Facili prede

 Ambiente e natura

Viaggio temporale tra i ricordi.

L'evoluzione scientifica e tecnologica non è cattiva, spesso siamo noi a farne un cattivo uso.



Non ci siamo lasciati prendere la mano dal consumismo; ce lo hanno imposto lentamente. E, noi, l'abbiamo accolto a braccia aperte attratti dalle novità perché comode e accattivanti, ci siamo lasciati sedurre. Lentamente, attraverso la televisione e le altre forme di comunicazione, le grandi aziende hanno veicolato scientificamente i nuovi prodotti industriali. Li hanno enfatizzati fino a farceli ritenere necessari: non più una semplice carta igienica adatta all'uopo ma un prodotto speciale, decorato, profumato lungo un tot piani di morbidezza. A tal proposito, non so voi, ma io, ricordo le scarrozzate in campagna e le scorpacciate di fichi appena staccati dall'albero, spellati, dolci, che andavano giù 'na meraviglia. E poi, immancabilmente … splasch, avveniva la naturale biologica trasformazione. Non c'erano i bagni in campagna e la carta igienica neanche sapevamo cosa fosse. Semmai qualche felce e una sciacquata nel ruscello. E poi nuovamente a sgambettare.

Riconoscevamo dal profumo l'erba aromatica, le piante da frutto, gli ortaggi e a colpo d'occhio persino un giovane germoglio di pomodoro, una zucca, un cetriolo, un'anguria. Per non parlare dei suoni e dei versi che rompevano il silenzio delle caldi giornate estive.

Il raglio di un'asina. Il richiamo delle cinciallegre. Il gorgoglio dei ruscelli sulle cui acque volteggiavano le libellule.



E la plastica?

No, la plastica non era ancora giunta a deturpare abitudini, usi e costumi.

Era un prodotto sconosciuto! In casa c'erano solo utensili in rame, latta, qualche paniere, delle cesti per contenere frutta e verdura, piatti, tegami e brocche di terracotta fatti dai maestri vasai di Squillace.

Tutto ciò fino all'avvento della pubblicità: “signora guardi ben che sia fatta di moplen” raccomandava Gino Bramieri.

La plastica da subito si è dimostrata un'ottima alleata! Leggera, resistente, colorata, allegra era il segno dei tempi in continuo divenire.

Con la plastica si replicava tutto ciò che poteva servire ed essere utile nelle case. Ebbe davvero una bella accoglienza perché sopperiva egregiamente alla fragilità dei costosi contenitori in vetro e sostituiva egregiamente le robuste e pesanti damigiane in terracotta e persino le botti in legno.

La prima vasca in plastica la vidi sulla testa della donna che vendeva i lupini. Era originaria di Cardinale. Se non erro. Ricordo che arrivava col postale del mattino e appena a terra arrotolava un canovaccio a mo' di ciambella se lo metteva sulla testa e vi issava sopra una vasca stagnata oblunga colma di lupini coperti con un canapone per tenerli umidi. Ma quel giorno il contenitore era diverso per foggia e colore. Unico utensile che accompagnava il suo commercio storico era il misurino:

un bicchiere di latta che, colmo, cedeva per poche lire o barattava con qualche prodotto che le serviva.

S'incominciava a vedere qualche manufatto rotto, inservibile, tra i filari coltivati: abbandonato nei boschi, nei laghi, nel mare, mai esaurito e innocuo, continuava la sua inarrestabile trasformazione. Solo diversi anni più tardi, come per l'amianto usato nell'edilizia, ci siamo accorti della micidiale contaminazione. Le microplastiche trasmigrano nel ciclo vitale trasmettendo silenziosi veleni. Il resto è cronaca contemporanea.


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