giovedì 26 giugno 2025

La pace si costruisce con i buoni pensieri

Di Franco Cimino 

 I BULLI CHE DOMINANO SULLA DEBOLEZZA E LA PAURA. E LA FORZA SEMPLICE CHE LI FARÀ SCAPPARE.

Vi racconto una storia. Ascoltatemi. Anzi, leggetemi. Nella mia adolescenza e nella lunga giovinezza, tutte vissute a Marina, mi sono capitate situazioni come quelle che vi racconto. Sono simili a quelle di tanti miei coetanei. O direttamente. O per sentito dire. Ovvero, quali testimoni degli avvenimenti. La prima storiella, per nulla “fantasiata”, neppure nell’enfasi del racconto. Questa:

 In quegli anni, Marina era piccola, una bomboniera sul mare, che solo per qualche centinaio di metri, a salire dall’importante stazione ferroviaria, si allungava su località Fortuna. In quella Marina, come altrove, c’era un ragazzo che litigava sempre. Con chiunque. E per qualunque assenza di ragione. Litigava e non per quel classico carattere definito nervoso. Litigava così, tanto per litigare. Le prendeva sempre. Mai una volta che avesse dato un pugno o uno schiaffo in più a chi scioccamente rispondeva alle sue “ sfide”. A fine lite, ci raggiungeva e ci diceva testualmente : “ Idru mindaminau, ma eu cindadissi!” Noi, ridevamo, ma non lo sfottevamo. Gli dicevamo sempre di sì. “ Bravu tu sì ca sì daveru coraggiusu”. E lui se ne andava contento e orgoglioso, a cercare un altro da provocare. Un’altra lite. 

L’altra storia, é memoria di un fatto rimasto fermo in me. Un evento che tante volte ho fatto presente nelle conversazioni e nelle lezioni per dimostrare una realtà, che voi stessi trarrete dalla lettura.

 Questa: nel “ rione” in cui abitavo, proprio vicino a casa mia, cento metri dall’Istitituto, ancora in costruzione nella parte nuova, delle Suore Maria Immacolata Concezione d’Ivrea( mi ricordo bene tutto il titolo, come le suore maestre e tutti i miei compagni di classe), dove ho frequentato le scuole “ dall’asilo” alle elementari, c’era un ragazzo di qualche anno più grande di me, che faceva il prepotente, allora non usava la parola bullo. Aveva già lasciato le scuole, con piena gioia dei suoi insegnanti. Non studiava e non faceva i compiti. Si assentava spesso. Entrava in ritardo e pretendeva di uscire quando lo avesse voluto. Vestiva trasandato. E siccome stava sempre in giro fin dal primo mattino, tra cantieri, spiaggia dell’arrivo dei pescatori, boschi e pineta, allora a ridosso dell’abitato, si presentava in condizioni, diciamo, poco igieniche, trasandate. Insomma, un vero “ debosciato.” Lui non cercava le liti. Non fingeva scontri “ vittoriosi”. Lui faceva il prepotente. Fisicamente forte. Alto, non “ grasso, ma voluminoso di muscoli veri e di nevi a corda di navi. Impressionava già a vederlo. Voleva imporsi nel rione. Con la forza e la prepotenza. Essere temuto. Ricevere soggezione e obbedienza. E qualche cosa che gli occorresse, dai panini ben farciti alle figurine “ Panini”, che gli mancassero all’album. Per farsi valere. Conoscere:” u sai cu su eu” e menava. “ Ricordati u noma meu”, e se ne andava, in cerca di un altro da minacciare. Chi? Chiunque, avesse(lui li individuava bene, non era mica scemo!) una buona educazione familiare, da cui quella debolezza nei confronti degli aggressivi e dei violenti. Insomma, qualsiasi ragazzo che avesse preventivamente paura di lui, che si era fatto la fama di forte e imbattibile. Non so ancora perché verso di me non avesse mai agito. Mi guardava “ storto”, ma non mi minacciava. Lo faceva quotidianamente con mio amico fraterno, diciamo quasi fratello. Lui era come me. Più determinato di me nel respingere, già culturalmente, la violenza e i violenti, la prepotenza e i prepotenti, i mafiosetti di cortile. Era un ragazzo libero e geloso, il mio amico fratello, della sua libertà. E non si piegava, così come ha fatto poi nel corso della vita. Un pomeriggio, che andava all’imbrunire, nello spiazzo del cantiere per la costruzione del nuovo edificio delle Suore, vedo il “ mafiosetto” sopra il corpo disteso di una sua vittima. Colpiva a pugni e schiaffi il malcapitato. Mi getto su di lui, avvinghiandolo alle spalle per sottrarlo da quella “ eroica azione”. Nel mentre, io gracilino, quasi fil di ferro a quelle età, lo tiravo, scopro che sotto di lui c’era proprio il mio amico, il quale per natura antiviolenza non si difendeva neppure. Lo conoscevo bene. “Lassalu”, io gli dicevo. “Vattinda, ca ti minu puru a tia.” Lui a me. Non c’è stato nulla da fare. Lui non mollava la presa e menava. Menava di brutto. Mi trovavo in mano, un diario, che avevo appena comprato, con i risparmi, in cartoleria, un diario di quelli belli, con la copertina dura come una pietra. E glielo do in testa. Qualche piccola escoriazione con un po’ di sangue. Si tocca con la mano. La trova un po’ rossa. Si solleva spaventato, lascia la “ preda”. E urlando se ne va a gambe levate. “ Mo’ ciu dicu a frattimma, a pagati cara chissa( ora glielo dico a mio fratello maggiore, la pagherete questa! ). Abitavamo vicino e per qualche giorno, ho avuto un po’ di paura di quel fratello, che, però, mi passava davanti come se nulla fosse. Da quel giorno, il bullo, l’arrogante, il cretino, il mafiosetto, non si fece più vedere dalle nostre parti. La società, quella cresciuta sui rapporti di forza, da sempre è andata avanti, fino ai nostri giorni, imponendosi questo schema. Un prepotente, che si sente forte perché alla ragione ha preferito la forza muscolare, alla morale l’egoismo e il cinismo, usa l’arroganza e la forza fisica, per scatenare la paura negli altri e imporre la sua volontà. Soprattutto, per l’acquisizione di sempre maggiore potere. Potere con il quale imporre le proprie regole, conquistare nuovi spazi e altra ricchezza. Estendere il proprio dominio su territori e paesi e nazioni, anche lontani. E mettere sulla terra degli altri la propria bandiera. E sul cappello di tutti la penna delle ali di uccelli, che lui, con la stessa violenza, ha strappato al cielo. Poi, dopo aver fatto scendere il silenzio cimiteriale su tutto quel dominio, e sulle macerie sotto le quali non di ode un lamento, un respiro, un battito di cuore, dichiara di aver costruito la pace. Lui, il nuovo eroe planetario, il pacifista pacificatore per la pace pacificata. Quella nella quale vige il nuovo principio, da lui stesso inventato: la pace si costruisce con la guerra. 

La guerra buona è quella che vince sulla debolezza del nemico. Anzi, per i prepotenti, non c’è bisogno neppure del nemico. Basta solo che vi siano terre ricche da conquistare, risorse preziose da rubare, popoli inermi da affamare, genti disperate da annientare. Tanti, tanti bambini da far morire, di fame o di fuoco. E donne da “ dematernizzare”, affinché nuova prole non nasca. Questa pace “ mortifera” è la pace dei prepotenti. Dei nuovi bulli. Di coloro i quali mostrano i muscoli e menano le mani. Minacciano violenze più dure. E atti bellici devastanti. Questa Pace e questi bulli, hanno bisogno solo dell’alleato più fedele e “ pacifico”, la paura. Di popoli, di Stati, Nazioni, governi, persone. Con questa storica alleanza continueranno a governare il mondo. Con l’autoritarismo oggi più efficace, che non ha bisogno neppure di vestirsi di fascismo. Sulla paura agisce facilmente l’uomo cosiddetto “ forte”. La paura, specialmente quando è collettiva, genera impotenza, cedimento. Abbandono del sé, individuale e collettivo. Svuota di forza il Noi. Asciuga il senso critico. Annulla la coscienza sociale e cancella con essa la Politica. Ma il bullo è un cretino vestito di nuovo. L’arrogante vanitoso profumato del super-io, è un folle riverito come simpatico, intelligente e normale dai cortigiani e dagli spaventati. Il prepotente, arrogante, bullo, egocentrico, ricoperto di muscoli, è un debole che ha paura. E, come i mafiosi e i bulli di ogni latitudine e di ogni tempo, copre la sua fragilità colpendo i deboli. I più deboli di lui. Ma, come la storia insegna, basta fare “ bum”, mostrare quel poco di coraggio, che superi la paura di un momento o che mostri anche solo di esserlo, che il bullo, il prepotente, l’arrogante, se la darà a gambe legate. La stessa cosa, con i mafiosi veri. Specialmente, se quell’attimo di coraggio sarà espresso da persone insieme, cittadini uniti, Stati e Nazioni alleati. Da quell’attimo, potrà nascere il mondo nuovo. Quello della ricchezza per tutti. E della Pace vera. La Pace in cui tutte le energie e le volontà si coniughino con la Libertà. E la Giustizia con la Democrazia. 

                                                                  Franco Cimino

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