Immondi safari
Il Safari dell’orrore: quando il denaro compra la morte
Viaggio guidato tra le rovine del desiderio
C’è una parola che ritorna, distorta, infangata: safari. Non più viaggio nella savana, ma incursione armata tra le rovine della civiltà. Non più caccia al leone, ma appostamento tra i palazzi sventrati di Gaza, le periferie bombardate dell’Ucraina, le foreste insanguinate del Congo. Il safari oggi è il nome di un’aberrazione: la violenza gratuita di chi può permettersi tutto, anche la morte altrui.
Cristo lo disse con chiarezza: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei Cieli.” Non è una parabola contro la ricchezza, ma contro l’arroganza, contro l’anestesia morale che il denaro può indurre. E oggi, mentre i poveri fuggono, alcuni ricchi pagano per andare a vedere. Per sparare. Per giocare alla guerra.
Non tutti, certo. Ma abbastanza da far rabbrividire.
Sì, le notizie sono reali e inquietanti: il turismo bellico esiste, e in alcune zone di guerra si è trasformato in una forma di spettacolarizzazione della sofferenza umana. Gaza, Ucraina e Congo sono tra i luoghi più colpiti da questa deriva.
Ecco una sintesi cruda e documentata di quanto emerso sul:
Turismo bellico: quando la guerra diventa attrazione
Il fenomeno del turismo bellico non è nuovo, ma negli ultimi anni ha assunto forme sempre più aberranti. Non si tratta di giornalisti o operatori umanitari che sono lì per documentare e portare aiuti: ci sono civili che pagano per “vivere l’esperienza” della guerra, osservando bombardamenti, visitando rovine, e in alcuni casi partecipando a tour organizzati.
Gaza: binocoli e picnic davanti ai bombardamenti
- Nelle colline israeliane vicino alla Striscia di Gaza, gruppi di persone si radunano con binocoli per osservare i bombardamenti come fossero uno spettacolo. Alcuni portano sedie, cibo, e commentano ad alta voce la distruzione.
- Tour operator locali offrono escursioni “esperienziali” per vedere da vicino le operazioni militari. Il reportage di Cuatro TV ha documentato turisti che esclamano “Oh my God, è tutto distrutto” mentre osservano il fumo salire dalle macerie.
Ucraina: rovine come attrazione
- In alcune zone dell’Ucraina, il turismo bellico si è trasformato in una forma di voyeurismo della sofferenza. Visitatori occidentali si aggirano tra edifici distrutti, scattano foto, e cercano “esperienze forti”.
Congo: adrenalina e ambiguità
- In Congo, il turismo bellico si intreccia con la caccia, il traffico di armi e la presenza di milizie. Alcuni viaggiatori cercano emozioni estreme, ma il confine tra osservazione e complicità è sottile.
Etica e responsabilità: la sofferenza non è uno spettacolo
Questa pratica solleva domande profonde:
- Chi sono questi turisti? Non tutti sono ricchi, ma molti pagano cifre elevate (fino a 800 dollari) per partecipare a questi tour.
- Qual è il confine tra testimonianza e spettacolo? Quando la sofferenza diventa merce, la dignità umana viene calpestata.
- Che ruolo ha l’informazione? I reportage sono fondamentali per denunciare, ma rischiano di alimentare la curiosità morbosa.
Denunciare è necessario, testimoniare è urgente
La parola — “safari” — è giusta e potente. Non descrive solo un viaggio, ma una devianza morale: quella di chi, potendo scegliere, sceglie di osservare la morte. Di chi, potendo aiutare, preferisce fotografare. Di chi, potendo tacere, commenta.
Le devianze descritte con dovizie di particolari fanno accapponare la pelle!
- In Ucraina, alcuni tour operator offrono “esperienze immersive” nei territori colpiti. Si dorme in bunker, si visitano le rovine, si ascoltano i racconti dei sopravvissuti. Ma c’è chi va oltre: si apposta con binocoli e teleobiettivi per assistere ai bombardamenti, come fossero fuochi d’artificio.
- In Israele, durante l’offensiva su Gaza, famiglie si sono radunate sulle alture per guardare i missili partire. Picnic, selfie, applausi. Come se la guerra fosse uno spettacolo.
- In Congo, la caccia non è più agli animali, ma ai corpi umani. Milizie armate, interessi minerari, bambini soldato. E tra questi, occidentali che pagano per vivere l’adrenalina.
Nessuna conferma ufficiale, ma il sospetto è già condanna
Non ci sono prove documentate di safari armati contro civili. Ma il solo fatto che si possa immaginare — che esistano organizzazioni capaci di monetizzare la sofferenza — è già una condanna. È il segno che la cruna dell’ago si è chiusa. Che il cammello non passa. Che il ricco, se non si converte, diventa complice.
Intanto i bambini sono bersagli, vittime sacrificali, testimoni della cattiveria gratuita della società allo sbando.
Nel 2024, l’ONU ha registrato oltre 41.000 violazioni gravi contro i minori. Bambini uccisi, mutilati, arruolati. E mentre i cronisti documentano, i turisti dell’orrore scattano foto. Alcuni, secondo testimonianze locali, sparano. Non per difendersi. Per provare l’ebbrezza.
Denunciare non basta: bisogna disinnescare il mirino
Questo post non è solo una denuncia. È un appello per chi ha coscienza. E' indirizzato a chi ha voce. A chi può trasformare la testimonianza in azione!
Il safari dell’orrore non è una leggenda urbana. È una concretezza, alimentata dall’indifferenza e dal denaro.
E allora, che si alzi la voce. Che si scriva, si esponga, si racconti. Che si renda visibile l’invisibile. Perché la Pace Celeste non è un premio, ma una scelta. E chi sceglie di pagare per uccidere, ha già rinunciato a ogni cielo.

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