Meloni e il Governo di tutti
Siamo alle solite, questo governo non garantisce l'equità alla nazione ma tutela il suo elettorato e quanti la pensano come loro. Non si è mai visto prima d'ora un primo ministro che si scaglia sempre a spada tratta contro chi dissente. Nel gioco delle parti c'è chi butta la palla in campo al centro e chi fuori, sugli spalti. Non è una questione di destra e sinistra è semplice bon ton tra le parti e chi governa, dovrebbe pensare al bene di tutti. Chi ritiene che gli scioperi siano un modo per fare il ponte lungo di fine settimana forse non sa che chi sciopera non lo fa a cuor leggero perché perde soldi e qualche possibilità di togliere qualche sfizio ai familiari e a sé. Vorrei un Governo che pensasse e fosse di tutti, non di pochi.
In un Paese che si definisce democratico, il governo
dovrebbe essere la casa di tutti, non il fortino di chi ha vinto le elezioni.
Eppure, sempre più spesso assistiamo a una narrazione politica che divide, che
etichetta, che marginalizza chi dissente. Non è solo una questione di destra o
sinistra: è una questione di stile, di rispetto, di responsabilità
istituzionale.
Un primo ministro che si scaglia sistematicamente contro chi
esprime opinioni diverse non rafforza la propria leadership: la indebolisce.
Perché la forza di una democrazia non si misura nella compattezza del consenso,
ma nella qualità del dissenso che riesce a tollerare e ad ascoltare. Il
confronto tra idee è il sale della politica, non un fastidio da zittire.
Nel gioco delle parti, c’è chi lancia la palla al centro per
far giocare tutti, e chi la scaglia sugli spalti per escludere chi non
applaude. Ma governare non è fare il tifo: è garantire equità, anche a chi non
ti ha votato. È saper distinguere tra opposizione e nemico. È ricordarsi che
ogni cittadino, anche il più critico, è parte della stessa comunità nazionale.
E poi c’è lo sciopero, quel diritto sacrosanto che qualcuno
oggi liquida con sufficienza, come se fosse un capriccio da weekend lungo. Ma
chi sciopera non lo fa mai a cuor leggero. Scioperare significa rinunciare a
una giornata di salario, a una piccola sicurezza, a un desiderio da regalare ai
propri figli. È un gesto di dignità, non di furbizia. È una voce che chiede
ascolto, non un pretesto per evadere.
Chi governa dovrebbe saperlo. Dovrebbe ricordarsi che il
potere non è un premio, ma un servizio. Che la leadership non si esercita con i
proclami, ma con l’esempio. E che il rispetto per chi dissente è il primo segno
di forza, non di debolezza.
Perché in fondo, la vera grandezza di un governo si misura
nella sua capacità di includere, non di escludere. Di unire, non di dividere.
Di rappresentare tutti, anche chi non applaude.
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