Gabriele, un uomo ...
"Mi colpirono i piedi fasciati, senza scarpe, del barbone steso sulla panchina di Roma Termini. Era rannicchiato su un fianco, La gente passava indifferente."
"Il tempo di Marta"
Marta aveva trentadue anni e camminava veloce. Sempre. Lavorava in una società di consulenza, viveva tra call, report e treni presi all’ultimo minuto. Roma Termini era il suo crocevia quotidiano, un luogo che non guardava mai davvero. Fino a quel giovedì.
Era in ritardo, come al solito. Ma qualcosa la fece rallentare. Un uomo, steso su una panchina, con i piedi fasciati e nudi. Non chiedeva nulla. Non parlava. Solo esisteva, in silenzio, mentre il mondo gli passava accanto.
Marta si fermò. Per la prima volta in mesi, si fermò davvero. Non per pietà, ma per una strana urgenza nel petto. Guardò quel corpo rannicchiato, le bende sporche, il volto scavato. E si rese conto che non sapeva più vedere. Che aveva smesso di farlo da tempo.
Tornò il giorno dopo. E quello dopo ancora. Portava cibo, coperte, ma soprattutto tempo. Tempo per ascoltare. L’uomo si chiamava Gabriele. Aveva avuto una vita, una famiglia, un lavoro. Poi una malattia, una perdita, e il silenzio della società che correva troppo per accorgersi di lui.
Marta iniziò a scrivere. Raccontava di Gabriele, ma anche di sé. Di come si era persa nel ritmo frenetico, nel “mordi e fuggi” che non lascia spazio alla compassione. I suoi articoli iniziarono a circolare. Alcuni la chiamavano “la ragazza che si è fermata”.
Non cambiò il mondo. Ma cambiò il suo. E quello di Gabriele. E forse, anche quello di chi iniziò a leggere e a vedere.
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