Le icone di don Mimmo

Da qualche giorno fa notizia la decisione presa dal vescovo di Napoli mons. Mimmo Battaglia.

Don Mimmo è stato per molti anni un sacerdote impegnato nel sociale. In Catanzaro è conosciuto come quello che si prende cura degli emarginati caduti nel giro della droga, ragazzi e ragazze messe ai margini della società perché troppo sensibili e deboli; delle donne maltrattate e dei derelitti che hanno trovato rifugio ai loro malesseri nell'inferno artificiale dell'emarginazione: la droga e l'alcol.

La sua nomina a vescovo di Napoli è stata accolta con entusiasmo e benevolenza da quanti hanno apprezzato il suo impegno sociale. E da uomo determinato qual è ha fatto sentire la sua voce e conferito il suo ruolo anche nel napoletano.

Dopo avere dimostrato la sua vicinanza al mondo del lavoro che sfugge e si sottrae per effetto del profitto famelico alle masse, la sua reazione al malcostume e alla sottocultura mafiosa è stata altrettanto decisiva nell'imporre l'eliminazione di alcuni segnali che fanno parte dell'immaginario religioso popolare. Ovvero ha fatto togliere due stampe raffiguranti la Madonna del Rosario e santa Rita da una chiesa simbolo della potenza malavitosa di una famiglia che ha fatto il bello e il cattivo tempo in quella parte della Campania.



Le icone erano lì da vent'anni. Proprio all'ingresso del luogo sacro. E sotto le stampe due targhette sottolineavano il nome e la potenza del donatore, un noto uomo venuto alla ribalta delle cronache per i suoi misfatti disumani che soggiogavano i deboli, succubi del vivere quotidiano.

Non si trattava di pregiate opere a olio. Non erano state eseguite da valenti artisti, come si potrebbe desumere dalle scarne notizie diramate dai giornali soffermatisi sull'azione eclatante del presule. E di conseguenza, qualcuno, giustamente, non essendo a conoscenza del valore delle icone, forse ritenendo le immagini sacre frutto di qualche valente maestro, ha espresso perplessità in merito all'azione categorica del prelato e ha spezzato una lancia a favore dell'arte quale strumento di emancipazione.


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