Gesti antichi nell'era del profitto
Tra intrecci di salice e trame di consumo.
Dal basso soffitto pendevano tanti panieri, allineati, che lo nascondevano quasi del tutto alla vista. La luce del giorno, filtrata dalla portafinestra, non permetteva di distinguere bene cosa ci fosse dentro il catoio, ma lui si muoveva con naturalezza: conosceva il posto di ogni cosa, tutto ciò che gli serviva per intrecciare vimini e canne. Stava seduto su una sedia impagliata, bassa, quasi da bambini. Con gesto sicuro allungava le braccia, afferrava i rami di salice, formava un ragno e intrecciava cesti bicolori con le strisce di canna raccolte puntualmente a fine gennaio, nel freddo e sotto la luna calante.
Mi confidò che quell’antico sapere, trasmessogli da un vecchio contadino, richiedeva lentezza e maestria. Così insegnavano i saggi di un tempo, quando, dopo una giornata nei campi, ci si sedeva davanti al fuoco, magari con un bicchiere di vino accanto, e si intessevano quei gesti magici che dal nulla creavano contenitori utili a custodire e raccogliere le masserizie.
Si andava a funghi armati di bastone e paniere, e i cesti
intrecciati servivano non solo a trasportarli, ma anche a disseminarne le spore
tra le trame delle canne. Oggi, nell’era delle plastiche, è raro vedere tanta
artigianalità. Eppure lui resta lì, vivo nel mio immaginario: intento a pulire
dalle foglie i rami di salice e a domare le canne lasciate in ammollo, per
piegarle docilmente alle sue movenze.
Scene come queste non si vedono più, considerate ormai
vetuste, fuori tempo. I tempi moderni si sono piegati alle logiche del profitto
e del consumo veloce. Quel consumismo che, con un tocco di poesia, ci veniva
inculcato da “Carosello”: ricordate i jingle brevi e orecchiabili? Penetravano
nelle teste, facevano canticchiare e, alla fine, comprare. C’era di tutto: dal
detersivo alla pastina, dal brodo a Calimero e Carmencita, fino alla
brillantina e alle bevande che promettevano sollievo dalla vita moderna.
Così i prodotti industriali, dagli elettrodomestici ai
manufatti in plastica, hanno invaso le nostre abitudini, imponendosi come
soluzioni comode e veloci. Persino le sedie hanno perso la loro solida,
ecologica struttura in legno. E allora
viene spontaneo chiedersi: quanta ricchezza abbiamo sacrificato sull’altare
della modernità? Forse, nel rincorrere il nuovo, abbiamo smarrito il valore
della lentezza, della manualità, della poesia nascosta nei gesti
quotidiani.
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