La parola che inizia con la consonante “Hfà”
ha una f molto aspirata e nella maggior parte dei dialetti calabresi è
impercettibile e si pronuncia “à” soffiata in gola. È un suono gutturale: bocca
aperta, lingua a riposo e dalla gola esce un alito fonetico particolare,
vagamente simile all’arabo dai fonemi aulici.
Anche quando segue una consonante, la pronuncia, è
solitamente tronca, atona. I fonemi si differenziano. La pronuncia denota
contaminazioni lessicali dei conquistatori sui nativi. Ad esempio, la doppia
elle in alcune aree è pronunciata “gl’”
o doppia elle “ll tronca”
dal sapore vagamente spagnolo o francese.
La zeta, eccessivamente marcata, tradisce l'origine della
nostra calabresità. Se aggiungiamo le lettere aspirate e le consonanti atone o
rafforzate a secondo dei casi, senza ombra di dubbio, l'origine bruzia è consacrata. Le mille e una
cadenza indicano le origini territoriali e la gente che le parla. Mille e più
sfumature colorano la Calabria. Sfumature linguistiche e di costume. Tant’è che
un tempo, le donne si riconoscevano dall’abbigliamento e si assegnava per certo
il paese d’origine. Per non dimenticare, il mio, più che un esercizio è un
gioco mnemonico, scavo negli angoli reconditi della mia memoria e porto a galla
parole ormai desuete, le condivido con i tantissimi calabresi che non ricordano
sfumature dialettali poetiche ineguagliabili, in italiano e in altra lingua, e
siccome, mi auguro che non siano solo i calabresi a leggermi, ecco una sintesi: