BASTA ASSASSINII IN PALESTINA

 


Ci sono immagini che raccontano la realtà e la testimoniano meglio di mille parole.

Una tela appesa a un balcone, i colori della Palestina che sventolano in verticale, mentre la radio scandisce la conta dei morti. Tutti civili. È il contrasto tra il simbolo di resistenza e la cronaca di una tragedia che non conosce tregua.

La violenza che si consuma nei territori palestinesi non è solo fatta di bombardamenti e di numeri. È fatta di gesti quotidiani negati: coloni che impediscono la raccolta delle olive, radici millenarie strappate ai legittimi proprietari. È un attacco non solo alle persone, ma alla memoria, alla cultura, alla terra stessa.

Un accordo di tregua dovrebbe significare sospensione delle armi, respiro per le famiglie, possibilità di ricostruire. Invece, la realtà raccontata dalle cronache è quella di una tregua tradita, di un cessate il fuoco che non ferma la violenza. La sproporzione è evidente: a cadere sono civili, donne, bambini, anziani.

Gli ulivi, simbolo di pace e di radici profonde, diventano il centro di una contesa che mostra quanto la violenza non sia solo militare, ma anche culturale ed economica. Negare la raccolta significa negare il diritto a vivere, a tramandare, a resistere.

In questo scenario, la comunità internazionale appare spesso divisa, incapace di imporre un rispetto reale degli accordi. Eppure, la voce che si leva dai balconi, dalle strade, dalle piazze, è chiara: la libertà e la dignità dei palestinesi non possono essere negoziate né sospese.

La tela che sventola sotto il cornicione del palazzone diventa allora un monito: ricordare che dietro ogni numero ci sono vite spezzate, che la pace non è un concetto astratto ma un diritto concreto. E che finché gli ulivi non torneranno nelle mani dei loro legittimi custodi, la parola “tregua” resterà vuota.

La tregua tra Israele e Hamas si sta rivelando fragile: mentre a Gaza continuano i raid e le vittime civili, in Cisgiordania i coloni israeliani intensificano gli attacchi contro i contadini palestinesi, impedendo la raccolta delle olive e devastando interi villaggi.

La tregua firmata il 10 ottobre scorso tra Israele e Hamas, salutata come un passo verso la stabilizzazione della regione, si sta rapidamente sgretolando. Negli ultimi giorni, l’esercito israeliano ha ripreso i bombardamenti sulla Striscia di Gaza, accusando Hamas di aver violato il cessate il fuoco con un attacco contro soldati a Khan Yunis. Il bilancio è pesante: almeno 25 palestinesi uccisi e oltre 70 feriti in un solo raid. 

Parallelamente, la situazione in Cisgiordania appare sempre più drammatica. Secondo l’ONU, la stagione della raccolta delle olive del 2025 è stata segnata dalla più intensa ondata di violenze dei coloni degli ultimi cinque anni. Gli attacchi, spesso condotti con la complicità delle forze armate israeliane, hanno provocato incendi, aggressioni fisiche, distruzione di uliveti e impedito a centinaia di famiglie palestinesi di raccogliere il frutto che rappresenta la loro principale fonte di sostentamento. 

I dati parlano chiaro: dall’inizio di ottobre si sono registrati oltre 250 attacchi contro contadini e raccoglitori di olive, con più di 4.000 alberi distrutti. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) denuncia che 1.500 palestinesi hanno perso la casa nel 2025 a causa delle demolizioni e delle violenze, mentre migliaia di persone sono state costrette a sfollare. 

Il simbolo dell’ulivo, radice millenaria e segno di pace, diventa così il centro di una “guerra silenziosa” che si consuma lontano dai riflettori. Mons. Shomali, vicario patriarcale di Gerusalemme, ha denunciato che i coloni estremisti agiscono “in un clima di quasi totale impunità”. 

La comunità internazionale, pur consapevole della gravità della crisi, appare incapace di imporre il rispetto degli accordi. Gli sforzi diplomatici di Egitto, Qatar e Turchia per mantenere la tregua si scontrano con una realtà di violenze quotidiane. 

In questo contesto, la tela con i colori della Palestina appesa a un balcone diventa un simbolo eloquente: un richiamo alla dignità negata e alla necessità di non ridurre la tragedia a una mera conta di vittime. Finché gli ulivi resteranno bruciati e le famiglie sfollate, la parola “tregua” non potrà che suonare vuota. 

In sintesi, la tregua è fragile, i civili continuano a morire a Gaza, e in Cisgiordania i coloni israeliani devastano uliveti e impediscono la raccolta, aggravando una crisi umanitaria che l’ONU definisce la peggiore degli ultimi anni. 

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