Il confronto negato: anatomia di una democrazia selettiva
"Se potessi parlare con Giorgia e con tutti coloro che hanno trasformato la politica in un loro esclusivo campo di gioco, chiederei chiarimenti semplici, ma fondamentali. Interrogativi che, credo, frullino nella testa di chiunque abbia a cuore una visione sociale civile, democratica, e profondamente umana — con tutte le inevitabili conflittualità che ne derivano."
Il Gioco Unilaterale: Politica, Meritocrazia e l’Illusione della Partecipazione
In un tempo in cui la politica dovrebbe essere il luogo della rappresentanza, del confronto e della costruzione collettiva, assistiamo invece a una sua progressiva privatizzazione. I protagonisti della scena politica — da Giorgia Meloni ad altri esponenti di rilievo — sembrano aver trasformato il dibattito pubblico in un campo di gioco esclusivo, dove le regole non sono condivise e le voci esterne vengono marginalizzate. Questo fenomeno solleva interrogativi profondi, che toccano il cuore della democrazia e della convivenza civile.
L'azione politica come spettacolo e controllo
La politica contemporanea si presenta sempre più come uno spettacolo a senso unico. I cittadini, anziché essere attori del cambiamento, sono relegati al ruolo di spettatori, chiamati a reagire — con applausi o dissenso — a decisioni già prese. Il confronto si riduce a slogan, la complessità è semplificata in formule accattivanti, e il dissenso è spesso trattato come fastidio o minaccia.
In questo contesto, la partecipazione si svuota di significato. Le elezioni diventano rituali formali, mentre il potere si esercita in spazi opachi, lontani dalla vita quotidiana. Il cittadino non è più interlocutore, ma destinatario passivo di politiche calate dall’alto.
La meritocrazia come mito funzionale è uno dei concetti più abusati in questo scenario!
Nell’immaginario collettivo, essa, la meritocrazia, ricordiamolo, è un estratto semantico significativo che racchiude il senso delle peculiarità personali spesso travisato:
“Se potessi parlare con Giorgia e con tutti coloro che hanno trasformato la politica in un loro esclusivo campo di gioco, chiederei chiarimenti semplici, ma fondamentali. Interrogativi che, credo, frullano nella testa di chiunque abbia a cuore una visione sociale civile, democratica, e profondamente umana — con tutte le inevitabili conflittualità che ne derivano.ndo che alcuni hanno corso con pesi alle caviglie.”
Questo passaggio mette in luce il paradosso: il merito dovrebbe essere una leva di giustizia, ma rischia di diventare uno strumento di esclusione se non tiene conto del contesto sociale, economico e culturale in cui ciascuno si muove. dovrebbe rappresentare la giustizia del riconoscimento: “Diamo a Cesare quel che è di Cesare”. Ma nella pratica, la meritocrazia si rivela spesso un dispositivo retorico, utile a giustificare disuguaglianze e a legittimare esclusioni.
Chi stabilisce cosa sia il merito? E soprattutto, chi ha accesso alle condizioni per dimostrarlo? In un sistema in cui le opportunità sono distribuite in modo diseguale, parlare di merito senza considerare il contesto è una forma di mistificazione. È come premiare chi corre più veloce ignorando che alcuni partono svantaggiati, altri con ostacoli invisibili.
La retorica del “se vuoi, puoi” diventa così un’arma sottile: trasforma le difficoltà in colpe personali, e il successo in prova di superiorità. Il merito, anziché essere uno strumento di equità, diventa un criterio di esclusione.
Questa dinamica si riflette in modo emblematico nell’immagine di "Gennarino", il cane addestrato che strappa affetto da chi ignora i metodi coercitivi usati per insegnargli acrobazie e pose tenere. L’illusione di spontaneità nasconde una realtà di controllo, disciplina e privazione. Così anche il cittadino, convinto di partecipare, finisce per recitare un ruolo già scritto, in uno spettacolo che non gli appartiene.
La politica, in questo senso, diventa un esercizio di addestramento emotivo: si costruisce consenso attraverso la manipolazione delle emozioni, si ingrazia il pubblico con gesti simbolici, si ottiene approvazione con narrazioni rassicuranti. Ma dietro le quinte, le scelte continuano a essere dettate da interessi, calcoli e convenienze.
“Affari tuoi” e la pornografia dell’intimità
A rendere ancora più subdolo questo meccanismo è la spettacolarizzazione delle fragilità. Programmi come Affari tuoi, con la loro estetica patinata, mettono in scena il dramma umano come intrattenimento. Le emozioni diventano merce, le debolezze sonoesposte al pubblico giudizio, e la speranza si trasforma in un pacco da scartare.
È la stessa logica che pervade la politica: mostrare il lato umano solo quando serve a commuovere, a raccogliere consensi, a costruire empatia di facciata. Ma dietro le quinte, la vulnerabilità viene strumentalizzata, e la dignità delle persone diventa materiale da palcoscenico.
Di fronte a questo scenario, la sfida non è solo quella di denunciare, ma di ricostruire. Serve una nuova grammatica del politico: una lingua fatta di ascolto, di responsabilità, di coraggio. Una politica che non abbia paura del conflitto, ma lo riconosca come parte integrante della democrazia. Che non addestri, ma educhi. Che non spettacolarizzi, ma accompagni. Che non giochi, ma agisca.
Perché la posta in gioco non è un applauso in più o un sondaggio favorevole. È la dignità delle persone. E quella, non dovrebbe mai essere messa in palio.

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