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domenica 13 agosto 2017

L'altalena

Il vecchio centenario ulivo sta lì. Nella nuova veste di albero da arredo. Paziente sopporta le grida di gioia dei piccoli ospiti.
“Sempre meglio che essere sbattuto da quella macchina infernale. Ogni anno, durante la raccolta delle olive, il vibrare incessante che m'imprimeva lo scuotitore mi faceva soffrire di un dolore gratuito inferto dall'uomo solo per fare prima. Voleva arrivare al frantoio presto e controllare personalmente la spremitura. Non voleva che le olive rimanessero a fermentare nei sacchi per lungo tempo dopo la raccolta. “chi prima arriva bene alloggia” sosteneva il vecchio e non aveva tutti i torti! E siccome, stando alle direttive, tra orario di lavoro e pulizia delle macine, a volte, quando il raccolto era abbondante, potevano trascorrere alcuni giorni. E nell'attesa l'acidità poteva pregiudicare il prodotto e quindi la vendita.

Voleva essere certo che il proprio olio, vanto del suo casale, mantenesse intatte le qualità organolettiche e per questo motivo pretendeva che le sue olive non venissero a contatto con quelle di altre terre, che, secondo lui, avrebbero potuto danneggiarne la qualità.

Pignolo com'era ma tremendamente tirchio ci pensò su per molti anni prima di investire i soldi nell'acquisto di macchine agricole. E infine capì che sarebbe stata un'ottima mossa.

Comprò per primo le macchine agricole che fittava agli altri solo dopo avere finito il raccolto.

Ottimizzare i tempi! Ricordo, diceva il vecchio proprietario che monetizzava continuamente quanto quella macchina gli faceva guadagnare risparmiando sul lavoro dei braccianti, che, infingardi e rabbiosi dentro, facevano sì che il lavoro di poche ore venisse svolto in diverse giornate.
Adesso cosa vuoi che sia la pressione sul ramo causata dal dondolio ritmato dai bimbi. La corda non stringe e la gomma che la riveste mi fa persino un piacevole massaggio...”.

venerdì 6 marzo 2015

Calabria, tra alti e bassi

Come eravamo.


LA FAMIGLIA TIPO.

Diventa quasi un obbligo, per i calabresi, ricordare il nome del padre attraverso il figlio. Rinnovare il nonno paterno chiamando il primo figlio maschio col suo nome e il secondo con quello materno, è una tradizione che ancora oggi qualcuno rispetta.

Nonno Carlo ebbe quattro figli. Tre donne e un maschio. Inutile dire che il maschio era il centro delle sue attenzioni e quando morì in guerra soffrì moltissimo. Ma non lo fece vedere. Non era dignitoso per un uomo maturo piangere o dimostrarsi tenero.
Fiore, questo il nome del maschio, rinnovava la memoria del padre. Rosina si portava dietro il ricordo della mamma e poi c'era Angiola Peppina e Gesa che rinnovavano, in ordine di tempo, la nonna materna e la zia paterna.

domenica 29 dicembre 2013

Migranti, Gente dei sud, storie

Calabria, crocevia di storie.

Da molte settimane vedo tra i post più letti del blog “a ore 12” lo snippet riassuntivo del mio lavoro poetico di qualche anno addietro. Stampato in proprio nel giugno del 2011 e dedicato alle nuove generazioni.

È un libriccino di poche pagine che racchiude storie confinanti nella cronaca dei nostri giorni e fa il punto sulle fobie degli uomini trasformate in paure dagli ignoranti e da quanti pensano di rimetterci in privilegi, denaro e servizi, nell'accogliere i migranti; e, forse spinti dalla paura, alcuni accolgono con sollievo leggi mascherate da insano patriottismo che tutelano gli egoismi dei singoli (l. bossi/fini) .

Storie di vite migranti come le nostre anime, che, se pur condite di realtà frammista a poesia e narrativa, testimoniano le assurdità dei centri d'accoglienza e smistamento posti ai valichi dei sud del mondo ma che narrano anche di afflati umanistici insperati.

martedì 1 maggio 2012

Creatività, il gioco dei grandi

come inventare una storia osservando la realtà:

Malafemmina.

courtesy Mario Iannino, "il gioco dei grandi" part.
Coordinato intimo. Body... Totale cinquantamila e ottocento lire.
Se paga la merce possiamo chiudere un occhio, signora. Altrimenti siamo costretti a sporgere formale denuncia!
Il signore dietro la scrivania parla sommessamente. Ancora non ha fatto il callo.
E nonostante la lunga esperienza maturata nel campo della sicurezza aziendale ogni qualvolta becca un ladruncolo cerca di recuperare il giusto dovuto.
Non ho una lira! Che vi pare che mi piace rubare la biancheria intima nei supermercati? La colpa è di quel miserabile di mio marito che non mi dà una lira! -risponde piagnucolando la donna-
vedete, -continua tra le lacrime- non posso fare neanche la ceretta all'inguine!
Che vi posso dare? Sono una mamma disperata che non ha niente se non se stessa... posso offrirvi..
Ma che dice Signora! La smetta! Tiri giù la gonna e si copra!
Però... -sussurra il collega- la roba l'abbiamo recuperata. Poverina. Non vedi come trema. Evitiamole la vergogna... magari... 'na bottarella...
Grazie agente, perdonatemi non accadrà mai più vi prego qualsiasi cosa ma non denunciatemi...
Che dici sei pazzo!- risponde l'anziano vigilante- vada signora vada ed eviti altre fesserie.

Anto' ma hai visto che pezzo di gnocca? E quando ti capita più una come questa? Tu fai quello che vuoi, io... Ma non dire stronzate! Vai a lavorare! Oh Anto' si è offerta lei pare che gliela consumiamo! Ancora? Vai a fare il tuo dovere!
Il giovane esce sbattendo la porta e osserva oltre le vetrine. La donna dai capelli corvini è ancora là. Fa un giro e le si avvicina.
Ancora qua? Sì s' no no è che devo temporeggiare. Aspetto che mio marito esca dal lavoro ma se volete me ne vado! No può stare ma mi raccomando... mi tolga una curiosità: davvero lei prima...
Il vigilantes conclude la frase con una mimica abbastanza eloquente.
Beh, a mali estremi... Ma lei è una bella donna, perchè si butta giù così?
Eh, che ne potete sapere voi! La mia vita è un calvario.
Io mi chiamo Luciano e tu? Rosita.
Senti Rosita che ne dici se ci vediamo fuori, stasera dopo la chiusura? Nooo e che gli dico a mio marito? Che scusa gli caccio?
Allora domani? Alle 10, ti và? Nnn non loso... non è che dopo quello che è successo pensate che io sono una donna facile.
Nooo per carità. È che vorrei conoscerti meglio. Che so, magari diventare amici, aiutarti.
Sì sì lo so come voi uomini volete aiutarmi. Ma se è solo quello che vuoi... comprami quel coordinato e... ci vediamo domani alle dieci!

fine prima parte.


domenica 26 febbraio 2012

L'ordito e la trama, gratis il tuo romanzo?

Racconti fuori dal cassetto                 
prefazione
(copia e incolla da fb)
Alle amiche e agli amici di FB che hanno un romanzo o una raccolta di racconti nel casetto (si confida di buon livello) comunico che, sempre se vi può interessare e ne abbiate il desiderio, noi curatori della collana di narrativa (non a pagamento) “L'ordito e la trama” delle Edizioni Albatros (distribuzione a livello nazionale PDE), cioè Paolo Lagazzi, Daniela Tomerini e Gian Ruggero Manzoni, siamo disponibili a leggerlo/a al fine di, se accettato/a, poi pubblicarlo/a. Il romanzo o la raccolta di racconti non deve superare le 80 cartelle dattiloscritte (noi ragioniamo come un tempo, ogni cartella massimo di 35 righe di circa 80 battute ognuna). Evitare romanzi o racconti intimisti (se non di altissimo respiro poetico), autobiografici (sempre se l'autrice o l'autore non abbia avuto una vita a tal punto mirabolante o intensa o interessante da essere degna di venire testimoniata) e minimalisti (cioè ruotanti attorno al come uno beve il caffè la mattina, oppure scritti attorno al proprio ombelico), evitare romanzi o raccolte di racconti dai risvolti troppo psicologici (non siamo degli psicoterapeuti) o troppo sentimental-buonisti (cioè “melensi”), evitare romanzi o raccolte di racconti in cui si tenta l'azzardo della trasgressione senza mai essere stati trasgressivi (sempre se esiste un metro o un “canone” per la trasgressione), evitare romanzi sperimentali (già ha sperimentato a dovere e con grandezza Celine). Si accettano anche romanzi o racconti che sfruttino il genere noir, memorialistico oppure storico, o anche che abbiano il viaggio come motivo conduttore, al fine di affrontare, comunque, “argomenti alti”. Tenete presente che per noi i top narrativi sono Joseph Conrad, Friedrich Dürrenmatt, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Edgar Allan Poe, Herman Melville, Jorge Luis Borges, Bruce Chatwin e vabbè, ci siamo intesi... quindi piacevolezza di lettura (perché la scrittura fluisce), più piani di lettura (cioè il romanzo o il racconto racchiude in sé vari risvolti letterari), si spera tensione verso un assoluto (più o meno luminoso o oscuro – oppure il Nulla) e via così. Reputo che ci siamo intesi. Spedire a gianruggeromanzoni@libero.it in WORD + un vostro curriculum aggiornato (la proposta vale anche per chi è al suo primo lavoro narrativo). Considerato che l'ultima volta che ho lanciato, qui, un invito simile mi sono giunte circa 150 opere, vi comunico già da ora che se entro 3/4 mesi dalla spedizione non avrete avuto notizie del vostro scritto, significa che non ha superato il primo vaglio. Comunicherò il mio sì, cioè l'OK, solo a chi sarà stato accettato al fine di venire letto anche dai restanti membri della redazione (secondo vaglio), poi l'ultima parola all'editore (terzo vaglio)... perciò non domandate di continuo come procede la lettura, se ho letto, se non ho letto etc. perché non vi risponderò; qualora il tutto vada bene sarò ben felice, io, di comunicarvelo... cioè sarò io a contattarvi. NO RACCOLTE DI POESIE. ULTIMA DATA ULTILE PER SPEDIRMI IL LAVORO IL 31 MARZO PROSSIMO. Grazie.”



Dopo avere letto una cosa del genere, che fare? Scrivo? Non scrivo? Si possono eguagliare i mostri sacri della letteratura? La risposta è scontata! Ma siccome io non ho velleità da grande scrittore, nel mio piccolo, rompo ogni indugio e inizio a buttare giù quanto mi frulla da un po' nella testa. Sia ben chiaro: non è mia intenzione raccontare i cazzi miei e neanche pensare di scrivere un'opera che faccia gridare “al genio!”. Voglio semplicemente impegnare il tempo in maniera creativa e cercare di tirare dalle letterine dell'alfabeto qualcosa che alla fine abbia senso compiuto e che, oltre a dilettare me, faccia trascorrere qualche istante di sana empatia a qualcuno che fa della curiosità creativa il suo punto di partenza quotidiano. Grazie a Gian Ruggero Manzoni e ai suoi amici per l'opportunità offerta ai microcosmi erranti privi di voce . Ed ora iniziamo a giocare:

(titolo) LA CARTOMANTE.

Il palazzo ha una forma strana. Inconsueta. Da lontano sembra circolare. Solo da vicino ci si accorge che i muri perimetrali formano degli angoli laddove si uniscono.
Non saprei dire se il suo perimetro forma un pentagono, un decagono o qualcosa di più. Il portone è costituito da un'enorme vetrata all'interno di un porticato punteggiato da colonne circolari che sorreggono l'intera struttura. L'androne e le scale sono di marmo. Le porte scorrevoli dei due ascensori situati alle estremità del lungo corridoio sono ancora protette dalla pellicola trasparente. 58 appartamenti di nuova costruzione iniziano a vivere umori altrui.
Secondo piano interno 12. L'odore della pittura fresca è ancora nell'aria. La signora pulisce le ultime macchie sul pavimento facendosi spazio tra gli scatoloni.

Ancora qualche giorno e poi possiamo iniziare a svuotare i cartoni e sistemare la roba. Per oggi può bastare. Dice la signora mentre invita la ragazza a seguirla.

Fuori è ancora un cantiere. La strada sterrata a tratti è ricoperta da ciottoli e pietrisco. Sorridenti, le due donne, per evitare pozzanghere e ciottoli dannosi per le scarpe, saltellano sulle punte fino alla macchina.

C'è la luce del cantiere, aveva detto il costruttore, se volete potete iniziare a trasferirvi, do disposizione al geometra di allacciare provvisoriamente il vostro appartamento. E così fu. Per la signora era comodo trasferirsi prima possibile visto che lei lavorava a pochi metri da lì. D'altronde l'aveva presa apposta quella nuova residenza. Lei, era già proprietaria di una casa autonoma in periferia, mi disse, ma col tempo capì che c'era anche un altro motivo.


sabato 14 gennaio 2012

il parco incantato, video favola

“Mamma andiamo a vedere le colombe con le ali grandi? Sì amore ma non sono colombe sono aquile”. Risponde premurosa la giovane al piccolo.
È una bella giornata di sole ed è senz'altro piacevole lasciarsi accarezzare dall'aria fresca che giunge dai monti della Sila mentre si pratica footing o si passeggia nel parco della biodiversità mediterranea di Catanzaro. Tra gli ospiti non mancano i bambini d'età prescolare che leggono e rapportano il visibile col loro personalissimo vissuto, ed è simpaticamente piacevole sentire frasi rimodulate in base alla fantasia e alla creatività dell'innocenza.
C'è chi vuole rivedere gli uomini che nascono dall'erba o l'uomo in cielo che misura l'aria e le nuvole, chi vuole entrare nel castello per incontrare le fate; la Madonnina col Bimbo; la ballerina che gioca a palla, i cigni, i pavoni... Darth Vader il capo malefico di guerre stellari decapitato; il guerriero romano che rompe le catene della schiavitù e vince sui nemici...
Pensieri resi concreti dalla creatività soggettivamente unica di grandi e piccini stanno lì in compagnia di miti e leggende, in attesa di nuovi compagni d'avventure.


LA VIDEO FAVOLA DEL PARCO INCANTATO
© di mario iannino 

ps. alcuni luoghi suscitano delle sensazioni immediate e il parco della biodiversità mediterranea con le sue innumerevoli varietà naturali e le inserzioni di alcune opere di noti esponenti dell'arte contemporanea suscita atmosfere da favola degne di essere documentate.



lunedì 7 marzo 2011

mediterraneo, rotta di migranti

storie di vita in Calabria©

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Ci vediamo al Blanca! Ssi va bbe’ sciao… Risponde la ragazza mentre sale sul motorino e parte nella direzione opposta a quella imboccata dal ragazzo. La stradina è stretta e le macchine parcheggiate ai bordi la rendono ancora più angusta. Le case arroccate sul pendio sembrano dover cadere da un momento all’altro; invece sono saldamente ancorate nella roccia della costa e dominano in tutta sicurezza il mare. Quel mare limpido che fu teatro di innumerevoli storie, vere e fantasiose, in cui giacciono chissà quanti tesori. Ma ai ragazzi non importa nulla dei ritrovamenti archeologici, dei percorsi culturali e dei bronzi di Riace, dei Greci e delle loro colonie erette nella terra brutia. La scuola è finita e loro sono in vacanza! Sospendono Virgilio, Omero e Seneca. Cassiodoro e Ovidio, per vivere all’insegna della spensieratezza assoluta, privilegiando, quantomeno all’inizio della stagione, percorsi affrancati da obblighi intellettuali.
Il sole picchia sulla spiaggia deserta e gli ombrelloni sonnecchiano scossi da leggeri aliti di vento. Anche l’uomo seduto sotto l’unico ombrellone aperto sonnecchia. Il bagnino chiude le sdraio vuote e le poggia di fianco l’un l’altra, le allinea diligentemente seguendo uno schema predefinito che non si scosta minimamente dagli altri insediamenti balneari limitrofi. Se non fosse per la varietà di colore, che distingue gli insediamenti l’uno dall’altro, sembrerebbe di essere in un unico stabilimento balneare chilometrico.
Ma, quanto prima anche qui sarà la stessa cosa –dice la signora all’amica- pare che una società del nord abbia messo gli occhi su questo posto e poi, addio spiaggia libera! Neanche questo metro quadrato di spiaggia ci lasceranno! – E accende l’ennesima sigaretta con stizza- Ha lineamenti ben disegnati la signora petulante: naso piccolo, occhi leggermente a mandorla, capelli curati… Il reggiseno copre appena i capezzoli irti, anzi sembra che siano loro a puntellare la stoffa sottile memori di un antico pudore.
Il corpo, color ambra, vive attimi propri: con estrema delicatezza, le dita delle mani ben curate tirano giù le spalline del reggiseno, infilano tra i glutei il microscopico slip e ungono con un intruglio arancione quella parte di territorio intimo appena scoperto. Più in là, poco discosti, due fanciulli giocano sulla battigia. Il maschietto lancia pietre nell’acqua, la ragazzina impasta della sabbia fine, l’appallottola e tenta d’infilargliela nel costume. Tra urla e risate cadono in acqua. Gli schizzi infastidiscono le due bagnanti che atterrite irrigidiscono i muscoli.
Noo i capelli nooo ho fatto cinque ore di fila dal parrucchiere nooo basta! Samantha! Thomas! Smettetela!, basta ho detto basta!, non schizzateeee! Se v’acchiappo… Buon giorno Cavaliere! Ragazzi!, smettetela che bagnate il Cavaliere…
Ma il Cavaliere, per tutta risposta, alza la mano e prosegue. È taciturno oggi il Cavaliere! Solitamente scambia convenevoli, racconta qualche aneddoto; invece, oggi, cammina lentamente sulla battigia con la testa bassa. Immerso nei suoi pensieri osserva i suoi piedi comparire e scomparire nei giochi d’acqua e sabbia. L’orma dura un attimo. L’abbraccio molle dell’acqua avvolge i piedi, cancella i segni e rilassa i nervi. Il moto è simile alle nenie tribali propiziatorie, quando, in cerchio, le tribù danzano seguendo lo sciacquio del bastone della pioggia agitato dagli sciamani sulla terra arida dell’Africa. Sì, lui è stato anche in Africa. L’odore acre dei carri impregnati del sudore di uomini e animali è una sensazione ricorrente. Gli ritorna alla mente spesso, specie quando vede alcune scene in tv; ma ora, quell’odore acre e pungente gli penetra davvero nelle narici.


La carretta del mare si è spiaggiata all’alba. Oltre la piccola duna, alla foce del Beltrame, pochi stracci abbandonati testimoniano il passaggio furtivo dei profughi. E, tra le povere cose disseminate sulla spiaggia un pezzo di legno, grossolanamente sbozzato, attira la sua attenzione. Lo raccatta. Lo rigira tra le mani mentre ne valuta la consistenza: è pesante! Le linee degli occhi e della faccia sono incavate ad eccezione del naso e delle grossa labbra che sbalzano di poco. Uno scudo a forma di uovo istoriato protegge il corpo.
Gli alti tigli sfiorati dal vento agitano lievemente i rami; le foglie vibrano; i tronchi flessibili ma fermi sembrano cullare pensieri antichi nell’azzurro del cielo. La scenografia avvolgente dello spettacolare teatro naturale accoglie creature libere, chiassose. Il coro degli uccelli, delle cicale e dei grilli è infastidito da un miagolio sommesso. Non segue il ritmo naturale del coro: è un linguaggio a sé, estraneo e lontanissimo dalle spensierate melodie agresti. Il cavaliere tende l’orecchio; s’avvicina alla fonte e, oltre il cespuglio, un fagottino di stracci bagnati sussulta affianco al corpo inanimato di un adulto.

Il cucciolo d’uomo piange! Accasciato, il piccolo, stringe la testa dell’anziano naufrago. Gli accarezza il volto mentre ricompone i capelli stopposi che lo ricoprivano. Non può fare altro! È impotente davanti allo scempio di vite disseminate tra le misere cose che possedevano. Rivolge lo sguardo verso il nuovo arrivato: rivoli di lacrime solcano le sue gote paffute. Ha occhi celesti; riccioli neri e pelle d’alabastro il piccolo naufrago.
Il cavaliere urla verso la spiaggia il suo grido d’aiuto. In pochi attimi, i bagnanti diventano spettatori attoniti di quel che resta di un esodo della speranza.
Povero piccolo chissà chi sono i genitori. Vieni vieni …andiamo… no no …portate un po’ d’acqua… chiamate l’ambulanza… il 113.
Nel parapiglia generale, il bambino passa di braccio in braccio. Le signore lo coccolano nel tentativo di calmarlo. Lui si dimena. È terrorizzato! Non vuole abbandonare la sua gente, i suoi cari lì su una terra sconosciuta.
La figlia di un venditore ambulante, uno dei tanti che percorrono le spiagge per qualche centesimo, anche lei con la cassettina di ninnoli, dice qualcosa e sorride al piccolo naufrago. Il bimbo si calma. La signora, sollevata, allenta la presa, lo lascia con la bimba e va a curiosare altrove.
Gli ululati delle sirene si fanno sempre più distinte. Il suono diventa pungente e,in una nuvola di polvere, appare una macchina del pronto intervento.
Gli uomini della polizia si danno subito da fare: allontanano i curiosi e transennano con del nastro bianco e rosso la zona.
Il cavaliere è il primo ad essere sentito dalle forze dell’ordine. Arriva anche l’ambulanza. I sanitari constatano amaramente che non c’è più nulla da fare e lo trasmettono alla sala operativa. No no aspettate, interviene una ragazza, c’è un bambino… Dov’è il bambino? Il bambino dagli occhi celesti color cielo con quei riccioli neri, la pelle d’alabastro… dov’è?

Spiaggia di Caminia, ore 18,30
La ragazza col motorino, quella dell’inizio, ricordate?, è puntuale: parcheggia e s’incammina verso la piazzetta.
Al bar del Blanca, seduti sotto un gazebo, alcuni ragazzi cazzeggiano. Il mega schermo trasmette musica life.
Ei ragà come ve bbutta oggi stò a pezzi non ho chiuso occhi mi madre che rompe che devo dormì de giorno a solita piattola che ppalle ‘ste mamme. Baci baci smack smack… lo avete saputo che hanno riaperto il Tempio di Atlantide? Nooo daveru Allora tutti al Tempio stanotte…
Però, quanto so’ affettuosi ‘sti ragazzi èh? –commenta un’anziana signora che osserva la scena dal suo terrazzino- e poi dicono che non hanno valori che i ragazzi hanno perso ogni voglia di vivere e pensano solo a divertirsi nelle discoteche. Guarda con quanto affetto si salutano, si abbracciano con trasporto… Nonna nun stà a dì fregniaccee tu manco li conosci…
Sul mega schermo del Blanca un’edizione straordinaria del telegiornale interrompe l’esibizione del cantante: coppie di anziani salvati in extremis dalla morte… …proiettili all’uranio impoverito e l’uso di utensili contaminati la causa delle morti sospette nella missione di pace… Le immagini del disastro sono più eloquenti delle parole del bravo cronista: ammassi di mattoni, ferri contorti, mobili maciullati in bilico sui solai dimezzati e, tra le macerie, ragazzi sporchi che raccattano qualcosa di utile.
Ragazzi di ogni età, se ancora si possono definire ragazzi quando sono costretti a guadagnarsi la vita come delle persone adulte, scavano tra le macerie in cerca di cibo e che non esitano ad arraffare generi di qualsiasi tipo da barattare.
La macchina da presa circoscrive l’inquadratura; zumma su un esserino piccolo, scalzo, che saltella tra le macerie: si ferma e scava. L’operatore indugia con la telecamera su di lui: fa un primo piano. L’esserino, si volta, si passa il dorso della mano sugli occhi e spalanca due spicchi di cielo color celeste. Sorride all’operatore e continua a scavare in cerca di qualcosa, per lui importante.

Baastaaaa!!! Basta con queste stronzate vogliamo musicaaa cambiate canale buuuuu –urlano i ragazzi-


Inizia ad imbrunire ed il cielo si carica di nuvole. Qualche goccia cade violenta sul coro di voci. – niente paura ragà è il solito acquazzone estivo mò passa.
Gli ultimi bagnanti raccattano gli asciugamani e corrono verso la tettoia del lido. La pioggia cade violenta. Qualcuno corre a rifugiarsi in macchina.
Povera gente! Pensa se piove anche da loro: danni su danni. Il tempo a volte è inclemente. Quando la butta non risparmia nessuno; se c’è un riparo a disposizione ti copri altrimenti…
D'altronde, non è la natura a provocare le guerre, al massimo ti provoca un terremoto, ma anche le scosse sismiche si possono prevenire: basta un po’ di buon senso e onestà nel programmare e costruire gli insediamenti urbani…
Ricordo il terremoto di Reggio Calabria del 1908, più che un ricordo vero e proprio è un sogno. –dice un signore avanti negli anni- mio padre me ne parlava spesso. Reggio e Messina sono zone a rischio e lì devono stare molto attenti! Mio padre era un giovanotto a quei tempi e aiutò i suoi paesani, qualcuno lo ospitò anche. Quello che lo angustiava, e me lo ripeteva spesso, era di non essere riuscito a salvare un ragazzino piccolo. Lui, papà, sentì una vocina leggera leggera provenire da sotto un cumulo di macerie; si diedero da fare in molti ma quando lo liberarono…: era maciullato!, solo la faccia aveva intatta, neanche un graffio: gli occhi aperti, sereni, di un colore celeste brillante con dei riccioli neri che gli incorniciavano un viso bianco e roseo, sembrava di porcellana tanto era bello…
Il cielo è cupo. Le nuvole hanno rovesciato il fardello d’acqua ma ancora stanno lì, stazionano sulle colline del golfo di Squillace. Ai ragazzi poco importa!, hanno deciso di trascorrere la notte al people; la discoteca è a pochi minuti da Caminia; 10 km, direzione Catanzaro. Oppure al cafè solaire sul lungomare di Soverato.
non piove più da qualche ora: le famiglie sono rientrate nelle rispettive case e i ragazzi continuano a valutare come e dove trascorrere la notte. Organizzano le macchine, l’ora e il luogo dell’incontro. Mezzanotte: ci sono tutti tranne Sabry. Jenny le manda un sms. Passano i minuti. Sabry arriva con un ritardo di un’ora abbondante. ‘Si cazzi dovrebbero ‘ncomare per legge tutti i genitori che rompono i coglioni!, perché non stai a casa dove vai con chi sei? uffa che rottura. Allora!, si và? tutti in macchina viaaa…
Il falò illumina la spiaggia. Le pigne raccolte nella vicina pineta scoppiettano. Frizzanti palline di fuoco brillano per pochi attimi, danzano nel buio e poi si spengono cadendo.
Cori stonati imbrogliano le parole originali del testo.
Risate, miste ad acuti urli in falsetto coprono le corde della chitarra. Qualcuno fuma. Aspira e passa la sigaretta. L'odore dolciastro si spande nell'aria. Qualcuno tossisce, qualcun'altro ride. Alcuni si rincorrono. Sbocciano alcuni amori. Baci appassionati, scambiati senza remore davanti agli amici inclementi che esternano ilarità giocosa e chiassosi fischi d'incitazione.
La luna piena si riflette nelle acque calme dello jonio. La sua luce pallida rischiara qualcosa. Lentamente la macchia si fa più nitida: sembra una barca! No è un gommone grande. No è una zattera, sì una zattera alla deriva. Ma c'è qualcuno là sopra. Guardate si buttano in acqua. Improvviso, un faro illumina la zona. Nessuno può sfuggire. I mezzi della capitaneria di porto controllano i clandestini. Uomini e donne, bambini e qualche anziano vengono issati a bordo delle motovedette mentre un elicottero perlustra dall'alto. I naufraghi sono spossati. Ringraziano e chiedono aiuto in un italiano stentato. Il capitano chiede notizie. Nessuno capisce o sa dare risposte. Non si conoscono gli scafisti; forse sono nascosti tra i naufraghi oppure sono scappati dopo averli trainati fin sotto la costa. Trasmette il tenente per radio. La solita storia!
Sguardi carichi di paura invocano aiuto; si rivolgono speranzosi ai salvatori. Le madri stringono a sé i bambini e le poche cose di proprietà. Gli uomini sono dall'altra parte, con gli anziani e osservano. Osservano guardinghi ma fiduciosi.
Il capitano ha l'ordine di non farli sbarcare fino a nuovo ordine. Ma loro non lo sanno. Sperano che le loro sofferenze siano alla fine. Hanno bisogno di cure fisiche e morali. Ma nella loro estrema dignità, aspettano silenziosi.
Passano le ore. Le fiamme del falò sono basse. I ragazzi guardano in direzione dei naufraghi. Anche loro aspettano di vederli da vicino; aiutarli a scendere. Parte della comitiva organizza l'accoglienza procurando beni di prima necessità: acqua, pane, biscotti, latte, chiesti e donati dai commercianti in attività vicini allo sbarco. Hanno raccolto un bel po' di roba e aspettano.
L'aurora li trova tutti lì, naufraghi e soccorritori. Fermi nello stesso punto. I ragazzi sulla spiaggia attizzano il falò: il freddo della notte si è fatto sentire; sono stanchi ma non vanno a casa. Parlano, si scambiano opinioni:
Chissà poverini quanto avranno sofferto... ma quale sofferto!, quelli vengono qua a rompere le palle a noi, mio padre dice che da quando ci sono loro non funziona più nulla: il commercio non tira perché loro offrono roba che fa cagare a pochi centesimi e la gente pur di risparmiare se la compra; li trovi dappertutto nei cantieri edili, nei campi a raccogliere pomodori... Sì è vero!, ma sai quanto sono pagati? Lavorano 10, 12 ore per neanche venti euro al giorno! Sono impiegati nei lavori più umili e faticosi. I nostri imprenditori li trattano come trattavano noi Italiani all'estero. Ho sentito storie di emigranti che hanno sofferto ogni tipo di vessazioni in Svizzera, Germania, America, Argentina e persino in Brasile. Il dopoguerra è stato un periodo triste per i nostri padri, come lo è oggi per questi poveri cristi che non hanno di che sfamarsi.
Il sole inizia a scaldare l'aria. Qualcuno desiste:
Sciiao ragà vado a casa che sennò chi li sente i miei fatemi sapere, ci sentiamo... ssì vabbè sciaoo.
Intorno alle 9, la spiaggia si anima: famiglie che scendono a mare e ambulanze pronte per eventuali emergenze.
Il battello si muove. Il comandante ha ricevuto l'ordine di accompagnare i clandestini nel centro di accoglienza di S. Anna, nei pressi di Crotone. La notizia si sparge a macchia d'olio. I profughi confabulano. Il più anziano chiede chiarimenti. Qualche giovane si butta in mare; molti lo seguono. L'acqua ribolle sotto gli occhi attoniti delle donne e dei bambini rimasti sul battello.
Il comandate parla al megafono: tranquilli! State tranquilli! Vi accompagniamo in un centro di prima accoglienza. Non sarete rimandati indietro. State tranquilli. Salite sulle scialuppe! I più forti riescono ad arrivare a terra; e lì, in braccio alle forze dell'ordine che, prestate le prime cure, sono radunati sui pullman diretti a Crotone.

martedì 28 aprile 2009

il graffio dell'aquila, racconto breve sull'essere writer

racconto breve. tutti i diritti riservati ©mario iannino
aore12

Il graffio dell’aquila

Le strade vuote sono solo un ricordo, come pure la familiarità dei volti che s’incontravano un tempo durante la passeggiata. Ora, i “quattro passi per incontrare gli amici” sono rimpiazzati dallo shopping frenetico e le strade cittadine sono il luogo d’assedio di un intenso esercito d’acciaio, rumoroso e arrogante. Le macchine invadono le corsie, i marciapiedi e persino gli scivoli per i disabili. Mezzi meccanici e dissuasori ostruiscono l’accesso dei negozi, delle case… E gli incroci?, gl’incroci sono diventati punti nevralgici di improbabili affari: gente di tutte le razze aspetta il rosso per tendere la mano, lavare il vetro o offrire fazzoletti di carta!

La vecchia fisarmonica ha una voce flebile; è quasi un lamento impercettibile. Mi accorgo della presenza dell’uomo dall’ombra che mi butta addosso. Alzo lo sguardo: sarà alto un metro e sessanta; cicatrice sulla guancia destra e capelli crespi ossigenati. “Dare tu kualcosa pe manciare crazie”. Ripete con voce roca il miserabile, a noi, benestanti automobilisti italiani. A dire il vero sono pochi i finestrini che si abbassano e le mani che sbucano con qualche moneta per la ragazza che agita stancamente il cestino della questua.
Alla mia destra, il conducente della piccola cilindrata freme; scarica la sua vitalità sui comandi del mezzo meccanico personalizzato all’inverosimile:
L’egocentrismo giovanile contamina gli oggetti; li modifica secondo un’intima estetica, che, a primo acchito, può sembrare dissacrante, priva di leggi ma non lo è! La giovane esperienza legittima una filosofia di vita che li uniforma tutti; li rende somiglianti al proprio sentire, li correda di simboli e i loro feticci diventano l’appendice naturale di una personalità plurale.
Nel caso in questione, il carattere del singolo si manifesta attraverso i colpi d’acceleratore che fanno a gara col volume dello stereo, la grinta, i tatuaggi ed i capelli sparati. Meglio ignorarlo! Dirigo l’attenzione verso il semaforo. Oltre la luce rossa, dall’altra parte della strada, la piazzola del bus è invasa da calchi di gesso dozzinali e piante sempreverdi a dieci euro. Il mercante di statue parla col venditore di piante. Sgasate rabbiose sollecitano il capofila ancor prima che scatti il verde. Le moto impennano. Scatta il verde. Ingrano la prima. Il serpentone d’acciaio, di cui io faccio parte, fa pochi, pochissimi metri, giusto il tempo d’oltrepassare l’incrocio e scrasc s’arresta. La signora, dopo il primo attimo di smarrimento, reagisce con forza. Estrae il telefonino e spegne il motore, determinata a non spostarsi fino all’arrivo della forza dell’ordine. I clacson impazziscono. Le macchine contromano impediscono ogni tentativo di manovra. Non rimane che aspettare! L’ingorgo aumenta. Qualcuno scende dalla macchina e s’avvicina al luogo dell’incidente. Dal nulla, spunta un nugolo di ragazzini minuti. Il più piccolo arriva appena al finestrino; si alza sulle punte e bussa al vetro. Fa tenerezza. Nonostante ciò, non abbasso il vetro. Lo osservo mentre disegna cerchi concentrici sul finestrino: le sue unghie contornate da un velluto nero scivolano sulla superficie. Mi sorride! Si gratta i capelli arruffati; strofina la manica sfilacciata sulla bocca e passa oltre. Lo seguo con gli occhi sgattaiolare tra le macchine. Di tanto in tanto si gira, guarda indietro. Attraversa, e ripete le stesse movenze sull’altra corsia. Ormai il traffico è intasato. Il piccolino, si affianca ad uno più grande; gli sta dietro, chiede qualcosa, poi lo abbandona e riprende a grattare con la manina sui vetri delle macchine. Il venditore di statue indica un percorso alternativo.
Alcuni automobilisti imboccano una stradina laterale non asfaltata e, dopo pochi minuti, ricompaiono qualche metro oltre l’incidente. Seguo il loro esempio. La macchina saltella; le ruote sprofondano nelle buche salgono sulle pietre torcono i bracci; ed io, sballottato da una parte all’altra, faccio fatica a tenere lo sterzo. Qua e là, quasi buttate a caso, lungo il precorso accidentato sorgono delle costruzioni in lamiera e mattoni. Un ruscello putrido attraversa le baracche popolate da marmocchi; qualche cane, un paio di capre e due asini. La stradina finisce davanti l’ultima casupola poggiata al muro di pietre ingabbiate nella rete metallica. Faccio retromarcia; posiziono la macchina, ingrano la prima e mi blocco: un enorme cane rabbioso, sbucato da chissà dove, ostruisce il passaggio. Lui, la bestia, abbassa il muso, digrigna i denti e mi punta. Do gas lentamente; cerco di aggirarlo. Svolto dietro la baracca. Giro l’angolo: cinque viuzze tutte uguali si aprono a ventaglio. Ne prendo una a caso, confidando nella buona stella. Lo scenario non cambia: rottami disseminati dappertutto, carcasse di macchine, lavatrici, ferrivecchi, baracche e la belva che digrigna i denti sempre davanti a me. Le donne sull’uscio mi scrutano diffidenti. Un uomo fa cenno di fermarmi. Freno; abbasso il vetro e: “Cerchi qualcuno?” “No, credevo di sbucare da qualche parte oltre l’ingorgo ma mi sono perso!” il villaggio si anima. Una marea di marmocchi accerchia la macchina. Una donna fa segno che c’è una gomma a terra. Cerco il cane: non lo vedo. Scendo. I bambini m’indicano la ruota. Impreco. Mi guardo attorno diffidente. Apro il cofano. L’uomo m’interroga nuovamente, ma questa volta in dialetto: A sai cangiara? (1) –e senza aspettare risposta, intima: Totò provvìda! (2) Prontamente, Totò, esegue gli ordini. Il cane abbaia; i bambini lo trattengono. L’uomo lo zittisce-.

sabato 25 aprile 2009

prefazione nei luoghi dell'anima

nei luoghi dell'anima è un romanzo breve. la storia è ambientata in calabria e narra, tra divagazioni sogni e raltà, l'essere artista in una terra di frontiera.
vittorio è il protagonista. attraverso i suoi movimenti si percorre la regione, si visitano luoghi affascinanti. luoghi pregnanti di storia, alcuni ancora incontaminati dalla brutale azione dell'uomo; altri, se pur martoriati, emanano caparbia bellezza. il tutto fa da sfondo ai drammi sofferti dall'animo sensibile dell'artista. però...

nei luoghi dell'anima: quattro passi in Calabria

Nei luoghi dell’anima
aore12


©mario iannino

Centodieci chilometri orari; và bene così! Il viaggio è lungo, meglio non forzare il motore. Dice tra sé Vittorio. Oltretutto, deve prestare attenzione al carico. Un carico estremamente delicato, costato anni di travagliato e intenso lavoro. Un lavoro fuori dal normale, esigente, che implica dedizione e onestà intellettuale, doti poco conosciute nella sfera del generico impegno per cui è sbagliato definirlo “lavoro”. Diciamo piuttosto che è un’attività che non lascia alternative anche perché non sei tu a condurla è lei che ti possiede. E Vittorio lo sa bene. A dire il vero, lui, avrebbe fatto a meno d’intraprendere l’ennesimo infruttuoso viaggio, suo malgrado sta lì, a contare le buche e le deviazioni della Salerno Reggio Calabria. Ma, il più è fatto. Ormai è questione di poco. Sta per arrivare alla meta.
“Sì pronto…no sono ancora in viaggio…sì, va bene, ti richiamo appena arrivo”. Pensare che all’inizio non sopportava il telefonino ed ora… “Sì…pronto chi parla? No ha sbagliato …Ah, è lei sì sono in viaggio. Tra qualche ora dovrei essere a Roma. Non si preoccupi a presto”. Click
“Se non mi avesse assillato con le sue telefonate avrei già chiuso da un pezzo con le fiere! Comunque questa è l’ultima!, l’ultimo canto! Poi tumulerò definitivamente teorie e illusioni! Ecco ci sono quasi... Finalmente! Adesso affrontiamo la bolgia del raccordo anulare…i divieti d’accesso, gl’immancabili lavori in corso; il traffico di via Nazionale, Piazza Venezia… Dovrei esserci: eccolo là! Sì è lui”.
“Maestro! Venga da questa parte, venga. Giri a sinistra, oltre il cancello c’è l’entrata secondaria.”
“Grazie! (l’inizio sembra buono! Almeno non sto col patema d’animo dell’intralcio al traffico…)”
“Si accosti ancora un po’…così! A posto! Ben arrivato! Ha incontrato difficoltà nel viaggio?” “No! Grazie. Tutto bene! Comodo questo cortile…anche l’ambiente interno è ben strutturato.” “Sì è una gran comodità! -Incalza il gallerista- Vedrà, qui è diverso. Abbiamo dei clienti esigenti, come le dicevo al telefono; non per invogliarla a venire, d'altronde, stasera se ne renderà conto: i nostri collezionisti hanno il palato fine.” “Non lo metto in dubbio, ma ora posizioniamo i lavori.” “Non si preoccupi Maestro, tra poco arriverà il nostro critico insieme a due operai, sarà lui a curare il montaggio della mostra! Venga, andiamo a mangiare un boccone, ha bisogno di ritemprarsi non vorrà crollare durante l’inaugurazione, spero. Venga! Proprio qua dietro c’è una trattoria niente male, noi ci andiamo spesso…”.

Il rituale si ripete: dopo il lavoro manuale per concretare attraverso il mestiere i suggerimenti dell’anima, Vittorio, si ritrova all’ennesimo appuntamento espositivo non più con l’entusiasmo giovanile ma con l’amara esperienza di chi ha cozzato più volte contro il muro delle lobby pilotate e l’indifferenza della collettività massificata. La realtà quotidiana, quella che fa i conti in tasca, ha avuto il sopravvento, ha sussurrato, urlato, imposto la sua logica, e vittoriosa ha asservito le intelligenze alla cruda indolenza dell’evoluzione tecnologica e mercantile: nel sibilo ringhioso degli affari non c’è spazio per la crescita poetica: è il denaro che conta che rende forti e potenti che muove le platee mondiali e apre a crociate mistificatrici . È ancora presto per la città del sole; è pura utopia caro Fra’ Tommaso! Chissà se mai si avvererà il tuo sogno.

dalla parte dei writer

Dalla parte dei writer’s





Scrivere sulle superfici, è un’attività che si perde nella notte dei tempi e ogni mutazione stilistica è consequenziale alle esigenze, culturali e sociali di chi compie l’atto espressivo.
Il fare creativo è proposizione che induce alla meditazione. La contemplazione suggerita dai segni grafici si fortifica nel gesto pittorico e apre traguardi inimmaginabili. Le forme lessicali, se pur “vecchie”, si rinnovano nella sacralità del gesto e ripropongono pensieri veementi altrettanto vecchi quanto il mondo: Amore, Pace, Solidarietà! e non solo.
Quanto è importante la forma nella comunicazione visiva?
Per gl’intelletti liberi da posture, la risposta è scontata. Tuttavia, nel mondo variegato dei linguaggi, non è per tutti così. I “gusti” sono condizionati dal sentire intimo collettivo più che individuale. Il singolo è influenzato da fattori relazionabili alla crescita culturale ricevuta dall’ambiente.
Esistono varie forme stilistiche espressive dettate dalla sensibilità umana che traducono il sentire intimo in suoni, immagini, concetti, drammatizzazioni; anche nel campo delle arti visive esistono molteplici stilemi linguistici. Il percorso è dettato, dapprima dalle ricerche poetiche che nascono dalla volontà di estrinsecare al massimo il pathos interiore ed in seguito dall’imposizione mercantile.
È ovvio che la fossilizzazione non alberga nelle menti agili e quando ciò avviene è solo per interesse.
La comunicazione è trasmigrazione di concetti. Interazione. Volontà di esporre idee attraverso grafie, semplici o particolarmente personalizzate. Elaborazioni che ripercorrono esperienze storiche allo scopo di contemporaneizzarne il dato visivo. D'altronde, la scrittura, la pittura stessa, sono nate dalla rivisitazione e dall’accostamento di più esperienze.
Altra considerazione, che sarà trattata in seguito, è la legittimità di alcuni interventi grafici e o pittorici su determinate aree urbane.

scrivere, segnare, graffiare, voglia di esprimersi


Scrivere sulle superfici, è un’attività che si perde nella notte dei tempi e ogni mutazione stilistica è
archivio ©M. Iannino
consequenziale alle esigenze, culturali e sociali di chi compie l’atto espressivo.

Il fare creativo è proposizione che induce alla meditazione. La contemplazione suggerita dai segni grafici si fortifica nel gesto pittorico e apre traguardi inimmaginabili.

Le forme lessicali, se pur “vecchie”, si rinnovano nella sacralità del gesto e ripropongono pensieri veementi altrettanto vecchi quanto il mondo: Amore, Pace, Solidarietà! e non solo.

Quanto è importante la forma?

Per gl’intelletti liberi da posture, la risposta è scontata. Tuttavia, nel mondo variegato dei linguaggi, non è per tutti così. I “gusti” sono condizionati dal sentire intimo collettivo più che individuale. Il singolo è influenzato da fattori relazionabili alla crescita culturale ricevuta dall’ambiente. Esistono varie forme stilistiche espressive dettate dalla sensibilità umana che traducono il sentire intimo in suoni, immagini, concetti, drammatizzazioni; anche nel campo delle arti visive esistono molteplici stilemi linguistici. Il percorso è dettato, dapprima dalle ricerche poetiche che nascono dalla volontà di estrinsecare al massimo il pathos interiore ed in seguito dall’imposizione mercantile.
È ovvio che la fossilizzazione non alberga nelle menti agili e quando ciò avviene è solo per interesse.

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