Libertà di che?
La retorica, il populismo e l'informazione addomesticata.
È innegabile: Sigfrido Ranucci, figura di spicco del
giornalismo d’inchiesta, rappresenta un vero e proprio spauracchio per chi
detiene il potere. Al di là delle opinioni dei sostenitori della cosiddetta
destra, le ingerenze di certi esponenti politici ci sono state e continuano a
manifestarsi, come lo stesso Ranucci ha più volte denunciato. Inutile fare
retrospettive: il problema è attuale e urgente.
Tuttavia, c’è un aspetto che non possiamo ignorare. La
retorica populista, spesso utilizzata come cornice per l’inchiesta seria,
rischia di offuscare il valore autentico della denuncia. E oggi, l’inchiesta
più cruciale è proprio quella che riguarda la libertà di stampa e di pensiero,
minacciata da un clima politico che sembra volerla soffocare.
Assistiamo a giravolte politiche sconcertanti: segretari
reggenti di partito coinvolti in scandali legati alla distrazione di fondi
pubblici destinati al finanziamento dei partiti, con investimenti milionari in
diamanti, che hanno ancora il coraggio di presentarsi come paladini della
legalità. Un paradosso che grida rivalsa.
E che dire della separazione delle carriere in ambito
giudiziario? Un tema fondamentale per la democrazia, ma che sembra lontano
dalle priorità di chi sbandiera il “merito” come valore aggiunto, salvo poi
ignorare le condizioni di chi lavora. Il lavoro negato, sfruttato, offerto a
condizioni indegne da piccoli predatori che propongono contratti intermittenti
a quattro soldi, è la realtà quotidiana di tanti giovani e meno giovani. Per molti,
la prospettiva di un impiego dignitosamente retribuito resta un sogno
irrealizzabile.
Ma c’è un “però”. La retorica populista, spesso usata per
amplificare il messaggio dell’inchiesta, rischia di compromettere la
credibilità stessa dell’informazione. Quando la denuncia si mescola con toni
enfatici e polarizzanti, si presta il fianco a chi vuole delegittimare il
giornalismo serio, etichettandolo come propaganda.
Sul fronte politico, le contraddizioni sono evidenti. Figure
che hanno gestito fondi pubblici in modo discutibile si presentano come
paladini della legalità, mentre il dibattito sulla separazione delle carriere
tra magistratura inquirente e giudicante resta marginale, nonostante sia
fondamentale per l’equilibrio democratico.
E poi c’è il tema del lavoro. Il “merito” sbandierato come
valore aggiunto si scontra con una realtà fatta di contratti precari,
sfruttamento e mancanza di prospettive. Giovani e meno giovani si trovano
intrappolati in un sistema che non premia l’impegno, ma favorisce chi ha già
potere e risorse.
Non sono riuscito a seguire per intero l’ultima puntata di
Report. Dopo l’antefatto — ovvero l’inchiesta sulla Terra dei Fuochi e le sue
implicazioni ambientali e politiche — ho perso l’attenzione necessaria per
arrivare al punto centrale: la parte in cui si affrontava il caso del Garante
della Privacy. Da quanto ho letto, il Garante avrebbe intimato alla redazione
di non mandare in onda una documentata ingerenza politica, contestando capziosamente
il contenuto dell’inchiesta. Mi interessa capire meglio cosa è successo in
quella parte della trasmissione, quali erano le informazioni che si volevano
trasmettere, e qual è stato il ruolo del Garante in questo tentativo di
censura. Si è trattato davvero di un attacco alla libertà di stampa?
Analizziamo i fatti:
Ghiglia ha inviato una diffida formale alla Rai, chiedendo
di bloccare la messa in onda del servizio, accusando la trasmissione di aver
acquisito illecitamente una corrispondenza privata. Il riferimento era a un
audio trasmesso da Report che riguardava una conversazione tra l’ex ministro
Gennaro Sangiuliano e la moglie, legata al cosiddetto “affaire Boccia”. Questo
episodio aveva già portato a una multa di 150.000 euro per Report e alle
dimissioni di Sangiuliano.
Agostino Ghiglia, membro dell’Autorità, ha tentato di
bloccare la messa in onda di un’inchiesta che lo riguardava direttamente,
sollevando un caso senza precedenti sulla libertà di stampa in Italia.
Sigfrido Ranucci ha respinto con forza le accuse, parlando
apertamente di un tentativo di censura e di un clima sempre più ostile verso il
giornalismo d’inchiesta. Ha sottolineato come la richiesta del Garante,
arrivata a ridosso della messa in onda, fosse un atto grave e senza precedenti,
che rischia di minare il diritto di cronaca e l’autonomia editoriale.
A rendere ancora più delicata la vicenda è il fatto che
Ghiglia sia stato visto, il giorno prima della sanzione, nella sede di Fratelli
d’Italia, sollevando interrogativi sull’indipendenza dell’Autorità e sul
possibile uso politico di un organo che dovrebbe essere super partes.
Insomma, sembrerebbe che abbiano, Ghiglia e fateli d’italia
peccato d’ingenuità… solitamente, loro, così scaltri e sicuri del proprio
operato. Ma forse è stata proprio questa loro tracotanza a tradirli. Sicuri e
forti del “mandato popolare”.
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