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sabato 6 agosto 2016

Squillace, incontro tra gotico e contemporaneo


È stata una vera scoperta! La chiesetta gotica dai portali in tufo e dai muri in pietra viva saldata a secco secondo gli antichi canoni edilizi. Squillace si nutre di storia!  L'antico Castello dei Borgia, il convento, la cattedrale, il centro studi su Cassiodoro ristrutturati o in fase di ristrutturazione, fondi permettendo, in sintonia storica e protetti per mantenere il giusto decoro li conoscevo ma la chiesa di Santa Maria della pietà, no. È grazie a Mario Naccarato, amico artista catanzarese, se mi incammino alla volta di Squillace e scopro questa autentica perla gotica.
La strada è tortuosa ma agevole. Raggiungo il centro storico in pochi minuti.
Bella piazzetta antistante lo striscione indica la mostra d'arte contemporanea dal significativo titolo: Integrazioni.
Sono completamente rapito dal tema trattato e dalla location in cui le opere sono state allocate:
l'integrazione poetica è avvenuta. Al di là delle aspettative.
Integrazioni stilistiche, poetiche, storiche, religiose e culturali si assommano. Interagiscono sui muri butterati dal tempo e dalla incuria, sanati dalla creatività di Mario Naccarato.
Da non perdere!
In cultura, calabria, arte, società, artisti in calabria
(Mario Iannino)

mercoledì 1 agosto 2012

agosto rock con la band Vascorshow

Agenda piena, quella dei Vasco Rock Show Tribute band.

La professionalità dei sei musicisti inizia ad essere gratificata e apprezzata anche da chi non fa parte della grande cerchia di amici. Sono in tanti a informarsi. Il telefono di Massimiliano, la voce del gruppo, ma anche quello di Raffaele, il batterista, Gianluca, “il maestro”, Christian, non smettono un attimo e quando sembra che diano respiro riecco la sinfonia delle appendici vocali sollecitare le attenzioni dei nostri amici.

Stare con loro è un piacere interrotto, quasi un coito interrotto (direbbe il Vasco nazionale) dai numerosi estimatori che chiedono notizie sulle modalità e sui tempi liberi, il services, la scaletta, le date e, perché no!, anche del meritatissimo compenso.
Appuntamenti e date, aggiornate di continuo, disegnano itinerari e tappe interessanti vuoi per le bellezze dei posti nonché per l'ospitalità dei calabresi che li vivono.

Alcune date di agosto:il 3 si esibiranno in Catanzaro lido; il 4 Montegiordano marina, cs; il 7 li vedremo a Gerace, rc; il 9 (ma questa è una notizia che ho rubato ascoltando una delle tante conversazioni telefoniche che sta per essere pianificata a momenti dai componenti del gruppo) li potremo seguire a Palermiti, cz; mentre il 13, sono nuovamente a Catanzaro lido nel Tonnina's village per la festa della birra; il 16 si esibiranno nell'anfiteatro comunale di Gasperina e il 31 agosto a Cosenza, lungo fiume in festival. Ma, come scrivono loro stessi sulla pagina web: LE DATE SONO IN CONTINUO AGGIORNAMENTO! Quindi, chi è interessato al tour della band può mantenersi aggiornato visitando la pagina di facebook dei vascorockshowtributeband.

venerdì 28 maggio 2010

Calabria, 8, territorio e cittadini: Mimmo Rotella


Racconti di vita in Calabria: 1. Territorio e cittadini

C’è da dire che i calabresi sono un po’ restii alle novità; specie se le innovazioni riguardano linguaggi e usi consolidati nel tempo.

La diffidenza contamina tutti i ceti sociali. Alcuni cavalcano l’onda per tutelare interessi personali, insinuano ulteriori dubbi per attrarre a sé i tradizionalisti e, sovente, fanno uso della delazione.

È sintomatica la vicenda artistica del nostro illustre conterraneo Mimmo Rotella. Nonostante i riconoscimenti nazionali e internazionali tributategli dagli addetti ai lavori e quelli postumi che le istituzioni comunali hanno testimoniato nei suoi confronti, pochi calabresi conoscono a fondo l’importanza del suo lavoro artistico. La rivoluzione lessicale che, insieme agli altri artisti che ruotavano attorno al teorico Pierre Restany, apportò all’arte visiva.
È ovvio che per accettare e comprendere l’atteggiamento mentale di chi osserva, assimila e trasforma un volgare linguaggio pubblicitario in espressione alta, vi debba essere dall’altra parte una forma di pensiero sensibile evoluto, non dal punto di vista accademico ma, interiore, aperto al nuovo e alle possibilità che l’ingegno umano può trasferire con le azioni al già noto consolidato.

(segue)

sabato 27 marzo 2010

graffiti e lacerazioni: omaggio a Mimmo Rotella

©archivio M.Iannino


Oggi, come non mai, i linguaggi sono veloci quanto il pensiero. Programmare un evento significa correre col tempo, gareggiare con la tecnologia e il mercato globale concepito dai recenti saperi. La pittura, le immagini cinematografiche o televisive sono linguaggi obsoleti se paragonati alla duttilità della rete internet

Infatti, superata la fase progettuale, l’idea divenuta realtà, è immessa nei canali mercantili a completo uso e consumo dell’utenza. In ciò, la pubblicità gioca un ruolo importante, primario nella divulgazione di un prodotto qualsiasi, libro, opera d’arte, scoperta scientifica o un oggetto di uso comune; infatti è d’obbligo impostare una campagna pubblicitaria ad hoc che catturi e invogli la collettività al consumo.

Nel passato si adoperava appieno il disegno e la scrittura per evidenziare le qualità peculiari del bene in questione, attualmente, assistiamo ad una proliferazione effervescente di creatività, mezzi mediatici e ingegno umano, esaltano appieno vantaggi e privilegi spesso disattesi nella praticità quotidiana.

            Anche chi non naviga in internet, vede la tv, ascolta la radio, quotidianamente, è bombardato da un’infinità di messaggi, scritti o associati ad immagini statiche o in movimento.

L’innumerevole pubblicità destinata al grande pubblico, a parte quella televisiva, ha come veicolo preferenziale il muro.

Il muro, tappezzato da affiches canoniche o decorato con le bombolette spray, trasmette un messaggio immediato. Talvolta, si tratta di messaggi commerciali, altre volte politici oppure manifestano, più umanamente, gli impulsi emotivi dei giovani.      
            Negli anni 70, la forma prediletta dei giovani contestatori consisteva nel grafiare, magari con qualche accenno cromatico, un dato politico alla maniera dei murales latinoamericani, oppure ai dazebao (giornale o manifesto a grandi caratteri in uso durante la rivoluzione cinese di Mao).

Le metodiche appena accennate consentirono la trasmissione di pensieri, metafore, assonanze, proteste ma anche oscenità, amore, esibizionismo altrimenti impossibile ai giovani contestatari.
Il muro, diventa, per questi ragazzi, un medium aperto per dissentire o semplicemente imbrattare. Insomma, una superficie “democratica” su cui intervenire al riparo, però, da occhi indiscreti, mantenendo l’anonimato poiché, deturpare o invadere le coscienze altrui con linguaggi a volte violenti è vietato dalle leggi vigenti.
Per cui, la firma, sostituita in un secondo momento dallo pseudonimo, diventa un fattore determinante nell’esternazione di “esistenza e proprietà”, appartenenza al territorio e al gruppo, in cui è proibito l’accesso agli estranei.
Il fenomeno dei graffiti, in atto tra i lustrascarpe americani indicava il proprio raggio d’azione, contrassegnava il territorio del singolo e intimava l’alt all’intruso.

Graffiare sul muro una sigla significava, per i lustrascarpe, preservare una fonte di sostentamento poiché nelle realtà degradate anche l’angolo di una strada era fonte di sostentamento.
Poco alla volta il gesto grafico evolve; il graffio solcato con la pietra, la traccia nera della matita o del pennello, cede il campo agli spray colorati. Le colorazioni esplodono nello spazio figurativo e con loro anche il segno grafico muta. La tag non rimane statica ma si trasforma; grida, scherza, propone e dissacra; le lettere alfabetiche perdono i connotati originali, si rinnovano e diventano immagine.
L’immagine scaturita dal disegno autonomo è una realtà intima, esistente nel proprio microcosmo in sintonia con la cultura e l’ambiente sociale di vita e trova i suoi fondamenti nel campo specifico del linguaggio figurativo.

A questo punto la sfida pacifista, canalizza i fattori negativi della violenza nella progettazione creativa di una figurazione linguistica a passo coi tempi, svincolata, però, dalle correnti di pensiero delle scuole d’arte istituzionali.
In sintesi, il graffito metropolitano si alimenta delle pulsazioni della città; veloce e asciutto, esprime una fusione caratteriale del modello autoctono. Di conseguenza, gli influssi esterni alla poetica derivanti dalla mercificazione del prodotto o da contaminazioni di modelli effimeri, se non mediati dal vissuto storico affine, nel mortificare la riflessione sul costume, vanificano il potere espressivo del graffio che, ridotto ad equazioni tecniche consolidate dalla manualità, perde valore.

Altra poetica è l’intuizione zen, come amava definirla Mimmo Rotella, trasmessa dalla pubblicità.
Le stratificazioni cartacee, lacerate dalle intemperie o dall’uomo, trasmettono attimi di vissuto metropolitano. Rappresentano appieno lo scorrere del tempo; evidenzia le proposte della società consumistica e culturale corrente; una società consumistica per certi aspetti arrogante che si appropria del muro e schiavizza le menti dei passanti.
Come sfuggire a tanta violenza? Semplice: sublimando il linguaggio metropolitano attraverso l’intervento catartico dell’artista! (…)


(Mario Iannino)

Posted by Picasa

martedì 23 marzo 2010

il volo: nella filmografia di Wenders e negli atti solidali di Loiero e dei calabresi



Sì!, tra chi respinge in mare zattere cariche di bambini, donne, anziani e uomini disperati alla ricerca di un po’ di normalità, preferisco decisamente le braccia aperte di chi accoglie, memore dell’ambage dei padri costretti a lasciare le famiglie per cercare fortuna e accettare lavori umili pur di mandare pochi spiccioli a casa.

Chi ama veramente non getta in bocca ai pesci persone disperate. Persone costrette alla morte certa se costretti a tornare nei luoghi d’origine.
Ecco, questo ha fatto il cosiddetto partito dell’amore che governa oggi l’Italia. Un partito composto di gente crudele che veste panni d’agnello per imbrogliare gli elettori incerti. Promette e smentisce quanto proclamato nelle campagne pubblicitarie di bassa politica.
Il loro concetto di democrazia è limitatissimo: o sei con me e ti tutelo oppure sei nemico e ti annullo!
Per ultimo, inveiscono contro chi smentisce, giustamente visto la metratura della piazza, il milione di manifestanti enfatizzato dall’organizzatore della festa dell’amore; lo stesso incappato nelle attenzioni della giustizia inerenti alle indagini sui lavori di estrema urgenza gestiti da Bertolaso: Verdini.

Ma lasciamo da parte questi soggetti e concentriamo l’attenzione su qualcosa di serio: il messaggio dell’accoglienza che diventa dato di fatto reale in Calabria e breve film, appena mezz’ora di visione. Un film sull’integrazione che Wim Wenders gira in Calabria nei paesi ripopolati da rifugiati africani, curdi, afgani, palestinesi accolti a Badolato fin dai primi anni '90, un piccolo centro in provincia di Catanzaro, che anni addietro, provocatoriamente fu messo in vendita dagli amministratori comunali per mancanza di cittadini.

Badolato, Riace, Caulonia, la Calabria tutta è luogo adottivo per quanti arrivano dal mare per lenire le ansie e trovare pace; e nel film in 3D di Wenders si evidenzia un mondo naturale e umano tutto ciò, grazie anche alla maestria di Ben Gazzara, Luca Zingaretti, al bravissimo Giancarlo Giannini che ha prestato la voce a Ben Gazzara nel ruolo di primo cittadino; ai neofiti Salvatore Fiore e Ramadullah Ahmadzai, il bambino cittadino di Riace, nel film e nella realtà che durante le riprese ha detto a Wim Wenders:

“È molto bello quello che stai facendo. Ma io sono venuto qui per te. Adesso, se sei una persona seria, devi venire tu a Riace, al mio paese”. Queste parole, dette a Wenders sulla spiaggia di Scilla dal ragazzo afgano impegnato nel film, hanno toccato la coscienza del regista e l’hanno indotto a cambiare la sceneggiatura, trasformare una fiction di pochissimi minuti, 4 iniziali, in testimonianza artistica, destinata a levare il marchio di clandestinità e conferire loro una cittadinanza.

Ecco, tra le due correnti di pensiero preferisco, con assoluta convinzione l’accoglienza! Esternazione di amore solidale per i più deboli attuata concretamente dalla giunta regionale calabrese guidata da Agazio Loiero che, tra l'altro, ha coprodotto, insieme alla fondazione calabria film commission e Technos produzioni cinematografiche, con il contributo del comune di Badolato, il film di Wim Wenders, il volo; da un'idea di Eugenio Melloni.

domenica 21 marzo 2010

empatia e cultura, per comprendere i linguaggi dell'anima



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Ancora oggi molte persone rimangono inebetiti davanti a opere non figurative. Eppure sono trascorsi molti anni dalla presentazione dei primi manifesti di arte d’avanguardia ad iniziare dal movimento che ruppe col passato accademico: l’impressionismo, che aprì le frontiere dei linguaggi visivi artistici contemporanei.
Gl’impressionisti, così definiti da un critico ottuso che volle denigrare il movimento culturale nato nella seconda metà dell’ottocento, guardarono il mondo con occhi diversi e cercarono, riuscendovi con perizia, di cogliere l’attimo della visione secondo la naturale impressione cromatica trasmessa dall’esposizione dei soggetti alla luce.
Impressione del sole nascente, da cui prende il nome tutto il pensiero pittorico, è una tela di Monet dai contorni soffusi, l’alba è più mistica che reale, se rapportata ai canoni accademici in atto nella pittura Francese ed Europea del tempo. Insomma, gl’impressionisti stravolsero concetti consolidati che fino ad allora servirono anche ad educare le masse. Viene da sé che i quadri che non rappresentano un contesto conosciuto e lontani dalla cultura visiva corrente incontrano derisione ostile e superficiale elusione di quanti capitano per caso a visitare un vernissage.
La pigrizia intellettuale di quanti non si sono mai appassionati o interessati ai linguaggi visivi e, quindi, alle avanguardie artistiche, induce a scrollare le spalle e passare oltre, per soffermarsi laddove c’è il segno tangibile della figura conosciuta, quindi un bel tramonto, un bimbo con le lacrime sulle gote, una composizione floreale, un ritratto e esclamare: quanto è bello, che bravo, questa è arte!
Ecco, lo stordimento iniziale di chi è privo della chiave di lettura delle poetiche visive trasforma repentinamente l’ignorante in navigato conoscitore di linguaggi visivi; eppure, la storia dell’arte nel testimoniare le esperienze umane chiarisce intenti e moti, pensieri, analisi e azioni di artisti e studiosi; distinguendo tra maestria artigianale, tecnica e creazione.

l’indifferenza causata dalla mancata acquisizione degli strumenti educativi rende il lavoro artistico sperimentale o d’avanguardia poco fruibile, perché, inadeguato alle aspettative della massa non avvezza a rappresentazioni visive gestuali prive di soggetti formali immediatamente assimilabili.

La gente si sente rassicurata dalla visione di figure affini alla realtà e pur disconoscendo il linguaggio dell’arte crede di interagire, capire quanto l’artista volesse dire o trasmettere con gli strumenti della pittura o della scultura, musica, letteratura, teatro.
Capire un’opera è conoscenza. Conoscenza e contestualizzazione storica dell’artista. Quindi, piuttosto che chiedersi o chiedere la significazione è opportuno munirsi degli strumenti culturali adeguati che associati alla sensibilità individuale conducono il dialogo sui binari dell’empatia.




(mario iannino)

domenica 14 marzo 2010

coraggiosi azzardi architettonici negli anni 50/60 sulla costa jonica calabrese

"la cappelliera di Stalettì"
©archivio M.Iannino

Questo, ovviamente non è il suo nome ma la forma riporta alla mente le cappelliere da viaggio in voga fino negli anni 50/60 (stesso anno di costruzione della casa). pare che la costruzione abbia subito altalenanti vicende per quanto concerne aspetto architettonico e liceità ambientale.
La villetta sorge ai bordi della vecchia sede stradale 106 jonica nel comune di Stalettì, in provincia di Catanzaro. Sulla destra, oltre il promontorio c'è la bellissima spiaggia di Pietragrande, tra i comuni di Staletti e Montauro.





sabato 9 gennaio 2010

Angiolina Oliveti, le rose nel cestino



Tutti i giorni, alla stessa ora, giunge un mazzo di rose alla protagonista del racconto che, metodicamente, distrugge.

Angiolina Oliveti traccia un percorso semplice la cui narrazione cosparsa di realismo poetico, spolvera di patos comuni esperienze umane: malattia e passione trasformate in dramma esistenziale sviluppano una storia composta di semplici eventi.
Amori che segnano la vita. Amori dissolti; amori che potrebbero nascere… nella breve e accattivante narrazione, la suspense accompagna il lettore fino all’ultima riga e, quando sembra di aver individuato il colpevole, ecco il colpo di scena descritto in poche battute.
Le rose nel cestino è una piccola perla; un racconto piacevolmente enigmatico che tinge di giallo personaggi e società calabresi.

Mario Iannino

giovedì 7 gennaio 2010

Angiolina Oliveti, cenni biografici

Angiolina Oliveti è nata a Firenze, da madre fiorentina e da padre calabrese di Riccabernabrda, un piccolo centro del Marchesato di Crotone. a Firenze compie gran parte dei suoi studi. Esperta nella divulgazione agricola, si è occupata di problemi dello sviluppo rurale come dirigente della Regione Calabria. Docente nei corsi di formazione in materie attinenti il turismo alternativo e lo sviluppo locale.
Al suo attivo ha diverse pubblicazioni:
agriturismo in Calabria per riconoscere un’identità;1986
formas menti; 1993
viaggi in treno;1999
l’orto di Ignazio;2001
con la testa all’indietro; 2003
roccafuscalda e il tempo della meridiana;2005
cent’anni nel borgo senza tempo; 2006
segreti e utopie; 2006
storie così; 2007;
le rose nel cestino; 2008, opera salutata da lusinghieri riconoscimente di pubblico e critica.
Collabora con “Quaderni Calabresi” di Qualecultura.

la mosca, lavoro letterario di Angiolina Oliveti




La mosca, in libreria l’ultimo lavoro letterario di Angiolina Oliveti

Parola dopo parola, ho fatto mie le pagine create dalla fantastica vivacità narrante di Angiolina Oliveti. Il racconto potrebbe essere una normalissima storia di vita quotidiana, vissuta da chiunque. Il suo vestito calza a pennello a ognuno di noi e si adatta alle situazioni contemporanee, alle problematiche dei giovani lasciati soli, ai ricordi, all’amore per la propria terra, la compagna di liceo. Una trama sapiente ben imbastita dall’osservazione indagatrice vissuta attraverso gli occhi dell’amico d’infanzia, compagno di giochi e di vita preoccupato dagli atteggiamenti strani e allertato ulteriormente dalla caduta in mare che mette in pericolo la vita dell’amico attorno al quale si sviluppa la storia; l’una asseconda l’altra in una continua indagine sociale. Il realismo poeticamente graffiante visualizza appieno il quadro esistenziale di microcosmi ancorati alla magia dei luoghi d’origine; modelli di vita antropologicamente immutati in quanto a sentimenti, ipocrisie e insoddisfazioni ma che rappresentano, oltre gli aspetti fondamentali della società calabrese, anche quella italiana.

(Mario Iannino)

giovedì 17 dicembre 2009

La cultura è un farmaco di automedicazione, da banco!


Tempo e materia nei sud del mondo.


Il tempo è l’ordine di misura che concorre a comprendere il fare dell’uomo in ogni suo aspetto teorico e pratico.
Quasi tutti gli artisti hanno a che fare col tempo. Il lavorio del tempo è sotto gli occhi di tutti ma non tutti osservano la materia, il colore, la vegetazione, l’aria: la vita!
Per l’artista, l’atto creativo è la conseguenza logica di molteplici riflessioni suggerite dal vissuto; riflessioni, che rivisitate dalla propria sensibilità, trasformano in riverberi poetici quanto la natura ha offerto ai sensi.
L’osservazione riflessiva sedimenta esperienze. Strati di conoscenza, accatastati nel subconscio, aspettano la scintilla creativa, il gesto liberatorio che, se pur semplice, induce a ulteriori analisi o suggerisce probabili soluzioni.
L’arte informale, liberata dalla figurazione pittorica, gioca con le paste, gli oggetti d’uso comune, i segni; ma, all’occorrenza si riappropria dei simboli della figurazione; rivisita le immagini pubblicitarie, le inserisce in contesti narrativi assurdi, ironici, a volte violenti. La violenza creativa è catartica. Non distrugge lessici consacrati per il gusto di annientare concetti contrari alla personale visione di una qualsiasi corrente artistica. No! Non è questo il proposito di chi fa arte, semmai è il venditore di “bolle” che proietta rutilanti parole per guadagnare visibilità o denaro. Chi fa arte lo sa bene!

L’operatore culturale non è un bohemien romanzesco, è un uomo che vive la contemporaneità del suo tempo appieno. Partecipe del cammino comune, l'artista propone, attraverso il suo fare, concetti semplici, rappresentazioni mentali dimenticate, soffocate dall'egoismo umano cresciuto a dismisura secondo i canoni consumistici correnti.
Idee e concetti ambigui, sovvertiti dalla bramosia economica, sono da ritenersi anche le operazioni “culturali fini a se stesse”, vale a dire quelle rappresentazioni stanche, composte di collezioni private che mischiano lavori di vecchi mostri sacri che, senza mai proporre coraggiosamente un valido artista locale al resto del mondo, allestiscono enormi macchine mediatiche per sublimare l'evento.

Così facendo, attraverso la riproposizione di minestre riscaldate, passate alla storia e quindi conosciute e divulgate in tutte le salse, gli organizzatori di grandi eventi culturali diseducano le masse ancorandole a concetti vecchi. È inutile riempirsi la bocca di numeri e visite pilotate.

La cultura è un farmaco di automedicazione, da banco, e non è necessaria la prescrizione del medico di turno legato a un qualsiasi collegio elitario.
La classe dirigente che ama davvero i conterranei ha il coraggio di cercare e valorizzare le intelligenze locali non supportate dai nomi altisonanti del mondo della cultura; non guarda ai larghi consensi immediati e va alla ricerca di quanti spendono sane energie per migliorare la Calabria.


giovedì 19 novembre 2009

Dirigenti, ammalati di esterofilia culturale, mortificano le menti locali




Corre l’obbligo chiarire a quanti non hanno potuto visitare le grandi mostre realizzate nel parco archeologico Scolacium, perché oberati da altri problemi o perché all'oscuro degli eventi, qual è stato il concetto propulsore degli appuntamenti annuali in base ai quali gli artisti sono stati invitati a “rivitalizzare culturalmente un territorio marginale come la Calabria”.

Allo scopo di valorizzare il territorio e la cultura sommersa di cui la Calabria è ricca, organi preposti, dopo ampi studi e riflessioni, hanno conferito incarichi a studiosi e tecnici della materia in questione per escogitare progetti mirati alla riqualificazione turistica e culturale.
Considerando le attenuanti generiche relative a questo tipo di operazioni e coscienti che gli effetti della cultura possono tramutarsi in spinte propulsive che daranno, senza ombra di dubbio, risultati positivi nel lungo termine, sempreché gestiti con intelligente lungimiranza dalla classe politica dirigente e dai tecnici che la affiancano; anche se qualcuno storcerà il naso in senso di disapprovazione per il dispendio di denaro pubblico investito in operazioni che per loro natura non hanno grandi consensi popolari, (è naturale che chi è pressato da problemi reali che minano la tranquillità familiare come la precarietà del lavoro, un sussidio sociale da fame, è poco accorto e pacato per valutare la possibilità di ricchezza futura che potrebbe provenire dal flusso del turismo culturale, vale a dire dal movimento economico generato dalle persone attratte dagli scavi archeologici, dalla storia e dal paesaggio; la cui presenza apporta ricchezza al territorio e quindi al cittadino; ma fino a quando ciò non accade, dovrebbe subentrare l’azione intelligente della politica a mitigare le esigenze dei bisogni sociali immediati. Tranquillizzare gli animi e far intendere che la cultura è un bene di tutti.) sempre rimanendo per un attimo nel campo delle esigenze territoriali, è opportuno capire quali sono state le linee guida dei progetti culturali, e le motivazioni che hanno spinto gli organizzatori a eludere gli artisti calabresi. Eppure, non mancano gli operatori, gli Artisti! Persone, di grande esperienza culturale, che operano nel campo della ricerca delle tecniche pittoriche tradizionali e nei linguaggi artistici contemporanei. Che proseguono l’attività creativa in Calabria, nonostante l’ostracismo o l’indolenza di taluni che si spacciano per operatori culturali. Agli artisti Calabresi non è stata data l’opportunità di vivere e far vivere d’arte! Questo il vero danno arrecato alla Calabria da dirigenti distratti; salvo, poi ravvedersi, come nel caso di Mimmo Rotella, e programmare eventi postumi. ma ormai il danno è stato consumato...

(mario iannino)

mercoledì 18 novembre 2009

arte contemporanea in Calabria, spazio open al parco

©archivio M.Iannino


Tra le opere d’arte disseminate nel parco della biodiversità, dopo “l’uomo che misurava le nuvole” lavoro in bronzo e silicone di Mimmo Paladino, alcuni esemplari dei cento ferrosi dissacratori replicanti nudi di Anthony Gormley che per fargli segnare una fantomatica linea d’orizzonte è stato necessario interrarli in entrambi i luoghi espositivi e nel sito archeologico alcuni pezzi sono stati tumulati fino al collo; le sculture di Cragg, i giochi meccanici di Delvoye, e, le altre opere acquistate che ben s’inseriscono nel parco catanzarese, ora è la volta dei “baci caduti” di Oppenheim: due enormi ampolle composte di tubi fluorescenti che rimandano la mente all’architettura delle cupole arabe. Installazioni da vivere che, munite di varco d’accesso, sembrano invitare gli osservatori a entrare, esplorare dall’interno le gocce di luce e aria, seguirne le sinuose verticali fino all’apice, punto di unione di forze esoteriche catalizzatrici di energie creative.


Decisamente è un bel vedere! Specie di notte.

Comunque, corre l'obbligo ricordare ai dirigenti locali che i progetti denominati “Intersezioni” e allestiti nel parco archeologico di Roccelleta sembra non abbiano contribuito a rilanciare quel turismo culturale pronosticato dai dirigenti politici, ciò dovrebbe far riflettere ed eventualmente escogitare nuove strategie, mirate a far decollare appieno l’area Scolacium di Roccelletta di Borgia alla periferia sud di Catanzaro e la costa jonica compreso l'imminente entroterra presilano che vide i natali di Mattia e Gregorio Preti .

martedì 17 novembre 2009

dal parco archeologico al giardino botanico di Catanzaro



Nel “parco della biodiversità”, giardino botanico calabrese di recente fondazione, Catanzaro, ha istituito una location d’arte visiva aperta a quanti non hanno mai avuto la possibilità di avvicinarsi all'arte e agli artisti noti contemporanei.
©arch.M.Iannino
parco archeologico, installazione Staccioli
l’amministrazione provinciale di

Al variegato mondo che popola i parchi verdi e i relativi giochi è stata data l’opportunità di incontrare, attraverso i lavori artistici inseriti nel parco botanico, gli autori delle installazioni effettuate nel parco archeologico di Roccelletta di Borgia dal 2005 a oggi.

Incuriosirsi ai linguaggi dettati dall’arte contemporanea; documentarsi per comprendere le motivazioni che spingono gli artisti a giocare e proporre il proprio fare; contestualizzare il tutto con la macchina economica che gira attorno agli interessi economici e culturali di critici, galleristi e mercanti.

Considerare pacatamente senza demonizzare niente e nessuno se le operazioni messe in atto dai progettisti culturali siano riuscite nell'intento che si erano prefissati, ovvero, di apportare ricchezza al territorio oppure no!
Chiedersi se è indicato puntare sempre sullo straniero oppure dare opportunità all’indigeno; valorizzare i talenti locali, stimolarli e far sì che la creatività diventi strumento propulsivo dell’economia calabrese.
©arch.M.Iannino

Catanzaro, esposizione permanente di arte contemporanea




Catanzaro, esposizione permanente di arte contemporanea nel parco delle biodiversità
©arch.M.Iannino


Il parco delle biodiversità, realizzato dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, ha stravolto positivamente 114.200mq di campagna urbana annessa all’istituto della scuola agraria per le attività pratiche e sperimentali di docenti e studenti. Dal 21 marzo del 2004, giorno dell’inaugurazione, il sito è diventato un bellissimo polmone verde che contiene piante da siepe, tappezzanti, di alto fusto e arboree; due laghetti popolati da cigni, anatre, papere e piante acquatiche precedute da allegre e sinuose panchine in stile Gaudì, il tutto sottolineato dal percorso Jogging che invita a continuare la passeggiata fino alla valle dei mulini; e ancora, piste ciclabili e da pattinaggio; aree giochi, anfiteatro, area ristoro, servizi igienici; enormi voliere che ospitano pennuti autoctoni e migratori; gabbie con rapaci e prati recintati per inibire la fuga agli scoiattoli che popolano i centenari pini mediterranei. Strutture in legno a forma di castello, gazebo, vecchi tronchi incisi da artigiani locali. La clinica per gli animali selvatici o abbandonati; il museo delle armi e, dulcis in fundo, tra tanto tripudio alla natura e al fare dell’uomo è visibile l’elogio alla creatività degli artisti ospiti nelle edizioni culturali estivi attuati nel Parco Nazionale Archeologico Scolacium denominate “Intersezioni”:
ben inseriti nel contesto paesaggistico del giardino botanico mediterraneo, le opere di Cragg, Paladino, Fabre, Balkenhol, Delvoye, Quinn, Gormley e Hoppenheim conferiscono quel tono culturale importante, necessario all’inserimento del sito nei canali culturali mondiali.

domenica 8 novembre 2009

Pop art e Nouveau Réalisme: America vs Europa


1960, Pop Art e Nouveau Réalisme, America vs Europa.
La mercificazione dell’arte, asservita al potere economico e politico delle lobby dominanti, pilota concetti e gusti visivi, sovverte i valori delle operazioni genuinamente Culturali e, nel caso della cosiddetta pop art americana tesaurizza nel tempo il prodotto kitsch di largo consumo.
L’esempio storico è testimoniato da artisti, studiosi e cronisti che hanno vissuto l’episodio dello “sbarco” americano alla biennale di Venezia del 1964.
Enrico Baj, artista italiano, così ricorda l’episodio nel suo libro “L’ecologia dell’arte”: La giuria internazionale supinamente accettò di dare il gran premio della Biennale a Rauschenberg perché così si aveva da fare. Ma quando il verbale era già steso e il premio deliberato, ci si accorse che entro il recinto della Biennale non era esposta neanche un’opera di Rauschenberg, che si dovette di corsa e in gran segreto recuperare e mettere in mostra nel padiglione americano.
Mentre alcuni cronisti del tempo così descrivono la scena dello sbarco:
Le opere arrivate da oltreoceano appartengono ad artisti della scuola newyorkese della Pop Art, promossa e sostenuta in America dal gallerista italo-americano Leo Castelli.
I lavori sono scortati dalla Sesta Flotta della Marina Militare Americana, schierata in formazione di combattimento per mettere il territorio in sicurezza, presidia tutti gli spazi disponibili, dai giardini della Biennale, al consolato Usa fino al teatro della Fenice.
Non v’è dubbio che l’operazione commerciale attuata dagli organismi americani, riuscì appieno; in maniera scientifica coinvolsero artisti e canali intellettuali europei.
Gli americani, negli anni sessanta, furono sovrastimati a danno dei maestri dell’avanguardia storica e della grande arte classica e rinascimentale europea e oggi vivono di rendita sulla falsa riga di un’arte popolare nata a New York.
Rauschenberg non si limita solo alla pittura, nelle sue composizioni introduce elementi materici, oggetti, addirittura animali impagliati, operando una fusione fra questi e la pittura alla quale non rinuncia mai. Il nome che l'artista dà ai suoi assemblaggi alchemici, composti di pitture e oggetti è combine-paintings, ossia pitture combinate. Niente di nuovo, comunque: già i dadaisti avevano adoperato un linguaggio simile in tono dissacratorio nel dopoguerra per contestare un modello culturale bacato. Ma lui, Rauschenberg, non si limita alla semplice, commerciale stampa serigrafica!, gioca con il materiale che accumula nello studio, utilizza tutto ciò che gli capita sottomano per creare armonie creative e per il modo di usare gli oggetti di uso comune è accostato alla pop art. Forse, per questo gli fu assegnato il premio internazionale alla biennale di Venezia del 1964.
Jhons, Dine, Oldenburg, Lichtenstein, Andy Warhol e altri, rappresentano in senso maestoso il sistema visivo, pubblicitario e consumistico della merce/icona della pop art americana e del mondo moderno.
Mimmo Rotella, artista catanzarese (7 ottobre 1918), nel 1958 ebbe, come amava dire, un’illuminazione zen davanti ai manifesti lacerati, che pubblicizzavano film sui muri della città. Intuì la forza evocatrice dello strappo; la poesia proposta dalle porzioni di messaggi antecedenti, dai colori sbiaditi, dal segno tipografico differente in quanto a grandezza, colore e forma del carattere. Con estrema sensibilità, Mimmo Rotella, evidenziava o scopriva; graffiava la carta del manifesto, interveniva con la pittura; incollava e accumulava in teche di plexiglas i manifesti pubblicitari. Declamò poesie fonetiche suggerite dai versi dei pastori calabresi; lavorò sui retro d’affiches. Questa, in estrema sintesi la sua azione creativa più conosciuta grazie all’incontro del 1960 con il critico d’arte francese Pierre Restany teorico del Nouveau Réalisme, che trasformò un gruppo variegato di autori francesi e italiani in movimento culturale in contrapposizione al new dada e alla pop art americana. Nel 1961, a Nizza, Restany organizza il primo festival del nouveau réalisme che registra un notevole successo, personale e di pubblico.
Mimmo Rotella, viaggia molto, visita il Nepal e l’India; lavora in Francia, Italia e America. Nel 1980 si stabilisce a Milano dove muore il 9 gennaio 2006.

mario iannino

giovedì 5 novembre 2009

da J. Christo a M. Iannino


©mario iannino

Alla maniera di Christo


Chi o quanti, tra adulti e bambini, sono rimasti turbati, shoccati, traumatizzati da perdere il sonno alla visione di un crocefisso? Quanti sono diventati serial killer? Stupratori, ladri, imbroglioni, mistificatori, despoti…
Bèh, se il risultato della visione di un simbolo che ricorda la pena di morte data dagli ebrei a ladri e malviventi d’Israele più di duemila anni addietro, e che, per i devoti, oggi, accorpa in sé concetti d’amore e di perdono incondizionato a quanti lo hanno insultato, deriso, mortificato e ucciso è così catastrofico per la delicata psiche di certa gente, allora è bene che questa gente così sensibile da intentare causa allo Stato Italiano eviti musei, chiese, luoghi di culto e monumenti; stia lontana dalle deleterie opere d’arte che hanno segnato e che continuano a segnare i percorsi dell’umanità! In poche parole: non devono vivere in Italia. Perché l’Italia è un enorme museo all’aperto e certa gente potrebbe farsi male per troppa, eccessiva cultura!
Le persone realmente sensibili penetrano il dato meramente visibile delle cose; sondano i molteplici aspetti racchiusi nel simbolo cristiano senza soffermarsi all’aspetto esteriore: vanno oltre al proprio naso. E ciò vale in tutti i campi dello scibile umano.

In arte, un singolare signore di nome Christo, all’inizio degli anni sessanta occulta pezzi di arredi urbani, ma non per questo i palazzi impacchettati cessano di esistere. Tutt’altro! L’impacchettamento dei maestosi monumenti suscita curiosità in quanti davano per scontato ruolo e esistenza dell’oggetto occultato.
Lo scossone visivo sembra destare interesse nell’opinione pubblica; sia se creato dall’uomo o dalla natura. Concettuale perché veicolato dall’uomo o evento naturale, il fare destabilizzante dei fatti condiziona le menti e rivitalizza l’ovvio.
Uno scossone analogo lo ha provocato nelle coscienze Cristiane la sentenza della Corte europea di Strasburgo nel definire coercitiva l’esposizione pubblica del Simbolo Cristiano: il Crocefisso.
La reazione di fedeli e laici alla sentenza è giustificata se si pensa alla cultura e alla tradizione cristiana che ha accompagnato generazioni intere di italiani.

Christo Vladimirov Javacheff, nel suo manifesto artistico asserisce: “Gli impacchettamenti? Nessuno può comprare queste opere, nessuno può possederle, nessuno può commercializzarle, nessuno può vendere dei biglietti per vederle. Il nostro lavoro parla di libertà”.

Ecco, in sintesi, spiegata, direttamente dall’artista, l’intenzionalità del suo operare. E nel segno della libertà, noi Italiani, che subiamo un verdetto poco chiaro, pur coscienti che il Simbolo in sé non determina in tutti la credenza della pienezza di Fede nel Salvatore Gesù, riteniamo che non sia affatto coercitivo per i credenti di altre dottrine religiose la sua esposizione nelle aule scolastiche.
D'altronde, l’uomo nel suo peregrinare incontra una miriade di persone, ognuno con credenze e usi differenti, si confronta con molteplici etnie e da queste esperienze nasce la cultura cosmica.
Nel campo dell’arte, ciò è avvenuto in parte. Assistiamo spesso alla commistione linguistica che trova il suo fluire spontaneo nel linguaggio visivo universale. Simboli, gesti, grafie primordiali o evolute, diventano lessici istintivi che accomunano razze e idee, seguono il peregrinare umano senza legarsi alla terra natia come nel caso di J. Christo. Ma anche il nostro Gesù, ebreo di nascita, misconosciuto come Messia dalla sua gente, diviene il tassello principe di una Chiesa che ha sede a Roma e proseliti in tutto il mondo.
L’amore per il prossimo, il rispetto della natura, l’esigenza di libertà sono elementi imprescindibili per l’evoluzione interiore. Religiosi, intellettuali e artisti puri né sono coscienti! Perciò operano al di fuori degli egoismi personali o di bandiera.
Passione, follia ingenua, teorie, queste, che trovano riscontro solo nella religione e nell’arte.

Quindi, lontano dall’essere blasfemo o irriverente, tanto per citare il pensiero cattolico secentesco, l’uomo, per capire appieno il creato deve osservare la natura, scoprire le leggi che governano l’universo e adoperarle saggiamente. Gli artisti in generale e Christo nel particolare, credo l’abbiano capito d’istinto; ora, per comprendere appieno l’uomo e l’artista, ripercorriamo alcuni momenti salienti della sua vita, in quanto, quella di Gesù Cristo è nota al mondo intero:
Christo Vladimirov Javacheff nasce nel 1935 a Gabrovo in Bulgaria; compie i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Sofia e nel 1958 si trasferisce a Parigi dove incontra Jeanne - Claude de Guillebon, sua coetanea. Si sposano e decidono di lavorare insieme. Nel ’61 allestiscono la loro prima “personale”. Nello stesso anno creano degli “impacchettamenti” sul porto di Cologne. L’anno seguente, protestano contro il muro di Berlino e in rue Visconti a Parigi organizzano un assemblaggio di grandissime dimensioni con barili d’olio e benzina impilati gli uni sugli altri. Iniziano così numerose proposte, realizzazioni di progetti di impacchettamenti poetici, giganteschi, attraverso i quali vogliono veicolare l’effimero come dimensione estetica e accompagnare l’osservatore distratto verso nuove visioni. Lo spazio antistante non si presenta agli occhi come nella consuetudine giornaliera: è occultato da enormi teli che, adagiati e legati su monumenti, costruzioni o distese incontaminate ne seguono forme e contorni.
La coppia si trasferisce a New York, dove vive e lavora tuttora, nel ’64, e prende la nazionalità americana.
Christo e Jeanne si appropriano degli spazi, drappeggiano, ritagliano, colorano monumenti e paesaggi, restituendo ai luoghi, urbani rurali o marini, una dimensione scultorea assolutamente nuova (Valley Curtain, Running Fence, Surrounded Islands, Biscayne Bay, Pont-Neuf a Parigi, il Reichstag a Berlino ecc…).
Christo e Jeanne-Claude, realizzano gl’interventi sul territorio con i propri mezzi; creano i disegni preparatori che sfociano in varie opere grafiche come litografie e serigrafie, collages, modellini e film la cui vendita serve a finanziare la realizzazione dell’opera vera e propria. “The Gates”, l’ultima loro realizzazione, è presentata a New York all’inizio del 2005. Si tratta di un percorso lungo circa 37 km attraverso Central Park, punteggiato di 7500 portici rivestiti di tende color arancio-zafferano. La loro performance, dal titolo “Sopra il fiume Arkansas”, li vede presenti nel Colorado per l’ennesimo intervento non distruttivo o asservito all’esigenza dell’uomo ma, empatico; vale a dire: azione equivalente al fenomeno di comunione con la natura.

Anche Mario Iannino cela evidenzia e lascia intravedere nuove poetiche. I suoi occultamenti sono, all’occorrenza blandi e inconsistenti, oppure spessi, densi di materia e colore; il velo che separa il “sotto” dal “sopra” dell’opera diventa filtro protettivo di fatti accaduti o che potrebbero accadere. Mentre, le lacerazioni, gli squarci, gl’impasti materici enfatizzano il percorso plastico; rendono lo spazio d’intervento discorsivo e accattivante sotto l’aspetto formale e analitico dei lavori.
Analisi, sviluppate secondo un personalissimo linguaggio visivo, frutto di un trentennio artistico trascorso in solitudine che l’ha portato a valutare in autonomia i percorsi artistici più consoni al proprio sentire. Le sue opere, caratterizzate dal bianco finale che diventa corazza catartica, sono il risultato serio di uno studioso che, in tutta umiltà, scandaglia i linguaggi dell’anima.

mercoledì 4 novembre 2009

Simbologie figurali nelle opere polimateriche di Iannino, artista Calabrese



Simbologie figurali nell’opera di Iannino




Il lavoro artistico di Mario Iannino, esponente della cultura calabrese contemporanea, pone l’osservatore nella condizione di chi cerca, insieme all’autore, suggerimenti e analisi giocose al disordine operato dall’uomo.
L’autore prima e il fruitore poi, scandagliano l’opera, penetrano gli squarci alla ricerca di tracce ataviche che sappiano tacitare angosce, mitigare paure o esorcizzarle.
Il fare artistico è un ri/vissuto atemporale comune, che prende spunto dalla materia usurata dal tempo e dall’uomo. È lo stimolo iniziale del fare artistico; una sorta di lavorio mutevole che si avvale della sensibilità poetica di chi osserva e trasforma con tecniche e attrezzi il dato visivo in linguaggio.
Linguaggio rinnovato dalla plasticità estetica, che riporta alla mente esperienze singolari: un déjà-vu lirico ma focoso, che getta in faccia l’originale problematicità sociale contemporanea.
Il linguaggio di Iannino, attinge nel quotidiano temi e mezzi espressivi in continua mutazione e si avvale della figurazione, del segno essenziale, della materia; che, personalizzati dall’esperienza pittorica e inseriti nel percorso alchemico della combinazione cromatica, materica e segnica, assurgono a puro linguaggio visivo.

amore passione morte nell'opera di M. Iannino



Evidenti simbologie nell’opera di Iannino

Il lavoro artistico di Mario Iannino pone l’osservatore nella condizione di chi cerca, scandaglia la materia di cui è composta l’opera, penetra gli squarci alla ricerca di tracce ataviche; un vissuto atemporale comune. Un ri/vissuto, nuovo dal punto di vista temporale, ma che riporta alla mente le esperienze dei singoli; il linguaggio di Iannino attinge nel quotidiano tema e mezzi espressivi; non disdegna la figurazione, il segno essenziale, la materia che, personalizzati dall’esperienza e inseriti durante il percorso alchemico della combinazione cromatica, materica e segnica, assume personalità e carattere artistico.


venerdì 30 ottobre 2009

Aniceto Mamone, pittore naif?



I pittori che non hanno seguito corsi di studi regolari in licei artistici o accademie, nel gergo
©archivio M.Iannino
comune, erroneamente, sono etichettati come naif (parola francese che, tradotta letteralmente, in italiano significa “ingenuo”).

È senz'altro un ossimoro, una contraddizione in termini!

Non tutti sono a conoscenza che per realizzare un bel dipinto non è necessario seguire corsi di studi istituzionali che imbottiscono le menti di nozioni ma, piuttosto, apprendere le tecniche e abbandonarle nel momento della creazione come hanno asserito i maggiori artisti che hanno fatto la storia dell’arte.

In quanto, nell'attimo della creazione, per esternare onestamente poetiche personali, e chi fa della pittura ricerca e fonte comportamentale quotidiano ne è testimone e  lo mette in pratica, ovvero, abbandona la razionalità, inibisce insieme alle tecniche i saperi teorici, altrimenti i gusti estetici correnti, avvalorati dalle teorie di mercato, possono condizionere l’esito finale dell’opera.

L’artista è un ricercatore e come tale scandaglia materia e strumenti; personalizza i linguaggi espressivi conosciuti fino a trovare il proprio; non importa se figurativo, astratto, nuovi media ecc. Importa, invece e gioca un ruolo importante la passione e Aniceto Mamone, di passione ne aveva tantissima. Nei suoi lavori aleggia la magia dei puri che illumina scorci di paesaggi familiari; case strette l’un l’altra in intimi abbracci; ripide scale trasformate in scivoli giocosi.

In pittura, spesso erroneamente, chi dipinge figure e oggetti non attinenti alle regole costruttive dettate dalla prospettiva, adopera tavolozze elementari e personalizza lo spazio fuori dai canoni accademici è considerato naif.
Anche l'autodidatta è ritenuto tale, ma non è il caso di Mamone. Lui conosceva bene il mestiere e le tecniche tant'è che "quando era davanti uno scorcio, non si atteneva a ciò che vedeva con gli occhi fisici: lui dosava gli elementi, cercava l’equilibrio e considerava persino dove porre la firma, perché, diceva: "è parte integrante della costruzione del quadro".

mario iannino

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