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sabato 9 gennaio 2021

Catanzaro il Presepe di via Magenta

La periferia, sia essa di città o nazioni, è sempre problematica. Le occasioni per essere e sentirsi lontani dai sistemi centrali decisionali del potere e quindi dalle attenzioni mediatiche ma prima ancora sociali e strutturali non mancano mai. Del degrado che regna sovrano inutile parlarne. Puntiamo invece le attenzioni laddove c'è positività e grazie alla passione di pochi si riesce ancora a far rivivere il clima del S. Natale. 

Attraverso le tradizioni e mettendole in atto con scenografie che fanno parte del bagaglio culturale cristiano anche quest'anno le luci della Natività ricordano il lieto Evento nel quartiere Corvo in Catanzaro.



È pura passione devozionale che mette insieme alcune persone. E li fa operare da professionisti per realizzare il presepe entro i confini del complesso condominiale “calabria” in via Magenta.

Iniziano a lavorare mesi prima del lieto evento. e ancora col caldo della bella stagione, ognuno, in base alle competenze adeguate, stila un programma e, poi insieme, lo rendono operativo: disegnano, tagliano sagome e le dipingono. Comprano il legname utile e quant'altro serve per costruire la stalla e assemblare case. il progetto plastico prende forma:

Il risultato finale è gradevole. Bello! “ è bello o presepe---Te piace o' presebbio... Nennillo ...” (il tormentone è d'obbligo e risuona nella testa): 

davanti alla Natività la magia del Natale riverbera nella mente la scena più significativa della creatività che il grande drammaturgo Eduardo De Filippo mise in scena per la prima volta nel 1931”

Ma non siamo in casa Cupiello.

Ci troviamo nell'estrema periferia a sud di Catanzaro e non c'è la regia del prestigioso Eduardo de Filippo ma la passione di tre persone, forse quattro: Mario Muccari, Tonino Sanfili e Carmela Bonati per la parte decorativa e artistica.

Grazie alla abnegazione di queste persone anche quest'anno se pur gravido di tristi eventi si è potuta respirare l'aria delle tradizioni cristiane.

venerdì 3 aprile 2015

Pasqua di Resurrezione nella tradizione popolare


È Pasqua.


Per i cristiani la SS Pasqua ha il significato profondo di redenzione del Corpo e dello Spirito di Cristo e dei credenti che praticano nella vita di tutti i giorni la Parola del Signore.

Anche se è difficilissimo incontrare chi pratica il Vangelo come vorrebbe Gesù è, invece, facilissimo imbattersi in gente che segue pedissequamente le tradizioni popolari nei periodi stabiliti dalle autorità ecclesiastiche. Si va dalla “naca” di Catanzaro all'affruntata della zona di Vibo, si visitano i sepolcri rigorosamente nell'ordine dei numeri dispari nella propria città in tre chiese differenti. Ma c'è anche chi fa un salto a Nocera Terinese per assistere alle sferzate che si auto infliggono i “vattienti”.
"pastiera e uova sode"

martedì 24 settembre 2013

Accendere un'auto e attaccare targhe è facile

Difficile è far evolvere la collettività dall'arretratezza culturale imposta dalle caste.

Non passerelle ma lavoro come volano di cultura e legalità!

Mi son sempre chiesto a che valgono i simboli, le manifestazioni di piazza e persino i salotti culturali, dove, per intenderci, si parla tanto di letteratura, poesia, pittura, un po' meno di scultura e sempre con la puzza sotto il naso si addita l'ignoranza collettiva ché non legge, non si documenta, non amplia gli orizzonti con un buon libro.


http://aore12.blogIn Calabria, per combattere la 'ndrangheta e il malaffare che si associa ai colletti bianchi e alla politica, c'è stato un pullulare di targhe affisse sui muri dei municipi regionali con tanto di scritta: “QUI LA 'NDRANGHETA NON ENTRA!” Come se bastasse una sana intenzione, uno slogan, per annullare gli effetti di un malcostume cresciuto negli anni. Non si è voluto capire che laddove la miseria taglia con l'accetta gli animi e fa morire d'indigenza la fame fisica annulla anche la libertà, la volontà d'immergersi in una buona lettura.

Una sorta di asservimento dei reietti al potere che dà loro di ché vivere, salvo, poi, vedere comuni commissariati per infiltrazioni o contiguità mafiose, fa stare nell'inferno dell'ignoranza la maggior parte della popolazione. Ma questo non accade solo in Calabria!

In “Presa Diretta” un “dipendente” dei poteri nascosti così giustifica il suo atto di gratitudine al microfono del giornalista: “Come posso, quando mi chiama, rifiutare un favore a chi mi ha dato lavoro?”
http://aore12.blog
Giancarlo Siani

Cosa significa, si spieghi meglio. “Anche col voto”.

Insomma, i simboli sono importanti ma non importantissimi laddove regna la fame la disoccupazione e nessuna voglia di far crescere la cultura da parte di chi detiene il potere.
Che rilievo può avere l'accensione della macchina di Giancarlo Siani, giovane reporter ucciso dalla camorra per i suoi scritti su il Mattino di Napoli nello sfacelo totale di una Repubblica guidata da gente che per mantenere i conti dello Stato in ordine toglie il lavoro ai dipendenti pubblici e privati ma mantiene intatti i privilegi dei ricchi e affama il 90% dei cittadini?

Simili presupposti non lasciano spazio alla speranza checché ne dicano scrittori, intellettuali, politici che assediano gli schermi e i media.


domenica 30 dicembre 2012

Quarto Stato, storia di un'icona del sogno socialista

Pellizza da Volpedo, "Quarto Stato"
Giuseppe Pellizza, figlio di agricoltori. Nato a Volpedo, piccolo centro della campagna alessandrina, dopo la scuola tecnica, che gli offrì i primi rudimenti del disegno e gli fece capire qual era la sua vera passione, attraverso l'intervento di alcuni conoscenti riuscì a frequentare le lezioni di Francesco Hayez, all'epoca docente dell'accademia di belle arti di Brera.

Terminati gli studi accademici si trasferisce a Roma, che abbandona subito per spostarsi a Firenze. Qui incontra Fattori. La voglia di apprendere i segreti della pittura lo porta a spostarsi in varie accademie, arriva persino a Parigi nell'occasione dell'esposizione universale del 1889.

Le grandi città non lo entusiasmano; Giuseppe Pellizza decide di ritornare al suo paese d'origine. Nel 1892 sposa una contadina del luogo e nello stesso anno inizia a firmare i lavori come “Pellizza da Volpedo”

L’opera più conosciuta è “Quarto Stato”, opera che inizia a delinearsi nella mente dell'artista sempre nel 1892 quando realizza "Ambasciatori della fame". Un dipinto che fotografa e denuncia le condizioni miserevoli in cui versano i lavoratori di fine Ottocento nelle campagne delle periferie alessandrine.
Il tema caro a Giuseppe Pellizza piano piano prende corpo, si struttura e l'artista decide di affrontare su una tela più grande quello che diverrà l'icona per antonomasia del sogno socialista: una protesta silenziosa dei lavoratori e dei braccianti agricoli contro i latifondisti e nobili di fine 800. Una marcia imponente, terribile, che abbia un impatto visivo emotivamente forte con il pubblico. E prendendo spunto dai lavori precedenti, (fiumana, il cammino dei lavoratori), nasce il “quarto stato”.
Uomini del popolo, contadini e artigiani occupano lo spazio, simile a una muraglia umana, con a capo una popolana rubiconda (Teresa, la moglie dell'artista) col bambino in braccio ma non messa lì in veste di rivoluzionaria ma nell'atto di chi vuole chiarire o chiedere qualcosa. La donna si rivolge all'uomo barbuto col cappello e la giacca gettata sulle spalle, l'unico che pur essendo uno di loro veste un indumento inusuale per le classi “inferiori” il gilet (è l'artista stesso). Il gesto eloquente del braccio sinistro sembra sottolineare un'esclamazione di speranza. E lui, fiero, conduce in pieno giorno (dalle ombre gettate a terra e dalla luce che illumina gli attori principali ma anche dalle mani degli uomini in corteo posti sopra gli occhi, tutte queste sfumature indicano in maniera inequivocabile che il sole brilla alto sopra le loro teste: è mezzogiorno) i lavoratori verso la luce dei saperi emancipativi.

Le tre figure centrali potrebbero rappresentare le anime del socialismo, il diritto alla vita, alla dignità di un lavoro umile ma necessario, ma potrebbero anche rappresentare le età della vita.

Il movimento pittorico si fa suono. Rumore di passi e vocii indistinti. È un sussurro di speranza!
Ancora non ci sono megafoni o latte sfondate dai bastoni degli operai dell'Alcoa o dell'Italsider/ilva. Deve ancora venire il tempo dei cassintegrati e degli esodati; dei lavoratori interinali; dei ragazzi a partita iva o a progetto. Cittadini sfruttati e ributtati nel medio evo dei diritti civili.

Ma torniamo a Pellizza. Lui credeva di piazzare subito il lavoro per la pregevole sintesi emotiva e la monumentalità pittorica dell'opera, ma così non fu.
Purtroppo, il pittore, poco riconosciuto in vita, morì nel 1907 suicida e l'opera fu venduta nel 1920, con una sottoscrizione pubblica dalla città di Milano per 50.000 lire.
In seguito divenne icona e logo del partito socialista e dei sindacati fino all'avvento del fascismo.
Si deve aspettare il 1954 per rivedere il quadro esposto al pubblico e ritornare ad essere il simbolo politico della rinascita dopo la tragedia del fascismo e della guerra.
Il Quarto Stato non è solo pathos, tensione emotiva, maestria pittorica o la testimonianza di una figurazione accademica ormai in disuso. L’opera è qualcosa di più. È storia. Passione, civiltà! Che non può essere ridotta a mera icona di un movimento nato nel terzo millennio.

martedì 12 ottobre 2010

Adro, e se il dirigente scolastico...

Si è già scritto in merito alla vicenda della scuola di Adro e ci sono prese di posizioni distinte tra le diverse fazioni. Ora il dirigente scolastico, prende la situazione in mano e decide di eliminare i simboli leghisti che il sindaco ha voluto incastonare a mo’ di perle nella scuola. Che non siano perle di saggezza si è capito subito, tant’è che il primo cittadino cerca d’intimidire il dirigente scolastico, anzi lo minaccia apertamente e anticipa la sua volontà di denunciarlo qualora faccia togliere il simbolo per avere disatteso e vanificato la delibera dell’autorità comunale che ha legiferato l’introduzione degli spicchi di sole verde racchiuse nel cerchio.
In tutta questa vicenda, c’è la possibilità di lanciare una semplice idea suffragata dalle leggi dello Stato sulla scuola ancora in vigore?, e nello specifico laddove si postula di espressività come linguaggio creativo e interazione degli alunni con l’ambiente, la cultura, la bellezza e il lavoro.
Se come penso la risposta è positiva, in virtù di quanto accennato, … e se il dirigente scolastico allestisse una fucina creativa guidata da docenti e artisti per intervenire sui simboli e renderli vicini ai concetti di solidarietà e uguaglianza?

Insomma, intervenire con i linguaggi dell’arte per dialogare creativamente attorno ai simboli e alle provocazioni ideologiche, e, magari, comprendere che le diversità possono tramutarsi in ricchezze.

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