lunedì 1 ottobre 2012

Carmine Abate e la rivincita dei nuovi migranti

Se Carmine Abate non avesse vinto il Campiello, oggi, sarebbe gradito ospite del presidente della giunta regionale calabrese?

Risposta scontata: NO!

Questo è il modello adottato dai dirigenti politici che amano navigare nei mari calmi dell’orgoglio campanilistico facile e perciò puntano sui cavalli affermati che si sono fatte le ossa e guadagnata la fama fuori dalla terra d’origine.

Vincitori di niente se fossero rimasti in loco non per demeriti ma per l’assenza di una classe dirigente lungimirante al servizio dei cittadini e della cultura.

In Calabria l’ostracismo nasce con la vita stessa e si mitiga solo affiliandosi a qualcuno o qualcosa. Qui non conta la sensibilità, l’onestà intellettuale, la cultura del bene comune.
Forse per la durezza della vita stessa che porta a lottare fin dai primi giorni di vita sociale. L’arma più usata è la delazione, a seguire, la supponente derisione nei confronti dei rivali. Insomma una guerra continua per la sopravvivenza.

Per questi motivi, a volte, andare via è sinonimo di opportunità.
Lo è stato per il maestro Mimmo Rotella e molti altri contemporanei costretti a portare la loro persona altrove per vari motivi, esplicitati poeticamente ne “Il canto dei nuovi emigranti” di Franco Costabile, anche lui calabrese di Sambiase trapiantato a Roma.


Carmine Abate inizia a scrivere all’età di 16 anni per esorcizzare il demone degli emigranti che lo perseguita, lo isola, taglia i ponti con le radici di chi è stato costretto a partire.
Radici che sopravvivono nella mente di quanti riescono a non lasciarsi estirpare la cultura dei padri, una cultura fatta di un cumulo di saperi empirici validi sempre e che fa sentire stranieri persino nella terra d’origine.

Durante l’incontro a palazzo Campanella, Carmine Abate racconta la sua storia.

Dove poteva iniziare se non in un piccolo paese dell’entroterra? Carfizzi rappresenta le povertà impellenti che inducono a partire in cerca di fortuna, se si vuole vivere!

Carmine Abate ha capito che l'emigrazione è negli occhi degli altri. 
Per i tedeschi -dice- ero uno straniero per gli stranieri che vivevano in Germania ero un italiano, per gli italiani che vivono in Germania ero un meridionale o terrone, per i terroni o meridionali ero un semplice calabrese, per i calabresi ero un arbereshe e quando tornavo nel mio paese a Carfizzi ero “u germanese”. 
Oggi sono un trentino. Mi sono chiesto allora chi sono io e la risposta è io sono Carmine Abate. 

Una persona che è la sintesi di tutte le definizioni di prima, straniera, italiana, meridionale, calabrese, arberesh ma non sradicata. Ho capito quel giorno che dovevo trasformare l'emigrazione in ricchezza. Io sono una persona non sradicata, ma che semmai ha più radici.

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