Visualizzazione post con etichetta letteratura. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta letteratura. Mostra tutti i post

sabato 26 settembre 2020

Tra Spoon River e Tirripitirri

 Affinità

Cosa c'è in comune tra due personaggi nati, uno in America e l'altro in Italia, nel 1860 anno più anno meno?

 



Nella seconda metà dell'ottocento accaddero avvenimenti che segnarono e modificarono i destini del mondo. Tra guerre devastanti e guerre silenti nascevano grandi talenti che hanno reso catartica l'azione violenta dell'uomo.


In Europa il fermento creativo rivoluzionò i modelli creativi accademici ossequiosi col potere costituito e autoreferenziali fortificati delle categorie d'appartenenza. Molti artisti furono costretti a fuggire perché perseguitati dai sistemi totalitari ancorati alle dottrine ideologiche che non lasciavano spazi alle forme del libero pensiero espresso in pittura, musica e teatro.


Il sogno americano divenne realtà. E molti trovarono accoglienza. Altri, nativi d'America, furono messi al bando dai concittadini per avere osato descriverne le debolezze se pur in chiave poetica.

Edgar Lee Masters è uno degli esuli in patria, auto-condannatosi per avere scritto degli epitaffi sui concittadini rompendo quella cortina di perbenismo imposta per l'ultima dimora.


Masters, avvocato e poeta, (1869-1948), condannato dalla società per avere osato denunciare le incongruenze dei defunti nel suo Spoon River tradotto da Fernanda Pivano, musicato da Ermanno Olmi, cantato da De Andrè e apprezzato dai lettori di mezzo mondo si riscatta nel nuovo secolo con l'edizione originale del 1915 e si fortifica tra i lettori italiani nel 1943. così molti apprendono del microcosmo di Lewistown e Pittsburg nell'Illinois.


In Italia, nel sud d'Italia, precisamente in Catanzaro, guerre intestine a parte, un giovane, G. Patari (1866-1948), scriveva in vernacolo catanzarese e descriveva poeticamente i vizi e le virtù del microcosmo racchiuso sui tre colli protetto dalle mura di Carlo V che si estendevano dal castello omonimo fino a bellavista fuori le porta (fhora e porthu).


Non c'è stato l'incontro con poeti maledetti e o cantautori dotati di sensibilità estreme ma fu apprezzato dai contemporanei che lo proposero come insegnante nel locale liceo Galluppi. Questo percorso lo tenne fuori dall'attività forense (anche lui come Masters era avvocato) e gli diede l'opportunità di esprimere versi a volte caustici, satirici, impietosi nei confronti di una società appariscente e voltafaccia. Giornalista satirico seppe osservare ben i costumi e trascriverli senza farsi nemici come si evince ne: “I trafacceri” (i voltafaccia):


I (davanti)


Ca comu hjiu ppe ma veniti a st'ura?...

Mamma, cchi onori, prestu, favuriti...

permettiti ma furnu sta custura...

E a gnura Grazza comu sta? Diciti...

(…)


Gesù, v'azati? E chi fu, ndo Mbicè?

Assettativi... (Ro' porta 'na tazza),

ma vi pigghjati nu pocu e cafè...

(…)


II (darretu)


Duv'esta cchi bottija menzijornu... E fannu a st'ura visit a li genti... Certi persuni, Rò, perdiru u scornu... tantu da fama mi sbattunu i denti... Guarda tu, nci volia s'atru talornu...(...) mi dissa ca a mugghiera esta malata ccha chi nci manca a chiddha sgaddoffata? (…)


Atteggiamenti e costumi in cui ci ritroviamo tutti, chi più chi meno, ma imputiamo sempre agli altri. Forse per questo motivo ridiamo... o forse no?


giovedì 5 marzo 2015

Nonno Carlo

Sul comò, in camera da letto, mia madre aveva raggruppato le foto dei nonni e degli zii. Il centrino ricamato li raccoglieva in una sorta di spazio dedicato alla preghiera e al ricordo.
Il fratello di mamma, in divisa, morì non so dove in guerra, lasciando la giovane moglie e il figlioletto soli.

Quando la guerra finì, il governo italiano promosse accordi politici con gli Stati ricchi di materie prime ma povere di maestranze. Ebbe inizio il primo grande esodo. Francia, Germania, Svizzera, Americhe, Argentina, Brasile e anche il nord Italia furono mete dei nostri padri e nonni.

Nonno Carlo, mi raccontò mia madre, partì per le Americhe in cerca di fortuna ancor prima. Lui, come si diceva una volta, era un benestante prima che maestro di musica e in paese lo rispettavano tutti.
Anche le figlie erano rispettate e, raccontava mia madre, che anche lei, se pur ancora ragazzina, a quel tempo era ossequiata e siccome era d'uso tra i paesani togliersi il cappello in segno di saluto anche in assenza degli ospiti, lei sorrideva all'inutilità degli inchini fatti all'aria e al niente dagli uomini rimasti in paese. Ma questi erano gli usi e i costumi dell'epoca di mio nonno.

Purtroppo oltre al rispetto, generato dalla cultura ossequiosa e sacrale legata alla terra, non c'era nient'altro in quel paesino di quattro case e una chiesa. La crisi toccò proprietari terrieri, latifondisti e artigiani.

La terra non dava più i frutti necessari per il sostentamento delle famiglie numerose e gli artigiani non avevano committenze. Cosicché, gli uomini in forze raccolsero nelle valigie di cartone gli effetti personali e partirono verso nuovi mondi, certi di alleviare la fame e la miseria dei congiunti suffragati dagli accordi politici post-bellici tra il governo italiano e gli Stati in via di sviluppo; così ebbe inizio il primo grande esodo.

(Segue)
(ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale)

La signora del pane

Strettamente personale.

Se non fosse per le macchine che s'incontrano (poche a dire il vero) per le strade del piccolo paese dell'entroterra calabrese, la sensazione è quella di vivere un fermo immagine in un luogo senza tempo dove la semplicità dei costumi regna sovrana.
Almeno questa è la sensazione che vivo. Salta ai miei occhi la sobrietà e la praticità delle donne infagottate con indumenti pratici. Gli stessi che usano in casa vanno bene anche per uscire. Le donne sembrano prive di rimmel, rossetto o altro, tranne le ragazze giovani che vestono i leggings e, appena, un filo di matita sugli occhi.

Siamo mentalmente ma non geograficamente ben lontani dalle piazze affollate. Qui le donne s'incrociano e chiacchierano davanti al piccolo negozietto della strada principale. sussurrano di fatti quotidiani e dei piccoli acciacchi personali o degli anziani genitori che curano, vivono con loro o abitano nelle vicinanze.

Altro che grandi magazzini o impersonali mega super centri commerciali dove facilmente si perde l'orientamento e si fatica a rintracciare la macchina. Qua basta scansare le strisce verticali in plastica della tenda contro le mosche, scavalcare il gradino e sei subito dentro a tu per tu con la signora del pane che si muove abilmente nel piccolo budello che divide il banco espositore dalla scaffalatura del pane.
Un metro e mezzo per due, ad occhio e croce. Il banco contiene qualche pizzella, dei saccottini alla cioccolata e dei taralli in quantità limitate.

Quant'è? Chiede la cliente. Du'e vvinti. (due euro e venti centesimi).
In un clima surreale, la commerciante tende la mano, alza un foglio di carta sottile di colore beige, uno di quelli che si avvolge il pane, e allinea le monete sul ripiano della cassa aperta.

Diciti … (dite)
Due pizzelle, separate, due panini e un pane casareccio ben cotto.

Voliti chissu bellu atu? (volete questo che è bello alto?). Sì va bene. Grazie. Quant'è?
Quattru e sessanta. (4€ e 60 cet.).
E qui subentra la poesia visiva:
Porgo alla signora una banconota da cinquanta euro. La poggia sul banco. Scosta il grembiule. Sgancia due spille da balia e apre la tasca della gonna protetta dal grembiule. Estrae due banconote da venti euro, poi si gira verso la cassa, prende da uno scomparto la banconota da cinque euro e infine solleva il foglio di carta e raccatta le monete.

Eccuvi! (ecco a voi, il resto è sottinteso).





lunedì 2 settembre 2013

La mia Africa

LA MIA AFRICA HA NOME CREAZIONE!


La letteratura e la filmografia sovente toccano temi inerenti il mal d'Africa.
Gli spunti arrivano dai viaggiatori, che, in Africa, pare abbiano subito un mutamento.

In quei luoghi, una sorta di misticismo poetico si è fatto breccia nei loro cervelli. Ha penetrato i pertugi dell'anima approfittando della momentanea vacanza degli attenti guardiani posti alle porte maestre dell'ego in difesa dei traguardi raggiunti. Ha squinternato i sensi e conferito nuove valenze alla vita.

La natura, finalmente, è il caso di dirlo, compie il miracolo! Una sorta di magone nostalgico impone l'immediato ritorno nei luoghi dorati dal sole tra le oasi incontaminate dalla memoria.

I luoghi romanzati da poeti, parolieri e pittori nazional-popolari attenti a donare visioni melense, per alcuni, sono importanti perché, secondo alcune letture, aiutano a sognare e sperare senza impegni.

Per altri, la natura è Maestra! Suggerisce senza mai coartare. E da essa traggono sostanza creativa le menti contemplative.

Tutto questo e altro ancora esiste in Calabria. Nelle regioni italiane. Nell'Europa. Nel Mondo! Insomma, laddove arde la più piccola fiammella alimentata dal sacro senso della creazione che, nei fatti, è un condensato di denuncia, in quanto analisi, e inno alla Vita


giovedì 4 aprile 2013

A proposito di crisi, politica sociale, povertà e emigrazioni

A testa in giù.


Quando c'era la democraziacristana mangiavamo tutti. “Mangiavi 'nu pocu tu nu pocu eju e nu pocu iddhi...”. È facile sentire frasi analoghe al sud come al nord d'Italia. Ma non possiamo disattendere che la litania, se pur scontata, è il risultato della precarietà sociale che da qualche tempo subiamo.

Tutto sommato, affermazioni simili possono essere intese come il riconoscimento sanguigno e benevolo del proletariato nei confronti della politica della cosiddetta prima repubblica in quanto, tra innumerevoli contraddizioni, diede opportunità anche ai ceti meno abbienti d'impossessarsi della cultura.

La gente comune, quella che ha vissuto i tempi magri sulla propria pelle, quella che non aveva i soldi per comprare scarpe e vestiti ai figli e men che meno giocattoli. In poche parole:
I poveri che gonfiavano le fila del ceto sociale analfabeta composto da contadini, operai e artigiani delle periferie che usciti dall'ultima guerra, gioco forza, si rimboccarono le maniche e lavorarono sodo per se stessi e i loro figli, di sicuro, sorriderebbero davanti alla “nostra” crisi economica.
Non sorriderebbero, invece, davanti alla crisi dei valori che “l'ingegneria economica mondiale” e, nel nostro caso, europea, mette continuamente in discussione, subordinandoli ai profitti.

Le cronache raccontano storie di emigrazioni. Analfabeti catapultati in America, Germania, Svizzera, Argentina, Brasile, Canada e persino in Africa.
Italiani che hanno dovuto legare i sogni con lo spago. Lo stesso spago che legava, sigillando le
"bambole di pezza" pigotte, ph, op. digt
misere cose che avrebbero dovuto lenire i primi sacrifici in terre sconosciute, valigie di cartone e enormi balle di pezza, bagagli portati sulla testa dalle instancabili donne che abbandonavano il duro lavoro nelle campagne calabresi al seguito di mariti o padri costretti a tentar fortuna oltre i confini familiari dei rispettivi paesi.

Papa Francesco è uno dei tanti figli di queste storie, un simbolo che rappresenta la cultura sana delle persone costrette ad emigrare.
Non è per orgoglio nazionalista che cito Papa Bergoglio, non saprei che farmene, e come Lui, altri si sono distinti nei vari campi del fare. Volendo citarli tutti diverrebbe cosa assai ardua. E qui, su questa pagina web voglio ricordare, invece, i molti rimasti sconosciuti alle cronache dei media.

Mi piace pensare agli emigrati che, sì, si sono inseriti a pieno titolo nelle comunità d'oltre frontiere ma che hanno mantenuto, volutamente, vive le tradizioni dei padri che parlavano di onestà, famiglia, lavoro e cultura. Gente che per far studiare i figli, probabilmente, si “costringeva”, cioè, evitava di spendere per sé i pochi risparmi messi da parte con fatica e lungimiranza pur di dare un “futuro” ai giovani.

Mamme e padri che andavano in giro con le pezze ai vestiti rivoltati all'inverosimile. Genitori che passavano indumenti e scarpe dai figli grandi ai piccoli. Mamme che costruivano bambole di pezza per far giocare le femminucce e Padri che insegnavano ai figli come costruire un carro, una spada o un trenino con i rocchetti del filo per rammendi. E figli che sapevano trasformare con la fantasia lo scatolone di cartone in castello o che stando a testa in giù, appesi ad un ramo d'albero, pensavano fosse il massimo della trasgressione.

Adesso, a testa in giù, ci sono i valori della pensiero laico e religioso. E mentre il mondo Cristiano, ad opera del nuovo Papa venuto dalla lontana terra d'Argentina, sta risalendo la china, certa politica sembra non sappia fare altro che crogiolarsi nel litigioso brodo delle accuse reciproche disattendendo  e mortificando le aspettative dei cittadini. 

lunedì 1 ottobre 2012

Carmine Abate e la rivincita dei nuovi migranti

Se Carmine Abate non avesse vinto il Campiello, oggi, sarebbe gradito ospite del presidente della giunta regionale calabrese?

Risposta scontata: NO!

Questo è il modello adottato dai dirigenti politici che amano navigare nei mari calmi dell’orgoglio campanilistico facile e perciò puntano sui cavalli affermati che si sono fatte le ossa e guadagnata la fama fuori dalla terra d’origine.

Vincitori di niente se fossero rimasti in loco non per demeriti ma per l’assenza di una classe dirigente lungimirante al servizio dei cittadini e della cultura.

In Calabria l’ostracismo nasce con la vita stessa e si mitiga solo affiliandosi a qualcuno o qualcosa. Qui non conta la sensibilità, l’onestà intellettuale, la cultura del bene comune.
Forse per la durezza della vita stessa che porta a lottare fin dai primi giorni di vita sociale. L’arma più usata è la delazione, a seguire, la supponente derisione nei confronti dei rivali. Insomma una guerra continua per la sopravvivenza.

Per questi motivi, a volte, andare via è sinonimo di opportunità.
Lo è stato per il maestro Mimmo Rotella e molti altri contemporanei costretti a portare la loro persona altrove per vari motivi, esplicitati poeticamente ne “Il canto dei nuovi emigranti” di Franco Costabile, anche lui calabrese di Sambiase trapiantato a Roma.

mercoledì 30 maggio 2012

Enti, fondazioni, diritti d'autore, quale utilità per la cultura

m.i. prodotto c, tm, 2011

Per tutte le forme d'arte, ferma la teoria del giusto compenso da elargire agli artisti per i lavori d'intelletto prodotti, quando si parla di cultura i diritti d'autore dovrebbero essere eliminati perchè in antitesi con la missione creativa di chi fa arte.

In effetti i cavilli giuridici tessuti per ottenere compensi o agevolazioni ulteriori sono d'oltraggio alla cultura stessa specie se a esigerli sono le fondazioni. D'altro canto è ancora più disdicevole se il tavolo della cultura è assediato da famelici faccendieri che vestono o hanno vestito panni politici o clericali.

E mentre al nord Italia la terra trema, devastata dal terremoto e dall'ennesima emergenza, i capannoni cadono e provocano morti, al centro e al sud si riscopre la culturadell'omaggio a uomini e associazioni culturali che hanno fatto parte della storia dell'Italia.

In Calabria, è ritornato il “premio Sila”, storico premio letterario creato dagli uomini della cultura calabrese oltre sessant’anni fa. Siamo nel 49 quando Mauro Leporace, Raffaele Cundari e Giacomo Mancini annunciano la nascita del premio letterario.

A dare notizia della riesumazione del premio sono il presidente della Banca Carime, Andrea Pisani Massamormile, il vescovo di Cosenza, Salvatore Nunnari e il preside della facoltà di Lettere dell'Unical Raffaele Perrelli, presidente della giuria del Premio letterario.
Enzo Paolini, uno dei promotori della nuova sfida intellettuale, ha sottolineato l'importanza del legame tra il passato e il presente: “...occorre che il patrimonio culturale rappresentato dalla storia del Premio Sila non vada perduto anche perché certe iniziative fanno crescere il Paese più dell'abbassamento dello spread”

La risposta di chi si crede detentore del potere egemone non tarda ad arrivare:

"Risulta oltremodo sgradevole il tentativo di appropriarsi della memoria del glorioso Premio Sila, senza preventivamente coinvolgere nè gli eredi né le istituzioni culturali, che conservano il patrimonio ideale delle personalità- Giacomo Mancini e gli stimati avvocati cosentini, Raffaele Cundari e Mauro Leporace- che, più di mezzo secolo, fa idearono una tra le più importanti manifestazioni culturali del nostro paese. Se, infatti, è più che legittimo che qualcuno possa dare vita ad una iniziativa letteraria e culturale, a Cosenza, appare oltremodo increscioso e sgradevole il tentativo di appropriarsi, indebitamente, di una memoria, che va rispettata. E di millantare collegamenti, inesistenti, con una storia e una tradizione non solo senza possederne i titoli, ma anche estromettendo quanti tali titoli e tale tradizione possono vantare. Ci auguriamo, pertanto, che ogni progetto, che riguardi il futuro, proceda, in maniera distinta e separata, da quanto fatto, riscuotendo unanimi e qualificati consensi, nel passato".
La "Fondazione Giacomo Mancini".

D'altro canto, perché riesumare un marchio sepolto da tempo? Il riscatto del meridione non può chiamarsi in altro modo? Comunque, la giuria è già al lavoro per individuare i premi delle due sezioni principali, quella di letteratura e quella di economia, oltre ai premi speciali, uno dei quali sarà assegnato a un lavoro sul meridione.

martedì 28 febbraio 2012

scrittura creativa: la cartomante

LA CARTOMANTE.

Il palazzo ha una forma strana. Inconsueta. Da lontano sembra circolare. Solo da vicino ci si accorge che i muri perimetrali formano degli angoli laddove si uniscono.
Non saprei dire se il suo perimetro forma un pentagono, un decagono o qualcosa di più. Il portone è costituito da un'enorme vetrata all'interno di un porticato punteggiato da colonne circolari che sorreggono l'intera struttura. L'androne e le scale sono di marmo. Le porte scorrevoli dei due ascensori situati alle estremità del lungo corridoio sono ancora protette dalla pellicola trasparente. 58 appartamenti di nuova costruzione iniziano a vivere umori altrui.
Secondo piano interno 12. L'odore della pittura fresca è ancora nell'aria. La signora pulisce le ultime macchie sul pavimento facendosi spazio tra gli scatoloni.
Ancora qualche giorno e poi possiamo iniziare a svuotare i cartoni e sistemare la roba. Per oggi può bastare. Dice la signora mentre invita la ragazza a seguirla.
Fuori è ancora un cantiere. La strada sterrata a tratti è ricoperta da ciottoli e pietrisco. Sorridenti, le due donne, per evitare pozzanghere e ciottoli dannosi per le scarpe, saltellano sulle punte fino alla macchina.
C'è la luce del cantiere, aveva detto il costruttore. Se volete potete iniziare a trasferirvi, do disposizione al geometra di allacciare provvisoriamente il vostro appartamento. E così fu. Per la signora era comodo trasferirsi prima possibile visto che lei lavorava a pochi metri da lì. D'altronde l'aveva presa apposta quella nuova residenza. Lei, era già proprietaria di una casa autonoma in periferia, mi disse, ma col tempo capì che c'era anche un altro motivo.
Quel giorno la nebbia avvolgeva ogni cosa e nascondeva tutto. Palazzi alberi macchine e persone comparivano all'improvviso come per magia! Le pietre affioravano dal terreno accidentato e diventavano pericoli a volte insormontabili. E proprio una di quelle pietre mi fece rovinare a terra improvvisamente.
Sterzai all'ultimo minuto, la ruota scivolò sulla faccia tondeggiante della pietra resa viscida dalla pioggia mattutina e mi trovai steso in un'enorme pozzanghera con le mani piene di granuli sabbiosi, fu doloroso toglierli tutti! Ma credo che il dolore più grande lo ebbi quando vidi in che stato si era ridotto lo scooter: le curve avvolgenti del corpo motore e la lamiera del paragambe erano danneggiate da fare paura. Ed ora! Come mi ritiro a casa? Dissi tra me mentre sollevavo la moto da terra e cercavo invano la pedalina della messa in moto. Avevo smarrito l'orientamento; girai attorno allo scooter un paio di volte prima di rendermi conto che la pedalina si era spezzata nella caduta.
Porca troia! Imprecai. Ma si può essere più sfigati di così! Una caduta da fessi a neanche 10 all'ora e... che cazzo!

domenica 26 febbraio 2012

L'ordito e la trama, gratis il tuo romanzo?

Racconti fuori dal cassetto                 
prefazione
(copia e incolla da fb)
Alle amiche e agli amici di FB che hanno un romanzo o una raccolta di racconti nel casetto (si confida di buon livello) comunico che, sempre se vi può interessare e ne abbiate il desiderio, noi curatori della collana di narrativa (non a pagamento) “L'ordito e la trama” delle Edizioni Albatros (distribuzione a livello nazionale PDE), cioè Paolo Lagazzi, Daniela Tomerini e Gian Ruggero Manzoni, siamo disponibili a leggerlo/a al fine di, se accettato/a, poi pubblicarlo/a. Il romanzo o la raccolta di racconti non deve superare le 80 cartelle dattiloscritte (noi ragioniamo come un tempo, ogni cartella massimo di 35 righe di circa 80 battute ognuna). Evitare romanzi o racconti intimisti (se non di altissimo respiro poetico), autobiografici (sempre se l'autrice o l'autore non abbia avuto una vita a tal punto mirabolante o intensa o interessante da essere degna di venire testimoniata) e minimalisti (cioè ruotanti attorno al come uno beve il caffè la mattina, oppure scritti attorno al proprio ombelico), evitare romanzi o raccolte di racconti dai risvolti troppo psicologici (non siamo degli psicoterapeuti) o troppo sentimental-buonisti (cioè “melensi”), evitare romanzi o raccolte di racconti in cui si tenta l'azzardo della trasgressione senza mai essere stati trasgressivi (sempre se esiste un metro o un “canone” per la trasgressione), evitare romanzi sperimentali (già ha sperimentato a dovere e con grandezza Celine). Si accettano anche romanzi o racconti che sfruttino il genere noir, memorialistico oppure storico, o anche che abbiano il viaggio come motivo conduttore, al fine di affrontare, comunque, “argomenti alti”. Tenete presente che per noi i top narrativi sono Joseph Conrad, Friedrich Dürrenmatt, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Edgar Allan Poe, Herman Melville, Jorge Luis Borges, Bruce Chatwin e vabbè, ci siamo intesi... quindi piacevolezza di lettura (perché la scrittura fluisce), più piani di lettura (cioè il romanzo o il racconto racchiude in sé vari risvolti letterari), si spera tensione verso un assoluto (più o meno luminoso o oscuro – oppure il Nulla) e via così. Reputo che ci siamo intesi. Spedire a gianruggeromanzoni@libero.it in WORD + un vostro curriculum aggiornato (la proposta vale anche per chi è al suo primo lavoro narrativo). Considerato che l'ultima volta che ho lanciato, qui, un invito simile mi sono giunte circa 150 opere, vi comunico già da ora che se entro 3/4 mesi dalla spedizione non avrete avuto notizie del vostro scritto, significa che non ha superato il primo vaglio. Comunicherò il mio sì, cioè l'OK, solo a chi sarà stato accettato al fine di venire letto anche dai restanti membri della redazione (secondo vaglio), poi l'ultima parola all'editore (terzo vaglio)... perciò non domandate di continuo come procede la lettura, se ho letto, se non ho letto etc. perché non vi risponderò; qualora il tutto vada bene sarò ben felice, io, di comunicarvelo... cioè sarò io a contattarvi. NO RACCOLTE DI POESIE. ULTIMA DATA ULTILE PER SPEDIRMI IL LAVORO IL 31 MARZO PROSSIMO. Grazie.”



Dopo avere letto una cosa del genere, che fare? Scrivo? Non scrivo? Si possono eguagliare i mostri sacri della letteratura? La risposta è scontata! Ma siccome io non ho velleità da grande scrittore, nel mio piccolo, rompo ogni indugio e inizio a buttare giù quanto mi frulla da un po' nella testa. Sia ben chiaro: non è mia intenzione raccontare i cazzi miei e neanche pensare di scrivere un'opera che faccia gridare “al genio!”. Voglio semplicemente impegnare il tempo in maniera creativa e cercare di tirare dalle letterine dell'alfabeto qualcosa che alla fine abbia senso compiuto e che, oltre a dilettare me, faccia trascorrere qualche istante di sana empatia a qualcuno che fa della curiosità creativa il suo punto di partenza quotidiano. Grazie a Gian Ruggero Manzoni e ai suoi amici per l'opportunità offerta ai microcosmi erranti privi di voce . Ed ora iniziamo a giocare:

(titolo) LA CARTOMANTE.

Il palazzo ha una forma strana. Inconsueta. Da lontano sembra circolare. Solo da vicino ci si accorge che i muri perimetrali formano degli angoli laddove si uniscono.
Non saprei dire se il suo perimetro forma un pentagono, un decagono o qualcosa di più. Il portone è costituito da un'enorme vetrata all'interno di un porticato punteggiato da colonne circolari che sorreggono l'intera struttura. L'androne e le scale sono di marmo. Le porte scorrevoli dei due ascensori situati alle estremità del lungo corridoio sono ancora protette dalla pellicola trasparente. 58 appartamenti di nuova costruzione iniziano a vivere umori altrui.
Secondo piano interno 12. L'odore della pittura fresca è ancora nell'aria. La signora pulisce le ultime macchie sul pavimento facendosi spazio tra gli scatoloni.

Ancora qualche giorno e poi possiamo iniziare a svuotare i cartoni e sistemare la roba. Per oggi può bastare. Dice la signora mentre invita la ragazza a seguirla.

Fuori è ancora un cantiere. La strada sterrata a tratti è ricoperta da ciottoli e pietrisco. Sorridenti, le due donne, per evitare pozzanghere e ciottoli dannosi per le scarpe, saltellano sulle punte fino alla macchina.

C'è la luce del cantiere, aveva detto il costruttore, se volete potete iniziare a trasferirvi, do disposizione al geometra di allacciare provvisoriamente il vostro appartamento. E così fu. Per la signora era comodo trasferirsi prima possibile visto che lei lavorava a pochi metri da lì. D'altronde l'aveva presa apposta quella nuova residenza. Lei, era già proprietaria di una casa autonoma in periferia, mi disse, ma col tempo capì che c'era anche un altro motivo.


giovedì 9 febbraio 2012

Alfonso Luigi Marra, scrittore atipico

Nella sua unicità, l'uomo, è foriero di verità assolute. Verità che cerca di divulgare nei modi più consoni alla sua cultura.
In questi giorni ho avuto modo di leggere “Il labirinto femminile” e “La storia di Giovanni e Margherita”; libri scritti da Alfonso Luigi Marra, avvocato di origini calabresi (San Giovanni in Fiore, Cs) residente a Napoli dove esercita l'attività forense.
Di lui si ricorda lo spot con Ruby nel periodo in cui la ragazza fu ai primi posti della ribalta scandalistica collegata all'allora premier Silvio Berlusconi. Ma A.L.M. non è uno che ama il gossip; ha sfruttato il momento mediatico per rendere incisiva l'uscita di un suo libro (i creativi che si occupano di pubblicità sfruttano appieno il filone scandalistico).
Gli scritti di Alfonso Luigi Marra trattano analisi di un vissuto sociale intimo, personalissimo, nel quale l'avvocato scrittore trasfonde pensieri poetici, problematiche quotidiane correlate al mondo dell'alta finanza. Non sono libri di narrativa e neanche di saggistica e tanto meno documenti storici. È la visione di una realtà, tutto sommato fittizia, improntata, per quanto concerne la sfera privata, su convinzioni che, l'autore stesso, chiarisce con estrema lucidità. Quindi, rapporti con l'altro, la compagna, moglie, il diverso da lui, i collaboratori e la società. Società guidata dal potere economico dell'alta finanza; quindi operazioni assurde che affamano la maggioranza dei popoli per arricchire una ristretta lobby.
Il lettore potrà condividere oppure no le analisi sugli argomenti trattati; ma a prescindere dalle considerazioni personali, senz'altro maturerà qualche interrogativo in più sul ruolo di ognuno e sulle istituzioni che condizionano la società.

venerdì 11 novembre 2011

Empatia

È un pungiglione
che penetra il bossolo della solitudine,
il tuo sorriso!
La tua parola è musica lieve
che bussa dolcemente,
si fa spazio,
libera mente e corpo.
Con Te
nuovi Universi.
Nuove terre da coltivare.

Con Te
Nuovi pascoli d'amore
lo spazio del mondo
ormai purificato.
Con Te!
nell'era dell'Acquario.

martedì 16 novembre 2010

l'albergo delle fate, di A. Oliveti

aore12
Nel mese d’aprile di quest’anno Angiolina Oliveti pubblica per i tipi di Helicon la sua ultima creazione letteraria. È una narrazione ambientata in Calabria, tra la Sila piccola, Catanzaro e la Locride. Tratta, con un linguaggio scorrevole, una vicenda di malaffare che vede implicate persone della ‘ndrangheta, intente in loschi traffici e incolpevoli testimoni oculari, vittime di spietati codici malavitosi. Teatro principale dell’opera è “l’albergo delle fate”, una struttura reale situata tra la suggestiva vegetazione silana catanzarese, nel comune di Taverna, paese che diede i natali al Cavalier Mattia Preti e, ancor prima, al fratello Gregorio, entrambi pittori del barocco secentesco italiano operanti in Roma e Malta.

Angiolina percorre lieve la civiltà Calabrese. Ricorda la Magna Graecia, i reperti archeologici locresi, il centro storico di Catanzaro e li condisce con frasi note in vernacolo. Detti e motti catapultano il lettore nella quotidianità dei luoghi visitati.
Pagine scorrevoli che si leggono d’un fiato, tanto è avvincente il racconto da sembrare reale, come i nomi dei protagonisti e i luoghi geografici, come già detto, presi in prestito dalla realtà.

E che non tragga in inganno l'immagine della copertina! giacché non ci sono morti ammazzati con armi da fuoco. Anzi, d’acchito potrebbero sembrare morti accidentali…

mercoledì 30 giugno 2010

racconti di vita: miserie e nobiltà

Racconti di vita in Calabria 1.
©archivio M.Iannino

Miserie e nobiltà.

Può capitare a chiunque di prestare volentieri il proprio bagaglio culturale, mettere a disposizione la propria conoscenza e impegnare corpo e anima in collaborazioni con terze persone. Magari suffragate da una persona che si conosce da tempo e della quale si ha piena fiducia. Una persona impegnata nel campo degli affari e della politica. Insomma una persona solare, perlomeno questo è il lato esteriore che ha saputo contrabbandare per accaparrare consensi e fiducia tra la gente ma che davanti agli affari, ai soldi sonanti, mostra il vero volto. Va bèh, può capitare! Dirà qualcuno. Può capitare a chiunque di sbagliare giudizio davanti a una serie di sorrisi elargiti nei banchetti organizzati. Può capitare, quindi, e non c’è bisogno di farne un dramma, di iniziare un’avventura imprenditoriale, o una qualsiasi attività culturale o ludica con una persona ambigua che presenta il conto alla fine.
Dopo che si è sgobbato una stagione intera, la persona viscida in questione, sempre col sorriso, seduta al tavolo ingombro di foglietti volanti, ti dimostra di avere perso più soldi di quanti non ne abbia messo tu, al di là del tempo perso per organizzare gli eventi, e dichiara che non c’è nessun dividendo da fare perché la cassa è in rosso.
Può capitare… può capitare che te ne debba andare con le pive nel sacco nonostante i conteggi in attivo, che tu sai per certo e che documenti secondo la tua logica, empirica ma reale, in base agli eventi, le spese fatte e le entrate, ma che lei, quest’essere ignobile del quale ti sei fidato, continua a non voler sentire ragioni, e insiste nel dire che non è vero e che la cassa, che naturalmente hai lasciato a lei senza mai pensare di dare un’occhiata, controllare velocemente, perché sicuro della sua onestà, è vuota, bèh… è capitato! che fare? Nulla! Ti stringi nelle spalle e ammicchi. Ti serva da lezione, mio giovane amico. La prossima volta sì più accorto, e non lasciare a nessuno la possibilità di spegnere la fiammella della passione che alimenta il tuo lavoro!

(segue)


martedì 29 giugno 2010

l'isola, di Gianfranco Pagliarulo

L’isola, di Gianfranco Pagliarulo, stampato nel 2009 per i tipi di ibiskos editrice risolo, è un racconto metafisico dai risvolti umani. In bilico tra sogno e realtà, il lettore rivive stralci di letture conosciute, da “il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry; alle “avventure di Alice nel paese delle meraviglie”, del matematico e scrittore inglese reverendo Charles Lutwidge Dodgson, più noto con lo pseudonimo di Lewis Carroll.

Le favole di Exupéry e Dodgson sembrano contaminare le pagine di Giancarlo, preparano l’humus creativo di una fiaba contemporanea dal sapore esoterico. E Gianfranco prende in prestito, riveduti e corretti secondo una poetica personalissima, i fantasiosi colpi di scena già conosciuti nel “piccolo principe” e nel “mondo di Alice”, non a caso la sua eroina letteraria si chiama appunto Alice ed è proiettata, anzi catapultata attraverso un “buco” in un non luogo, attratta da bagliori strani e personaggi sui generis. È una fiaba moderna, dai risvolti, se vogliamo prevedibili ma non ovvi. Il colpo di scena segue e stimola la lettura in una trama per niente scontata.

Gianfranco Pagliarulo nasce a Bari il 16 settembre del ’49; conseguita la maturità, si iscrive a Lettere e Filosofia, ma siamo nel '68; Gianfranco vive e respira l’aria del movimento studentesco sessantottino al quale partecipa con passione.
Giornalista pubblicista è senatore della Repubblica nella XVI legislatura (2001/2006) nel gruppo misto. È stato membro dell’11a commissione permanente del lavoro e previdenza sociale; e della commissione speciale per l’esame di disegni di legge di conversioni di decreti legge; membro della commissione d’inchiesta uranio impoverito; nonché membro della commissione parlamentare d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle “morti bianche” e membro della commissione parlamentare per l’infanzia.

(mario iannino)

giovedì 24 giugno 2010

Shakespeare: da Bagnara in Inghilterra


storie di vita in Calabria:
le origini calabresi di Shakespeare
realtà o leggenda?

È un giorno come tanti; il sole sta scomparendo dietro i monti e l’uomo, seduto accanto alla barca tesse la rete. È un signore non più giovane ma neanche troppo anziano. Rammenda la sua rete aiutandosi con i piedi.
Buona serata avete pesce da vendere? Chiede un tizio. Il pescatore, senza scomporsi, dopo qualche manciata di secondi continuando nel suo daffare senza alzare lo sguardo e smettere di menar le mani:
poca roba! Guarda là nella barca vedi se nella cassetta c’è qualcosa …
il tizio sceglie alcuni esemplari per una zuppa e: questi! Quanto vengono?
Mah! Fai tu…
Sulla spiaggia di Bagnara un altro giorno va in archivio insieme alle storie degli uomini a prescindere del loro vissuto.
Il tizio porge qualche banconota al pescatore che gli fa cenno di poggiarla sulla barca affianco alla cassetta.
Totò ma lo sai che oltre alla Bertè anche Shakespear era un nostro compaesano?
Ma che dite professò!
Sì è proprio così: William Shakespeare, il grande drammaturgo era originario di Bagnara Calabra! Il suo vero nome era Michelangelo Florio Crollalanza, era figlio di Giovanni Florio (amico di Giordano Bruno, professore di lingue ad Oxford e precettore del principe Enrico) e Guglielma Crollalanza, due coniugi perseguitati dall’Inquisizione e riparati in Inghilterra. Shakespeare avrebbe tratto dalla madre lo pseudonimo con il quale è passato alla storia: William da Guglielma, quindi Shake (scrolla) e Speare (lancia).
Allora è vero! Esclama il tizio. Certo che è vero! Afferma il pescatore. No mi riferivo al fatto che scekkespir era ricchione! S’è preso il nome della madre ah ah… Totò – con tono perentorio, il saggio pescatore gli smorza la risata- è sempre valido il vecchio adagio: a lavarci la testa all’asino ci perdi tempo e sapone! Che c’entra se era o no omosessuale! Sta di fatto che è stato il più grande drammaturgo della storia, anzi ti aggiungo io che forse se non fosse stato per la sua estrema sensibilità, probabilmente dovuta al suo modo di essere, non avrebbe creato i capolavori che ci ha lasciato! Ricordati, Totò, che il valore dell’uomo non si misura in base alla preferenza sentimentale verso il proprio o l’altrui sesso… Ah professò! Già non vi sopportavo quando insegnavate … dù palle!...

bah! sospira il prof. è proprio inutile, che insisto a fare... una testa quadra non può morire tonda!

(segue: colture mediterranee)

©archivio M.Iannino

courtesy eredi Mamone: tramonto, olio su tela; Aniceto Mamone.

martedì 22 giugno 2010

racconti di Calabria: l'albero da frutta

Racconti di calabria.

Detti calabresi.

“L’arveru chi non frutta tagghialu e sutta!” ripete Pepè il giardiniere chiamato a potare gli alberi del giardino. che tradotto vuol dire: l'albero che non dà frutti taglialo perché inutile.

Pepè è un buon uomo, all’antica, con idee poco comuni che non collimano con i moderni concetti dell’ingegneria naturalistica e l’architettura del verde; lui, non avendo il coraggio di dire apertamente il suo pensiero in merito all’opportunità o meno di mettere a dimora certi tipi di alberi, ogni volta che passava nei pressi della magnolia, la osservava di sottecchi e mormorava: l’arveru chi non frutta tagghialu e sutta… dicia a bonanima e patrumma.
All’ennesima cantilena, gli chiesi:
Scusate, Pepè, perche secondo voi dovrei tagliare questo bel esemplare di magnolia?
No no pe’mmia vu potiti tenira ma l’anticu dicia accussì ca quando l’arvuru non frutta tagghialu e sutta! E patrimma mu dicia sempa: figghiarè ccu l’olivu ti fai l’ogghiu e u salatura, cu i ficu mangi quando su virdi e ti sicchi pe’ l’invernu e ti fai i crucetti ccu i nuci…
Sì ho capito che secondo vostro padre, persona saggia come tutti i contadini di una volta, l’albero da frutto è più utile ma anche quello che fa ombra e ottimi fiori profumati ha un suo perché! Un suo motivo d’esistere altrimenti, se così non fosse, anche per gli uomini varrebbe lo stesso concetto! O no? Che ne pensate?
Sì sì dottò, vui aviti puru ragiuna ma eu ‘nto terrenu meu chiantai sulu arvuri e frutta e patrimma i chiantau prima e mia e u nunnu meu prima e patrimma.
D’accordo Pepè ma quelli erano altri tempi, ora la frutta la trovi con facilità e non serve per sfamare la famiglia come quando c’era la carestia. Allora aveva un senso asserire che l’albero che non fruttifica è inutile, non serve e perciò deve essere tagliato alla base del tronco, deve essere eliminato dal terreno per fare spazio a colture commestibili. … dottò vui… u giardinu è u vostru e ammu vi piacia a vvui pemmia si fussera u meu u caccera! Mbèh quanta lordia vi fa quantu fogli cadunu…
Sì è vero, sporca come tutti gli alberi ma guardate che bei fiori!
Nel linguaggio dei fiori, la magnolia simboleggia dignità e perseveranza… Dottò, pemmia vu dissi: l’arvuru cchi non frutta tagghialu e sutta! Ca armenu ti caddiji d’invernu a lu focu!

(segue: tra spirito e materia)

lunedì 21 giugno 2010

racconti di vita in Calabria: 16; proclama elettorale

Racconti di Calabria.

Proclama elettorale nell'entroterra italico del 1950.

Sentite sentite tutti cosa ha detto don Ciccio! Don Ciccio va dicendo in giro che i morti non devono leggere e che quindi secondo lui non c’è bisogno d’illuminare il cimitero! Chi vuole luce davanti alle tombe dei defunti accende candele e lumini, lanterne e torce. Avete capito che uomo senza Dio ch’è don Ciccio, l’uomo che abbiamo eletto a sindaco! Vi pare giusto? Vi pare giusto che un padre o una madre dopo avere sofferto una vita devono continuare a soffrire anche là nell’estrema dimora?
E quanto può costare un lumino elettrico? Paesani! Quello dell’impresa mi ha detto che costa appena 10 lire al mese se lo facciamo tutti… e noi non spendiamo 10 lire al mese per i nostri cari?

Però duva và don Ciccio! Iddhu cu mmia si misa! Nciù hazzu vidira ia cuomu nci si comporta cu i gienti… la gente perbene rispetta il cane per il padrone figuriamoci le anime sante dei nostri cari morti! Si mi votati ammia vi giuru ca a prima cosa chi fazzu è propriu chista: a lucia a ri muorti!

Dal palco, un misero banchetto addobbato col tricolore verde bianco e rosso, un omino mingherlino tutto ossa e nervi lancia la sua arringa nei confronti di una posizione “politica” indegna per la piccola comunità montana. Una comunità composta da poco più di mille anime, quel tanto che basta per far assurgere il piccolo borgo a municipio. Un municipio arroccato tra i monti delle preserre calabresi che ha in organico un vigile urbano, un banditore e un elettricista. Il postale, un rumoroso quanto pestilenziale autobus, passa due volte al giorno tre volte la settimana e fa la spola tra Catanzaro, il capoluogo, e Serra San Bruno; lungo il tragitto, dalla durata di un paio d’ore, la corriera effettua fermate obbligate nei paesi di Borgia, Squillace, Vallefiorita, Palermiti, Centrache, San Vito, Chiaravalle, Torre di Ruggiero e il conducente scarica il sacco della posta e i pochi pacchi che gli emigranti mandano dalla Germania, dall’Argentina o dall’America. Il bigliettaio, dopo avere tolto l’ultimo pacco dal bagagliaio s’affaccia al finestrino, scruta se c’è qualche viaggiatore ritardatario, dà un’occhiata all’orologio, lo ripone nel taschino del gilet e fa cenno al collega autista che tutto è a posto: jamu ja partimu Peppì ca a strata è longa. La corriera riparte, tra rumori di lamiera scrollata e un fumo denso di nafta mal combusta, si fa spazio tra la gente in ascolto, il comiziante scende dal banchetto e si fa da parte per farla passare.

(segue: detti calabresi)

l'orto di Ignazio, piccole storie di uomini e vegetali

L’orto di Ignazio raccoglie piccole storie di umane debolezze, racconti e leggende di Calabria condensati dall’estro di Angelina Oliveti in piacevoli quanto snelle e veloci letture. Nella prima parte la raccolta narra, sottoforma di metafora, di un orto, quello di Ignazio, appunto, che dà il titolo al libro, dove si coltivano passioni e difetti umani. Qui, la sapiente arte del narrare, maschera in ortaggi e vegetali gli uomini e i loro difetti. La scrittrice, con maestria coglie e denuncia i segni di uomini veri e “ominicchi” associandoli alle caratteristiche descrittive di cavoli, peperoni, cocuzze e broccoli, carciofi, melanzane, prezzemolo e basilico. Narra della rivolta del basilico contro il suo padrone e custode Ignazio e del rammarico di non aver saputo trattenersi dal rimanere vicecapo. Insomma è un libricino che espone sarcasticamente pregi e difetti umani e poi, ci sono le leggende e le storie autobiografiche dell’autrice vissuta tra Firenze e Roccabernarda nel marchesato crotonese. Senza ombra di dubbio, “l’orto di Ignazio” edito da mapograf, è un libro da leggere.

È strabiliante constatare quante associazioni e flash back suggeriscono le storielle raccolte in 150 pagine da Angiolina Oliveti, agronomo, esperta nella divulgazione agricola e dirigente della regione calabria in pensione. Il nostro vissuto assume connotazioni umoristiche, forse condite con un po' d'amarezza per quanti peperoni, cocuzze, broccoli e prezzemoli abbiamo incrociato nel nostro cammino.

(mario iannino)

venerdì 18 giugno 2010

Racconti di Calabria; le astuzie del barone

Racconti di vita in Calabria.

Le astuzie del barone:

Un tempo i grandi latifondisti, per lo più nobili, curavano dappresso i lavori nei campi e intervenivano con decisione per incrementare la produttività e far lavorare alacremente le maestranze malpagate con ogni mezzo. Vessazioni, improperi, erano all’ordine del giorno ma dopo le prime rivendicazioni sindacali, i morti e l’occupazione dei terreni incolti o abbandonati, i proprietari terrieri decisero di adottare sistemi di controllo poco invadenti per evitare che braccianti e contadini incrociassero le braccia e mandassero a monte colture e raccolti.
Uno di questi, un certo barone Stuckaz, che vantava origini austroungariche, dall’alto del suo cavallo fa cenno al massaro che pronto gli corre appresso. Giunti su un dosso, il barone, scende da cavallo, si guarda attorno con fare circospetto, e rivolgendosi al suo massaro farfuglia: “tu sei il migliore, però devi fare in modo col tuo esempio di far lavorare di più tutti. Vedi io ti stimo e come segno della mia fiducia ti ho portato un uovo, questo è un uovo fresco fresco che mi sono tolto dalla bocca per darlo a te, in segno di stima, quindi mi raccomando fai del tuo meglio e acqua in bocca! Questo deve essere un segreto tra me e te, mi raccomando!”.
Il massaro, contento per l’attestato di stima e la concretezza dimostrata dal barone corse al suo posto di lavoro e ci mise l’anima per non deluderlo.
I giorni seguenti il barone, nel consueto giro a cavallo, nelle sue terre ripete con contadini, pastori, massari, raccoglitrici la pantomima della fiducia e dell’uovo. Completato il giro e avendo coinvolto pressocchè tutti, sicuro della complicità dei beneficiati rimase qualche giorno in panciolle ma quando riprese i consueti giri di perlustrazione si accorse che nell’ultimo periodo c’era stata un po’ di rilassatezza. Allora, il barone Stuckaz, dall’alto del suo cavallo lanciò un urlo: “Attia e l’ovu, attia si dicu attia…”. Ehi tu tu dell’uovo… a questa esortazione tutti indistintamente diedero mano agli arnesi con laboriosità inusitata.

(segue: proclama elettorale)

mercoledì 16 giugno 2010

racconti di Calabria: la provvidenza

Racconti di vita in Calabria.

La provvidenza.

Se Dio vuole quest’anno ci sarà un buon raccolto! Esclama il contadino segnandosi la fronte e gesticolando sul terreno appena trattato con stallatico e innaffiato abbondantemente.
Vedi, figlio mio, questo è il nostro lavoro: dobbiamo coltivare la terra, farla fruttificare per noi, la nostra famiglia e il prossimo. Dobbiamo rispettare la natura; dare le giuste vitamine al terreno, evitare i pesticidi… ma tu non mi stai ascoltando?! Togliti quelle dannate cuffie e ascolta cose serie se vuoi avere di che sfamarti! Ma papàà?? Che c’è?...

È ancora mattino e Pietro insieme al figlio Vito è già in campagna. Fa le stesse cose che faceva suo padre e suo padre prima di lui: mantiene il ritmo della campagna e non viceversa, sa bene che ad alcune colture l’acqua deve essere data al mattino presto mentre ad altre all’imbrunire. Capisce quando alla pianta serve un aiuto, quando preparare il terreno per le patate, le cipolle, il grano, i pomodori, le zucchine, la bietola e come invertire le semine sugli appezzamenti.

Il figlio Vito è ancora piccolo, lo segue perché non ha altro da fare una volta finita la scuola ma se dipendesse da lui, certamente, preferirebbe trascorrere il tempo come i suoi cugini di città, stare ore intere davanti al computer, ascoltare musica e uscire con gli amici.

Lo so figlio mio che questa che ti offro non è una vita facile, anzi è una vita fatta di sacrifici, sudore e sofferenze ma se saprai rispettare la terra lei non ti tradirà mai. Non guardare le scemenze dei caroselli pubblicitari, le stronzate dei grandi fratelli e delle isole dei famosi. Questi sono attimi, polvere che si volatilizza e se non hai un mestiere rimani con un pugno di mosche. Ormai siamo giunti alla resa dei conti: i lestofanti si sono arricchiti, hanno portato all’estero i capitali e noi se vogliamo campare dignitosamente dobbiamo lavorare con onestà oppure emigrare ma l’estero non è una passeggiata! Chi ha assaggiato l’aria straniera ha assaggiato molti bocconi amari.
I miracoli, figlio mio, sono rari, anzi rarissimi. Meglio fare affidamento sulle proprie forze che sperare in cambiamenti fortunati. E poi, dove potremmo andare tu o io? Non conosciamo nessuna lingua straniera, non sappiamo niente dei nuovi mestieri… Papà hai sentito cosa diceva ieri la televisione? Diceva che a Paravati dopo la morte di Natuzza molti si sono industriati, fanno quadretti con l’immagine di Natuzza e altre cose e li vendono. Fanno come da Padre Pio; ti ricordi quando siamo andati con mamma e nonna tutte quelle bancarelle che vendevano rosari, statue?
Sì me li ricordo! Vedi, questa può essere considerata una provvidenza divina per una terra martoriata come la nostra. Forse è la volta buona che sentiremo parlare della Calabria come di una terra che ha visto una Santa! E non fa niente se la gente s’ingegna e guadagna qualcosa sfruttando la sua immagine. Sono sicuro che a lei a Natuzza fa piacere perché comunque è un aiuto che dà alle persone oneste che vogliono campare senza rubare ma che s’ingegnano e producono ricordini per i pellegrini. Meglio questo che andare a rubare, spacciare droga o delinquere. Aiutati che Dio t'aiuta! figlio mio...

La provvidenza è un fiore delicatissimo; ha bisogno di cure là dove nasce e non  essere reciso per adornare vetrine perché se staccato dalla pianta muore.

(segue: la teoria dei bisogni)

sbirciando qua e là

sbirciando qua e là
notizie e curiosità
non vendiamo pubblicità. Divulghiamo BELLEZZA ...appunti di viaggio...at 12 o'clock post in progress
AMBIENTE CULTURA TERRITORIO EVENTI e elogio della BELLEZZA ...appunti di viaggio... at 12 o'clock post in progress
non vendiamo pubblicità. Divulghiamo BELLEZZA ...appunti di viaggio...at 12 o'clock post in progress
non vendiamo pubblicità. Divulghiamo BELLEZZA ...appunti di viaggio...at 12 o'clock post in progress

Post suggerito

Le seduzioni dell'arte

Mario Iannino, 2007, a scuola di seduzione C'è un universo abitato da più categorie di persone che lascia spazi a gestualità inusu...

a ore 12 ... ...at 12 o'clock ... post in progress, analisi e opinioni a confronto
a ore 12 ... ...at 12 o'clock ... post in progress ... analisi e opinioni a confronto
a ore 12 ... ...at 12 o'clock ... post in progress, analisi e opinioni a confronto

Sulle tracce di Cassiodoro

Sulle tracce di Cassiodoro
Flussi e riflussi storici

SPAZIO ALLA CREATIVITA'

SPAZIO ALLA CREATIVITA'
La creatività è femmina

un pizzico di ... Sapore

Un pizzico di ---- cultura --- folklore --- storia --- a spasso tra i paesi della Calabria e non solo. ---Incontri a ore 12 Notizie & ...Eventi ...at 12 o'clock... Opinioni ... works in progress, analisi e opinioni a confronto
Itinerari gastronomici e cucina mediterranea

Cucina Calabrese

Cucina Calabrese
... di necessità virtù
a ore 12 ... ...at 12 o'clock ... post in progress, analisi e opinioni a confronto

post in progress

a ore 12 ...accade davanti ai nostri occhi e ne parliamo...at 12 o'clock post in progress
e-mail: arteesocieta@gmail.com
...OPINIONI A CONFRONTO ...

...OPINIONI A CONFRONTO ...

POST IN PROGRESS

Dai monti al mare in 15' tra natura e archeologia

A spasso tra i luoghi più belli e suggestivi della Calabria

Da un capo all'altro

Da un capo all'altro
Tra storia, miti e leggende

UN PONTE

UN PONTE
SULLA IR/REALTA'

Per raggiungere le tue mete consulta la mappa

ALLA SCOPERTA DELLA CALABRIA

ALLA SCOPERTA DELLA CALABRIA
PERCORSI SUGGERITI

Translate