I luoghi del cuore
Tra gli anni sessanta e settanta non c'era la movida ma c'era la passeggiata su corso Mazzini, villa Trieste o Margherita, il mercato, il Masciari, il Supercinema, il politeama, il Comunale tutti ubicati nel centro storico catanzarese circoscritto da una fascia urbana che stava crescendo. Nel quartiere di San Leonardo qualche decennio prima iniziò l'urbanizzazione e fu sede del cinema Odeon (1952) prospicente ai giardini meta della generazione di quegli anni turbolenti altrove ma sonnacchiosi a Catanzaro che comunque stava aprendosi alle nuove tensioni sociali e culturali.
Un affresco vivido non nostalgico, uno storico, se pur personale dipinto di una
Catanzaro mutata com’è ovvio che sia che vive in ogni persona che l'ha vissuta.
Quel periodo rappresenta una fase di transizione delicata e
affascinante: la città non viveva la “movida” come la intendiamo oggi, ma aveva
i suoi rituali sociali ben radicati. I luoghi simbolo della socialità
catanzarese erano, come già accennato: Corso Mazzini: cuore pulsante della
passeggiata, dove si intrecciavano sguardi, chiacchiere e mode. Villa Trieste o
Villa Margherita per i nostalgici: polmone verde e luogo di ritrovo,
soprattutto per le famiglie e gli innamorati. Ma anche per gli scavezzacollo
che marinavano la scuola e si trovavano lì, e tra loro, anch’io, nei “centometri”
a tirare calci a palloni improvvisati e alle pigne cadute fino all’arrivo
minaccioso del giardiniere guardiano.
Il Mercato: centro di scambi non solo commerciali ma anche
umani, con voci, profumi e colori che ha ceduto il posto al magnifico
contemporaneo teatro Politeama “Mario Foglietti”. Chi ha vissuto quei tempi certamente
avrà assaporato il famoso “piccantino” della piccola bottega di fronte il
mercato. Un miscuglio composto da peperoncino e poltiglia indefinita di carne
di maiale e altri ortaggi tipo melanzane sott’olio. Onestamente, per me, ancora
adesso rimane un mistero. Un mistero buono visto che ancora ne scrivo e non ha
lasciato tracce irreversibili nonostante le scorpacciate fatte in compagnia
degli amici quando marinavamo scuola per nasconderci nel Masciari e godere dei
film western.
I cinema che ho frequentato negli anni? Penso di non avere
fatto torto a nessuno. Nel corso della mia giovinezza li ho frequentati tutti. Comunale,
Masciari, Supercinema, Politeama. Kursal nel rione “fondachello” alla curva del
gas; e l’Odeon, ai giardini, erano veri templi della cultura popolare, dove si
respirava il fermento del cinema italiano e internazionale. In ognuno ho
lasciato un pezzo di vita sentimentale. Non che fossi un latin lover … Ma la
vita continua, è in perenne trasformazione, evolve pensieri e esigenze che
assoggetta uomini , quartieri e aree urbane.
San Leonardo, urbanizzato da qualche decennio, era un
quartiere che accoglieva la nuova borghesia, il proletariato e le famiglie in
cerca di tranquillità. Il cinema Odeon, affacciato sui giardini, era un punto
di riferimento per la gioventù locale, adesso è sede di un istituto bancario
dopo le innumerevoli destinazioni d’uso susseguitesi nel tempo.
E mentre altrove si vivevano gli anni di piombo, le
contestazioni e le rivoluzioni culturali, Catanzaro sembrava mantenere un ritmo
più pacato, ma non per questo immune ai cambiamenti. Le nuove generazioni
iniziavano a interrogarsi, a leggere, a discutere, a cercare spazi di
espressione.
Villa Trieste: il microcosmo dell’infanzia degli attuali “over
… di ‘na certa”
Villa Trieste era un mondo a parte. C’era Jolly, il pony che
trainava una carrozzina guidata dal suo padrone grassoccio, figura familiare e
rassicurante. E all’ingresso, il venditore di ceci “calijati”, semi di zucca
salati, noccioline e legnetti di liquirizia offriva le sue delizie da una
cassettina che sembrava non avere fondo. Non possedeva un chiosco, ma un
piccolo scrigno di meraviglie.
A destra della piazzetta d’ingresso, i laghetti ospitavano
oche, papere e cigni. Tra i cespugli, le uova venivano deposte e, talvolta,
sottratte di nascosto per diventare succulente uova al tegamino. C’era anche un
albero di ribes, rosso e dolce, che bastava allungare le mani per assaporare:
un gesto semplice, un piacere diretto, un frammento di libertà.
Una città che ascolta il cambiamento Catanzaro, in quegli
anni, osservava il mondo da una finestra socchiusa. Le tensioni culturali e
sociali arrivavano attutite, ma non ignorate. I giovani erano critici, leggevano,
discutevano, cercavano nuovi spazi di espressione. La città non era immobile:
era in ascolto.

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