Tra il cielo e il mare
M’immergo in un mondo fantastico, comunque non nuovo, ma
ogni volta che entro e osservo e come se fosse la prima volta, mi lascio rapire
dall’atmosfera. E, non è azzardato se dico che mi sento come Alice nel paese
delle meraviglie. È una fucina creativa:
Sul tavolo da lavoro c’è un'opera d'arte astratta realizzata
con tecnica mista, montata su un cavalletto. Il lavoro è composto di strati di
carta accartocciata — probabilmente giornali — incollati su un supporto di
cartone che sopperisce alla tela e arricchiti con spessi strati di pittura e
altri materiali, creando una superficie tridimensionale e tattile.
Lo sfondo rivela un ambiente creativo attivo, con barattoli,
contenitori e altri strumenti da lavoro artistico.
L’opera sembra esplorare il caos e la stratificazione della
comunicazione visiva, forse evocando frammenti di memoria, informazione o
emozione. Il suo stile astratto e materico invita a una lettura personale e
sensoriale.
Che meraviglia! Essere nello studio di Mario Iannino
significa trovarsi immersi in un ambiente dove la materia e il gesto si fondono
in un linguaggio visivo potente e personale. L’opera riflette proprio questo:
una ricerca espressiva che va oltre la superficie, dove carta, colore e texture
diventano strumenti di narrazione emotiva. E lo studio è l’estensione
dell’artista.
Lo spazio è pieno di
energia creativa, con materiali sparsi, barattoli di colore, strumenti e tele
in lavorazione. L’atmosfera suggerisce
un processo artistico spontaneo, quasi rituale, dove ogni elemento ha una sua
funzione nel dare vita all’opera.
Si nota una forte
impronta gestuale e materica, forse legata a un’esplorazione del quotidiano,
della memoria o della stratificazione visiva. L’uso del collage e della pittura densa
richiama pratiche dell’arte informale e dell’assemblaggio contemporaneo.
Mario Iannino è un artista calabrese con una carriera che si
estende per oltre mezzo secolo, caratterizzata da una ricerca continua tra
pittura polimaterica, linguaggi visivi mutevoli e riflessioni sulla
comunicazione.
Attivo a Catanzaro, Iannino ha sviluppato un percorso
artistico radicato nel territorio ma aperto a influenze internazionali. Fin
dagli inizi ha sperimentato con materiali diversi, privilegiando la pittura
polimaterica e l’astratto informale. Ma nello
studio di via Bezzecca, dagli inizi degli anni ’80, ha divulgato le fondamenta
della pittura figurativa e del disegno agli allievi e amanti dell’arte. Ha dedicato
tempo alla didattica e alla ricerca. Ha collaborato con enti pubblici ed è
stato professore a contratto nella Università della Calabria per quasi un
decennio.
La sua produzione
spazia dall’astratto informale al politico/sociale, con incursioni nel digitale
e nella grafica. È noto per l’uso di
texture complesse, collage e stratificazioni che trasformano la tela in un
campo tridimensionale. La sua poetica si
concentra sulla comunicazione e sulla capacità dell’arte di sublimare ciò che
ci dà sensazioni, come ha dichiarato in occasione di una mostra recente.
Oltre alla produzione
visiva, Iannino ha pubblicato libri dedicati all’arte e alla teoria del segno,
tra cui:
- Segno, gesto,
figurazione. Saggezza e utopia nei linguaggi dell’arte (2006).
- Appunti di grafia
creativa. Teoria e pratica del disegno (2005) e racconti ambientati in
Calabria.
Di lui possiamo dire che ha arricchito il panorama artistico
calabrese e nazionale con una ricerca costante e originale caratterizzata da
una ricerca, continua tra pittura polimaterica, linguaggi visivi mutevoli e riflessioni
sulla comunicazione.
Mostre ed esposizioni
- Nel 2024 ha presentato a Catanzaro la mostra personale
“Linguaggi mutevoli”, con oltre 80 opere esposte. La mostra ha raccolto i
risultati di una lunga ricerca tra semantica e poesia visiva. E prima ancora ha esposto nelle città di
Bologna; Firenze; Roma e Catanzaro.
- Ha partecipato a diverse piattaforme artistiche come il
Celeste Network, dove ha condiviso opere di pittura e grafica digitale.
L’opera in questione presenta una “sagoma” che richiama un
corpo avvolto, può evocare immagini forti e dolorose, come quelle trasmesse nei
telegiornali durante momenti di tragedia collettiva.
Questi le possibili letture dell’opera:
- Sagoma funeraria: la forma rimanda la memoria alla visione
di un corpo anonimo, ridotto a simbolo, che diventa memoria visiva di eventi
traumatici.
- Carta e materia accartocciata: la stratificazione e il
caos dei materiali possono alludere a un mondo confuso, dove la ragione è
“intorpidita” da strategie di potere, propaganda o saturazione mediatica.
- Colori vivaci (rosso, giallo, verde, blu): inseriti su un
fondo bianco, possono rappresentare la tensione tra vita e morte, tra vitalità
e cancellazione.
Avvenimenti e strategie, questi, che intorpidiscono la
ragione.
Molti artisti contemporanei affrontano questi temi senza
dichiararli apertamente, lasciando che sia lo spettatore a coglierli. Alcuni
esempi di ciò che può “intorpidire” la ragione:
- La ripetizione ossessiva delle immagini nei media, che
trasforma il dolore in spettacolo.
- La manipolazione politica e sociale, che rende difficile
distinguere verità e propaganda.
- Il bombardamento informativo, che anestetizza la
sensibilità e riduce la capacità critica.
- La perdita d’identità individuale, quando i corpi
diventano numeri o sagome indistinte.
L’interpretazione è aperta. Se Mario Iannino non dice
chiaramente cosa sta facendo, è perché la sua ricerca lascia spazio
all’ambiguità: l’opera non è un manifesto, ma un campo di tensioni. Qualcuno coglie
la sagoma funeraria, altri potrebbero vedere un paesaggio astratto o un
frammento di memoria. È proprio quest’ apertura che rende l’opera potente: non
dà risposte, ma genera domande.
E mentre lavora a quest’opera. Parla degli avvenimenti e
delle strategie che hanno intorpidito la ragione, ma non dice chiaramente ciò
che sta facendo e se l'opera verte su questi temi, e io vedo una sagoma
funeraria, il senso di intorpidimento della ragione – si collega bene alla
poetica di Mario Iannino, che da decenni lavora su stratificazioni materiche e
visive per riflettere sul linguaggio, la memoria e la comunicazione.
Collegamenti con altre opere e mostre
- “Linguaggi mutevoli” (Catanzaro, 2024): in questa grande
personale con oltre 80 opere, Iannino ha dichiarato che “quello che ci dà
sensazioni o ci comunica qualcosa va sublimato”*. L’idea di sublimare il dolore
o la confusione mediatica attraverso la materia e il segno si ritrova anche
nella tua lettura della sagoma funeraria.
- Archivio e lavori polimaterici (1970>oggi): molte sue
opere sono costruite con carta, graffi, cromie e assemblaggi che evocano
“stratificazioni esistenziali” e “lacerazioni informali cucite da vissute
cromie”. Questi termini rimandano proprio a immagini di trauma, memoria e
resilienza.
- Poetica del segno: nei suoi scritti e nelle riflessioni
critiche, Iannino considera il segno come “scrittura dell’anima”, un ponte tra
visibile e invisibile. La sagoma che si riconosce come funeraria può essere
letta come un segno universale, che non descrive, ma evoca.
Si potrebbe pensare alle strategie che intorpidiscono la
ragione attraverso un collegamento con la sua poetica, che è evidente quando
tratta la comunicazione e media; Iannino lavora spesso sul tema della
comunicazione, e la ripetizione ossessiva d’immagini traumatiche nei media è
una forma di “linguaggio mutevole” che può anestetizzare la sensibilità. E la stratificazione
visiva fa si che le sue tele non siano mai lineari ma fatte di accumuli e
cancellazioni. Questo rispecchia la difficoltà di distinguere verità e
menzogna, memoria e oblio. La materia
come memoria, dunque: la carta accartocciata e i colori densi diventano
metafora di corpi, eventi e storie compressi, che non parlano, direttamente, ma
restano come tracce.
La percezione della sagoma funeraria s’inserisce
perfettamente nel percorso di Iannino: non è detto che l’artista dichiari
esplicitamente questo tema, ma la sua poetica di segni, stratificazioni e
comunicazione sublimata, apre lo spazio mentale a interpretazioni legate al
trauma, alla memoria collettiva e alle strategie che intorpidiscono la
ragione.
In altre parole, ciò che vediamo non è “fuori tema”, ma una
delle possibili letture che la sua arte volutamente lascia aperte.
Un monumento silenzioso alla fragilità della comunicazione
contemporanea. Non è un manifesto, ma un campo di tensioni: tra corpo e
assenza, tra colore e cancellazione, tra memoria e oblio.
La sua forza sta nell’ambiguità: ciò che si riconosce come sagoma,
funeraria è una delle possibili letture, e proprio quest’apertura rende l’opera
universale. Ma lui, alla fine dà il
seguente titolo: “Tra il cielo e il mare”.
E mette bene in luce un punto cruciale: l’ambiguità come
forza espressiva. La sagoma funeraria è solo una delle possibili
interpretazioni, ma non l’unica. L’artista, scegliendo di intitolare l’opera
“Tra il cielo e il mare”, sposta l’attenzione su un piano più ampio e
universale: non più soltanto la memoria o la morte, ma il dialogo tra due
elementi primordiali, il cielo e l’acqua, che da sempre evocano infinito,
trascendenza e vita.
Alcuni spunti di lettura del titolo, sono da tenere in
considerazione perché illuminanti. Suggeriscono la Dimensione cosmica tra il
cielo e il mare giacché sono simboli d’immensità, di ciò che non ha
confini. E la sospensione “tra”
suggerisce uno spazio intermedio, un limine, un luogo di passaggio. L’ambiguità si arricchisce, diventa fertile,
anche se la sagoma funeraria resta come possibile interpretazione, ma non
vincolante; l’opera si apre a chiunque, indipendentemente dalle proprie
conoscenze. L’universalità del titolo evita di chiudere il senso in un’unica
direzione, lasciando che ogni spettatore vi proietti la propria
esperienza. In fondo, è proprio questa
tensione tra riconoscibile e indefinito che rende l’opera potente: un’immagine
che può essere funeraria, ma anche paesaggio, soglia, viaggio.
Analisi critica dell’opera “Tra il cielo e il mare”.
L’opera si distingue per la sua forza evocativa e per la
capacità di mantenere aperto il campo interpretativo. La sagoma funeraria,
riconoscibile ma non vincolante, diventa uno dei possibili percorsi di lettura.
L’artista, scegliendo il titolo “Tra il cielo e il mare”, orienta lo sguardo
verso una dimensione universale, che supera la contingenza del segno e si apre
a un dialogo cosmico.
L’Ambiguità come valore nella molteplicità delle interpretazioni:
La forma suggerisce un richiamo alla memoria e alla morte, ma non si esaurisce
in questo significato. Nello spazio liminale l’ambiguità diventa un ponte tra
opposti: vita e morte, finito e infinito, materia e spirito che apre al coinvolgimento
dello spettatore: L’opera non impone un senso univoco, ma invita ciascuno a
proiettare la propria esperienza.
Il titolo come chiave di lettura, quindi che non trascende,
ma suggerisce le dimensioni. Dimensione cosmica: Il cielo e il mare sono
archetipi d’immensità e trascendenza. Sospensione: Il “tra” indica un luogo
intermedio, un limine che accoglie il passaggio. E l’universalità evocata dal titolo
evita di chiudere il significato, rendendo l’opera accessibile a diverse
culture e sensibilità.
Nel significato simbolico il cielo è simbolo di
spiritualità, infinito, aspirazione. Il mare: Simbolo di vita, origine,
movimento. “Tra”: Lo spazio del viaggio, della soglia, della trasformazione.
L’opera “Tra il cielo e il mare” si afferma come esempio di
ambiguità in cui l’indefinito possa diventare e assurgere a linguaggio
universale. La sagoma funeraria non è negata ma trascesa: diventa parte di un
orizzonte più ampio, dove ogni spettatore può trovare il proprio senso. È
proprio quest’ apertura che rende l’opera universale, capace di parlare a tutti
senza mai esaurirsi in una sola interpretazione.

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