Intrecci di vite
L’arte dei cesti e la voce delle fiumare
Da sempre, l’arte di intrecciare i cesti nasce dalla natura. I maestri cestai scelgono con cura i materiali: vimini, olmo, ulivo e salice danno forza e flessibilità alla struttura, mentre le canne completano la costruzione, rendendo il cesto solido e armonioso.
La raccolta non è mai casuale: segue i ritmi della luna e delle stagioni. In luna calante si tagliano i rami e si raccolgono le canne, soprattutto tra gennaio e febbraio. Il vimini, invece, si cerca lungo i corsi d’acqua da giugno fino ad aprile. Nei mesi estivi, tra luglio e fine agosto, il vimini si presta alla decorticazione, che lo trasforma nel prezioso vimini bianco, più fine e delicato.
Una volta raccolto, il materiale è trattato con pazienza: il vimini si priva delle foglie, si seleziona per grossezza e lunghezza, si lega in piccoli fasci e si lascia asciugare in verticale. Quando arriva il momento di lavorarlo, viene immerso in acqua per alcuni giorni, così da renderlo docile alle mani dell’artigiano. Le canne, invece, si spaccano in quattro parti uguali e si riducono alla misura desiderata. Solo allora sono pronte per intrecciarsi con gli altri elementi e dare vita al cesto, frutto di gesti antichi tramandati di generazione in generazione.
Il paesaggio delle fiumare
Intrecciare un cesto non è soltanto un lavoro manuale: è un rito che porta con sé il respiro della terra. I vimini, raccolti lungo i corsi d’acqua, sprigionano un profumo fresco e selvatico quando vengono immersi: un odore che ricorda la linfa e la pioggia, segno che il materiale si sta ammorbidendo, pronto a piegarsi docilmente tra le mani dell’artigiano.
Nelle fiumare calabresi, ampie distese di ciottoli e acqua che scendono dalle montagne verso il mare, i fasci di vimini erano lasciati a bagno nelle gurne, pozze naturali scavate dal tempo e dalla corrente. Lì, tra il fruscio dell’acqua e il canto degli uccelli, il cestaio attendeva che la natura compisse la sua parte: pulire, ammorbidire, rendere il materiale pronto all’intreccio.
Le fiumare erano officine a cielo aperto. Ogni fascio di rami, legato e immerso, diventava un frammento di tradizione che si preparava a trasformarsi in oggetto quotidiano: un cesto per le olive, un paniere per il pane, un intreccio che portava con sé la memoria di gesti antichi. Così, tra il profumo del vimini bagnato e la bellezza aspra delle fiumare, nascevano i cesti: un dialogo silenzioso tra uomo e natura, fatto di pazienza, rispetto e sapienza.
La memoria del nonno
Ancora oggi, c’è chi, per passione, dedica il tempo della pensione a questo mestiere: non più per necessità, ma per custodire un sapere che rischia l’oblio. Non più tra le gurne della fiumara, ma in uno scantinato trasformato in fucina, il cultore cestaro immerge i suoi fasci di vimini. Si alza presto, come un tempo, “per andare ad erba”, respirando a pieni polmoni l’aria fresca del mattino.
Eppure, ogni gesto lo riporta indietro: alle mattine passate con il nonno, quando da ragazzino lo seguiva lungo la fiumara. Ricorda l’acqua che accarezzava i fasci, il profumo pungente del legno bagnato, simile alla pioggia appena caduta. Ricorda il nonno seduto su un masso levigato, intento a osservare il paesaggio, mentre lui giocava a tirare sassi nell’acqua per far saltare le rane.
Il nonno sapeva che da quei rami sarebbero nati cesti robusti, panieri per il pane, intrecci capaci di accompagnare la vita quotidiana. Ma in quel momento, tra il profumo dei vimini bagnati e la bellezza delle fiumare, non pensava al lavoro: respirava la memoria di gesti tramandati, di mani che prima delle sue avevano atteso lo stesso miracolo dell’acqua.
Così, mentre il sole calava e le pozze riflettevano bagliori dorati, il nonno cestaro sentiva di non essere solo: accanto a lui c’era la voce della tradizione, che continuava a vivere in ogni intreccio, in ogni cesto, in ogni ramo immerso nelle acque delle fiumare calabresi.


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