle armi.
Zelensky chiede. L’Occidente risponde. Ma non con trattati di pace, bensì con Tomahawk, Patriot, F-16, e promesse di nuovi pacchetti difensivi. Ogni missile ha un prezzo. Ogni prezzo ha una clausola. Ogni clausola è un’ipoteca sul futuro di un popolo martoriato.
Nel frattempo, i paesi “amici” si affrettano a scavare nel sottosuolo ucraino: litio, grano, terre rare. La solidarietà ha il sapore del profitto. E mentre si parla di “resistenza democratica”, si firma per concessioni minerarie e corridoi energetici.
Trump, freddo come una sala riunioni, osserva. Calcola. Non si scalda. Non si espone. Ma non rinuncia al ruolo di arbitro silenzioso. Zelensky insiste: “Abbiamo bisogno di missili a lungo raggio”. E noi, da spettatori, ci chiediamo: dov’è l’intelletto?
Abbiamo perso il senso della ragione. La parola “pace” è diventata un intercalare da cerimonia, buona per chiudere i discorsi, non per aprire i negoziati. Si parla di “muri di droni”, di “difesa preventiva”, di “equilibrio strategico”. Ma nessuno parla di cessate il fuoco.
Aiutiamoli a distruggersi da soli! Così sembra dire il mondo. Con il sorriso diplomatico e il portafoglio aperto.
E noi, che coltiviamo ancora il dubbio e la testimonianza, ci chiediamo:
Chi seminerà la pace, se tutti vendono guerra?
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