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sabato 27 marzo 2021

Vita all'aria aperta, vita in campagna

C'era una volta.



C'era una volta. Iniziano sempre così le favole per bambini. Oggi però voglio raccontarvi una storia contemporanea, anzi più che una storia una realtà, un modello di vita che si vive nelle campagne calabresi e non solo calabresi.

Insomma uno spaccato di vita che la sorte regala ancora a pochi fortunati e sono altrettanto poche le persone che l'apprezzano per quel ch'è: una fortuna! Specialmente nell'era del virus che costringe in casa gli abitanti delle città e dei paesi.

Lontano dalle ansie e dall'inquinamento cittadino. Tra il silenzio interrotto dai cinguettii e dal vento che trasporta odori della natura. Il gorgoglio dell'acqua cristallina è una nenia che muta quando incontra e accarezza gli ostacoli. L'alveo del fiume in questo periodo è quasi asciutto. Ma, nonostante l'acqua bassa a ogni passo gli zoccoli dell'asino s'inabissano. L'uomo che cammina al suo fianco ha stivali alti fino al ginocchio e non alza completamente i piedi. Il suo passo è lento, forse accarezza il fondale con le grosse suole per evitare rovinosi inciampi.

E, in una delle ceste legate sui fianchi del somaro, un bimbo, o forse una bimba?, non so, dal bel visino sfoggia un sorriso da fare invidia. Lunghi riccioli biondi incorniciano il viso. E anche se cadono davanti agli occhi non molla la presa. È eccitato, visibilmente felice per quella passeggiata; altro che giro alle giostre. Le sue manine serrano il bordo della cesta che si muove al ritmo del ciuco.

E mentre noi siamo costretti, diseducati, prigionieri delle comodità, o attratti dalla moda del momento dal suv per viaggiare in città e, mai per esplorare la natura il suo fuoristrada ha un cuore che batte al ritmo della vita e lo trasporta nel tour più accattivante: da casa ai campi e viceversa finché il sole splende.

giovedì 4 luglio 2019

Sere d'estate

Nelle giornate assolate le donne preferivano stare sedute sull'uscio di casa, al fresco, sotto i portici che adornavano le entrate della maggior parte delle abitazioni, e chiacchierare. La più anziana, ritenuta la saggia del paese, donna Peppina, questo il suo nome aveva il dono di sapere ascoltare. E quando era richiesta espressamente la sua visione delle cose parlava. Si esprimeva alla maniera del paese. Accompagnava alle parole i gesti usando metafore comuni comprensibili a chiunque.

Donna Peppina sapeva decifrare anche i sogni oltre ai segni della natura. Sapeva anche togliere il malocchio. E questa è la preghiera che m'insegnò la notte del Santo Natale:

“Nostro Signore d'Eggittu venìa.
'na parma d'olivu a li mani portava;
a portava supra l'ataru pe' fara a Santa Benedizziona:

fhora malocchjiu da casa mia ...”.

Preghiera che, sapendo di non riuscire ad imparare a memoria in una notte così solenne, scrissi e ripetei fino a memorizzarla.
L'esorcismo contro la cattiveria e l'invidia non poteva e non può essere divulgato e appreso fuori dai tempi sacri che sono il SS Natale e la SS Pasqua. E non tutti possono esserne depositari.

A quel tempo ero piccola ma m'incuriosiva quell'andirivieni da casa di mia nonna. Le comari del paese entravano col solito cerimoniale e un pacco di zucchero o caffè in dono: “è permessu? Cummara Peppina vi disturbamu? No cummà chi diciti. Siti a patruna! Trasiti trasiti.”.
Guardavo e assistevo ai riti della saggezza popolare. E m'incantavo ai racconti dei sogni delle comari e alla loro decifrazione che la nonna faceva con saggia disinvoltura. Dava concreti suggerimenti agli accadimenti inusuali carichi di simboli profetici avvenuti durante il giorno durante il lavoro nei campi e rincuorava le comari. Le rasserenava. Ma dava anche consigli comportamentali e buone maniere.

giovedì 5 marzo 2015

La signora del pane

Strettamente personale.

Se non fosse per le macchine che s'incontrano (poche a dire il vero) per le strade del piccolo paese dell'entroterra calabrese, la sensazione è quella di vivere un fermo immagine in un luogo senza tempo dove la semplicità dei costumi regna sovrana.
Almeno questa è la sensazione che vivo. Salta ai miei occhi la sobrietà e la praticità delle donne infagottate con indumenti pratici. Gli stessi che usano in casa vanno bene anche per uscire. Le donne sembrano prive di rimmel, rossetto o altro, tranne le ragazze giovani che vestono i leggings e, appena, un filo di matita sugli occhi.

Siamo mentalmente ma non geograficamente ben lontani dalle piazze affollate. Qui le donne s'incrociano e chiacchierano davanti al piccolo negozietto della strada principale. sussurrano di fatti quotidiani e dei piccoli acciacchi personali o degli anziani genitori che curano, vivono con loro o abitano nelle vicinanze.

Altro che grandi magazzini o impersonali mega super centri commerciali dove facilmente si perde l'orientamento e si fatica a rintracciare la macchina. Qua basta scansare le strisce verticali in plastica della tenda contro le mosche, scavalcare il gradino e sei subito dentro a tu per tu con la signora del pane che si muove abilmente nel piccolo budello che divide il banco espositore dalla scaffalatura del pane.
Un metro e mezzo per due, ad occhio e croce. Il banco contiene qualche pizzella, dei saccottini alla cioccolata e dei taralli in quantità limitate.

Quant'è? Chiede la cliente. Du'e vvinti. (due euro e venti centesimi).
In un clima surreale, la commerciante tende la mano, alza un foglio di carta sottile di colore beige, uno di quelli che si avvolge il pane, e allinea le monete sul ripiano della cassa aperta.

Diciti … (dite)
Due pizzelle, separate, due panini e un pane casareccio ben cotto.

Voliti chissu bellu atu? (volete questo che è bello alto?). Sì va bene. Grazie. Quant'è?
Quattru e sessanta. (4€ e 60 cet.).
E qui subentra la poesia visiva:
Porgo alla signora una banconota da cinquanta euro. La poggia sul banco. Scosta il grembiule. Sgancia due spille da balia e apre la tasca della gonna protetta dal grembiule. Estrae due banconote da venti euro, poi si gira verso la cassa, prende da uno scomparto la banconota da cinque euro e infine solleva il foglio di carta e raccatta le monete.

Eccuvi! (ecco a voi, il resto è sottinteso).





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