Dall'11 settembre ad oggi

 

Impegno civile, terrorismo, geopolitica


Diritto e memoria: l’umanità sotto assedio tra terrorismo globale e conflitti armati

Introduzione

L’11 settembre 2001 ha segnato una frattura profonda nella coscienza collettiva del mondo contemporaneo. L’attacco alle Torri Gemelle non è stato soltanto un atto terroristico contro gli Stati Uniti, ma un colpo inferto all’idea stessa di civiltà. Da quel momento, il concetto di sicurezza ha assunto una centralità assoluta, spesso a scapito dei diritti fondamentali. In questo contesto, il diritto internazionale umanitario — pensato per limitare gli orrori della guerra — si è trovato a dover affrontare sfide inedite, tra guerre asimmetriche, terrorismo transnazionale e conflitti etnici.

L’eredità dell’11 settembre: sicurezza o sospensione del diritto?

La risposta globale agli attacchi dell’11 settembre ha inaugurato una stagione di interventi militari, sorveglianza di massa e politiche antiterrorismo che hanno ridefinito il rapporto tra Stato e cittadino. Il diritto alla sicurezza è stato spesso invocato per giustificare pratiche che, in altri contesti, sarebbero state considerate violazioni dei diritti umani. Guantánamo, le extraordinary renditions, e l’uso della tortura sono esempi emblematici di come il diritto possa essere sospeso in nome della lotta al terrore.

Ma questa sospensione non è neutra: essa colpisce soprattutto le popolazioni vulnerabili, i civili intrappolati nei conflitti, e i soggetti considerati “altri” rispetto all’ordine dominante. Il diritto internazionale umanitario, che dovrebbe fungere da argine alla barbarie, rischia di essere svuotato di significato se non viene applicato con coerenza. Come nel caso del conflitto in atto in Gaza:

Il conflitto israelo-palestinese: diritto umanitario sotto stress

Nel contesto del conflitto israelo-palestinese, il diritto internazionale è messo duramente alla prova. Le operazioni militari condotte da Israele in risposta agli attacchi di Hamas sollevano interrogativi profondi: fino a che punto la legittima difesa può giustificare la distruzione sistematica di infrastrutture civili? Quando la rappresaglia diventa punizione collettiva, il confine tra sicurezza e vendetta si fa sottile.

Le Convenzioni di Ginevra e i Protocolli aggiuntivi stabiliscono chiaramente il principio di distinzione tra civili e combattenti, il divieto di attacchi indiscriminati e l’obbligo di proporzionalità. Tuttavia, le immagini provenienti da Gaza — ospedali bombardati, bambini sotto le macerie, interruzione di aiuti umanitari — sembrano raccontare una realtà in cui questi principi vengono sistematicamente violati. Mentre la comunità internazionale rimane paralizzata.

Il ruolo della comunità internazionale: complicità o impotenza?

La comunità internazionale, spesso paralizzata da veti incrociati e interessi geopolitici, fatica a intervenire con efficacia. Le risoluzioni delle Nazioni Unite vengono ignorate, i tribunali internazionali ostacolati, e le vittime restano senza voce. In questo contesto, il diritto internazionale rischia di diventare uno strumento retorico, utile solo quando non disturba gli equilibri di potere.

La domanda che emerge è inquietante: il diritto vale per tutti o solo per chi non ha potere? Se la legalità internazionale è applicata in modo selettivo, essa perde la sua funzione di garanzia universale e si trasforma in un meccanismo di dominio.

Conclusione: il diritto come resistenza

In tempi di guerra, il diritto non è solo un insieme di regole: è un atto di resistenza morale. Rispettarlo significa riconoscere che anche il nemico ha un volto umano, che la vita civile non è un danno collaterale, e che la giustizia non può essere sacrificata sull’altare della sicurezza. L’11 settembre ci ha insegnato che il terrorismo è una minaccia globale. Ma la risposta non può essere una guerra senza regole. Se vogliamo davvero difendere la civiltà, dobbiamo iniziare dal rispetto della legge, anche quando è scomoda.


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