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giovedì 15 giugno 2017

Mangiare sano

 Prodotti a Km 0.

 è il sogno di chiunque

 

 


Chi non si è mai lasciata tentare dalla produzione dei cosiddetti prodotti a km 0?
Nell'immaginario collettivo gli ortaggi coltivati e comprati direttamente dai contadini appena colti dai campi hanno sapori e odori ineguagliabili. toccasana per i salutisti.

E che dire del pane impastato con farine di grano autoctono macinato a pietra e lasciato lievitare col lievito madre? Non hanno rivali!

È successo anche a me. Per puro caso, ho visitato uno di quei rinomati orti cittadini. Ben tenuto. Curato al pari se non meglio di un giardino botanico. Vi lavoravano due giovani, credo fosse una coppia. Lei, mora coi capelli ricci, corporatura decisamente mediterranea, spiega l'origine e la lavorazione del pane. Un pane nero ancora caldo. Me ne offre un assaggio.
È ancora caldo. Ci tiene a sottolineare.

Lui, quasi dai colori nordici, biondo e occhi chiari, spinge una carriola con alcune cesti colme di cetrioli, pomodori e faggioline verdi.

Perché no? Mi son detta. Proviamo ad aiutare questi giovani pensando anche alla salute dettata dalla genuinità dei cibi.

Morale: un pane da un chilo 5€; un chilo di faggioline verdi 3€; cetrioli 1€ e 50centesimi; pomodori idem. Totale 10€ di spesa.

Peccato che mentre rimonto in macchina gli occhi vanno a vagabondare e trovano un sacco di nitrato, il concime granulare chimico che fa crescere bene e gonfia qualsiasi prodotto piantato in terra.

Che faccio? Chiedo se loro lo usano? Mah. Per questa volta è andata così. “na vota sual si fhutta a vecchia”, diciamo al sud. “una volta sola si frega la vecchia”. Infatti, lungo il rientro, sulla via di casa il solito venditore ambulante esponeva sulla sua carretta gli stessi prodotti, escluso il pane. Le faggioline costavano 2,50€. tanto per dirne una. Ora mi chiedo: come fa a venderli a questo prezzo. Non dovrebbe essere al contrario? Visto che lui stacca lo scontrino? Mah. Mi sa tanto che
calza bene quel vecchio detto popolare: “contadino, scarpe grosse e cervello fino”

mercoledì 7 giugno 2017

Calabria, la rivolta degli agricoltori

La casa dei calabresi è sotto assedio!

 

 


È un ossimoro! I calabresi che lavorano contestano Oliverio, il presidente di sinistra della regione Calabria.
L'uomo cresciuto nella scuola politica ideologica del pci è sotto accusa dai coltivatori della Calabria. Cioè, di quella parte sociale che lui avrebbe dovuto tutelare: gli agricoltori!

L'accusa che muovono nei suoi riguardi è: troppa burocrazia e mancata erogazione dei premi previsti e programmati.

Questi alcuni temi anticipati dai manifestanti intenti a innalzare e fissare le bandiere gialle della per tutta l'area della cittadella regionale.

Domani si prevede l'invasione di 500lavoratori, 800 mezzi agricoli, trattori, camion e pullman. Qualche autocisterna del latte, alcuni prodotti agricoli e tanta delusione nei confronti di chi in questo momento rappresenta i calabresi.

Eppure, conoscendo la storia ideologica del partito in cui si è formato quest'uomo cresciuto a pane e politica e che ha detto, per far intendere che non è avvezzo a clientele: “gli amici al bar, qui gestiamo la cosa pubblica”, qualcosa non torna rispetto al passato fatto di lotte progressiste.

Era un'ideologia che guardava ai proletari, ai diseredati, ai lavoratori che si spaccavano la schiena nei campi e nelle officine che ha fatto la storia comunista nel sud. Un partito, il pci, che aveva nel logo e nel cuore la falce e il martello. E che ha avuto martiri tra dirigenti, tesserati e simpatizzanti. Convinti di lottare per la costruzione di un mondo sociale più giusto in cui sarebbero bandite le diseguaglianze sociali.

Le lotte proletarie di Melissa, nel crotonese, bruciano ancora sulla pelle di quanti hanno occupato le terre e sono riusciti ad ottenere l'esproprio delle terre incolte o date a mezzadria e assegnarle a chi le coltivava davvero, ai contadini!

lunedì 4 giugno 2012

c'era una volta in Calabria

Archeologia di un mondo che non c'è più

immagine tratta dal libro "I braccianti in Calabria" di Ledda e Veltri
"attimi di vita contadina"  foto Ledda/Veltri
"I braccianti in Calabria" 1983

Quando la terra si lavorava con la forza delle braccia e l'aratro era trainato dai buoi i contadini vivevano di stenti e di fatica. In quel tempo l'unico sostentamento proveniva dalla terra e dalle colture che il contadino riusciva a produrre. Perciò, il suo problema non era lo spread o la tassa sulla casa e neanche la macchina e i relativi giochetti strategici di Marchionne. Il contadino pregava la Divina Provvidenza, suo unico concessionario di fiducia, affinché facesse piovere nel momento giusto così da ottenere un buon raccolto e ché non si ammalassero gli armenti, l'asino, le capre, il maiale, le galline.

Il contadino si alzava al levar del sole e, bardato l'asino, si avviava a controllare il podere sulla soma del ciuco. Dava l'acqua alle colture attraverso una serie di ruscelli d'irrigazione che lui stesso scavava nel terreno e “stagghiava l'acqua” mandava l'acqua dove era necessaria, estirpava le erbacce infestanti e raccoglieva gli ortaggi e la frutta maturata dal sole.

L'acqua del fiume o della sorgente era di tutti e le regole di buon vicinato, affinché nessuno rimanesse senza, imponevano la turnazione programmata per le innaffiature dei poderi.
Ovviamente i terreni limitrofi ai pozzi d'acqua, alle fiumare o con sorgenti proprie erano le più ricche e ambite.

Gli utensili del mondo rurale erano pochi ma necessari: zappe, vanghe, tridenti, rastrelli, “chjiantaturi” punteruoli autoprodotti con dei rami e servivano per piantare le giovani piantine. Cesti, panieri e cannicci per raccogliere e contenere i frutti o essiccarli al sole.
E poi c'erano i cocci per mangiare o contenere le provviste in salamoia, sotto sale o ricoperti con la sugna di maiale che in dialetto calabrese si chiamano: salàturi, 'nsàlatera, pìgnata, vòzza.
La brocca, (a vòzza) è un recipiente di terracotta che un tempo conteneva l'acqua o il vino oggi è un souvenir.  

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