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mercoledì 10 marzo 2021

San Giuseppe patrono degli artigiani

Riflessioni semiserie sulla sacralità del lavoro.

Non so a voi ma a me capita spesso di litigare col pc.

Oggi, per esempio.

Papà con chi ce l'hai?

Con 'sto coso quà io faccio 'na cosa e lui ne fa un'altra. Scrivo e salta. Ingrandisce lo schermo... pubblica prima che io abbia finito.

Papà forse ha il touch troppo sensibile devi cliccare più delicatamente... fai meno pressione sulla tastiera.

Sì sì. Ci provo.

E che cazz... ancora!

Parli con me? Che dici non sento, grida!

No no parlo col computer. È indiavolato. Fa quello che vuole mavaff...

Ma che ti ha preso adesso mi mandi pure a quel paese?



No no amore, non dicevo a te e che per fare una mail ho impiegato mezza giornata. Non fa per me questa diavoleria. Preferisco la manualità. Il vecchio caro mestiere dell'amanuense. L'artigianalità!

D'altronde vuoi mettere un bel mobile intagliato a mano, lavorato con passione e criterio antico, con uno di quei tanti cubi in finto legno inscatolati privi di carattere venduti nei grandi magazzini?

E poi, S. Giuseppe, fino a prova contraria, è il patrono degli artigiani, dei falegnami non delle macchine. Un uomo che evoca saperi e mestieri antichi ricchi di esperienza pratica...  

No no decisamente preferisco rilassarmi, manipolare la materia piuttosto che litigare con 'ste diavolerie moderne. Il contatto. Ci vuole il contatto fisico per trasmettere calore e amore col lavoro e l'attività quotidiana. Anche a scrivere una lettera c'è più intimità persino quando si usa una stilografica invece della biro. Già la matita è diversa: ha un'anima dolce, delicata e duttile, e devi sapere dosare la forza sempre, imprimere la pressione giusta prima e durante l'uso altrimenti rischi di rompere la punta o bucare la carta.

Meglio l'antico mestiere, l'artigianato trasmesso nelle botteghe, appreso con anni di lavoro, il caro vecchio classico mestiere, lavoro che impegna corpo e mente che condensa anche nei libri e negli appunti vergati a mano l'antica sapienza. 

Oggi più che mai si deve riscoprire e festeggiare il santo patrono degli artigiani: SAN GIUSEPPE! E' cosa importante apprendere con dedizione e modestia i trucchi del mestiere se si vuole eseguire una qualsiasi attività che oltre alla teoria necessita di conoscenza pratica all'occorrenza.  Realizzare manufatti è terapeutico.

Auguri agli artigiani e a quanti sanno rifugiarsi nella sacralità del lavoro.

sabato 11 aprile 2020

La nostra Pasqua in casa

Il procedimento per fare il pane in casa è lungo e ci vuole una buona dose di pazienza.
Il tempo non manca visto che siamo tenuti a stare in casa fino al 3 maggio si può iniziare a evitare qualche uscita. Limitare le code per la spesa.
Decidere di non recarsi dal fornaio e farselo da soli può risultare terapeutico.


L'impasto, grosso modo è lo stesso della pasta della pizza, con qualche accorgimento e qualche ora di lievitazione in più si può fare.

L'occorrente è il solito kg di farina; il lievito madre, ma anche quello di birra va bene se non ce l'abbiamo a disposizione; un pizzico di sale e, naturalmente il forno.

Le nostre madri impastavano la sera, poi toglievano un pugno di pasta e la riponevano in un contenitore per trasformarla in lievito madre. Il resto dell'impasto serviva per panificare la mattina seguente.

Un miracolo. La trasformazione, la pasta che cresce, il profumo che inonda la casa è un miracolo prodotto dalla sapienza antica delle nostre donne di Calabria.

Strano pensare come in questi giorni le case diventavano ricettacoli di odori più dolci, aromatizzati. Paste frolle decorate con uova a forma di grandi ciambelle anticipavano di qualche giorno la Santa Pasqua. Le “cuzzupe”, consumate nelle scampagnate di pasquetta nelle gite fuori porta non sono tanto desiderate. Preferisco il pane. Forse a causa della permanenza forzata imposta dal virus che ha sovvertito tutte le abitudini nelle differenti forme sociali, in Calabria e nel resto del mondo.

È una Pasqua di “martirio” questa del 2020. ma, se pensiamo alla storia di Gesù morto in croce, la nostra è una misera penitenza, una sciocchezza al suo confronto.
Le sofferenze inflitte dai soldati, il martirio in croce, la violenza gratuita degli aguzzini, gli sputi e gli insulti della folla che fino a qualche giorno prima lo osannava; lo strazio della madre prostrata ai piedi della croce che lo vedeva morire lentamente senza potere fare niente

Questo vale per i credenti. Dirà qualcuno. È vero! Allora scrutiamo nel presente laicamente. Pensiamo agli sbarchi dei fuggiaschi provenienti dall'Africa. Agli extracomunitari in cerca di pace e dignità per la persona. … Cosa, ancora siamo distanti? Bene. Pensiamo ai terremotati. Ai senzatetto, i barboni che si addormentano sulle panchine o in stazione e non si risvegliano. Pensiamo ai nuovi poveri. Pensiamo a chi soffre negli ospedali o soli in casa. Pensiamo! E godiamo delle piccole gioie che ancora la vita ci dà.

Buona Pasqua di resurrezione!

lunedì 18 aprile 2016

Saperi antichi e vecchi mestieri

Prima dell'era della plastica i recipienti d'uso comune erano costruiti in argilla, latta, ferro, rame e vimini intrecciati.
Le botteghe artigiane avevano il tipico odore dei manufatti che prendevano forma sotto le mani sapienti dei “mastri”. I maestri rendevano viva la materia, la plasmavano fino a tirare fuori l'oggetto per la casa mentre i discepoli badavano al fuoco della fornace o stavano accanto per passare loro gli attrezzi necessari e il materiale.

antichi mestieri

domenica 8 marzo 2015

Tradizioni valoriali tra crisi sociali e austerità

Avevate le scarpe!


Sì avevamo le scarpe, consumate … rotte, ormai. -risposi all'ospite che osservava incuriosito e commentava la foto sulla scrivania. Va be', stavate meglio di me e di tanti che non ce l'avevamo per niente. Ma eravate di lutto? Chi era morto? Mio padre. Risposi secco. E mi sovvenne alla mente Maria, la figlia di zia Rosina che faceva la sarta e insegnava a tagliare, cucire e risistemare gli abiti vecchi alle ragazze del paese. L'attività sartoriale e la propensione all'insegnamento che svolgeva al piano terra della casa le valse il titolo di “maistra”, maestra. Lei cuciva di sana pianta, risvoltava e aggiustava i vestiti ai paesani. E ovviamente anche a noi. Riusciva a dare nuova vita alle stoffe. Trasformava magistralmente cappotti, giacche, pantaloni, camicie e gonne.
Fu lei che cucì e riadattò i vestiti neri e i nastrini da tenere sui risvolti del bavero delle giacche per il tempo necessario alla celebrazione del lutto familiare.

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