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martedì 24 settembre 2013

Accendere un'auto e attaccare targhe è facile

Difficile è far evolvere la collettività dall'arretratezza culturale imposta dalle caste.

Non passerelle ma lavoro come volano di cultura e legalità!

Mi son sempre chiesto a che valgono i simboli, le manifestazioni di piazza e persino i salotti culturali, dove, per intenderci, si parla tanto di letteratura, poesia, pittura, un po' meno di scultura e sempre con la puzza sotto il naso si addita l'ignoranza collettiva ché non legge, non si documenta, non amplia gli orizzonti con un buon libro.


http://aore12.blogIn Calabria, per combattere la 'ndrangheta e il malaffare che si associa ai colletti bianchi e alla politica, c'è stato un pullulare di targhe affisse sui muri dei municipi regionali con tanto di scritta: “QUI LA 'NDRANGHETA NON ENTRA!” Come se bastasse una sana intenzione, uno slogan, per annullare gli effetti di un malcostume cresciuto negli anni. Non si è voluto capire che laddove la miseria taglia con l'accetta gli animi e fa morire d'indigenza la fame fisica annulla anche la libertà, la volontà d'immergersi in una buona lettura.

Una sorta di asservimento dei reietti al potere che dà loro di ché vivere, salvo, poi, vedere comuni commissariati per infiltrazioni o contiguità mafiose, fa stare nell'inferno dell'ignoranza la maggior parte della popolazione. Ma questo non accade solo in Calabria!

In “Presa Diretta” un “dipendente” dei poteri nascosti così giustifica il suo atto di gratitudine al microfono del giornalista: “Come posso, quando mi chiama, rifiutare un favore a chi mi ha dato lavoro?”
http://aore12.blog
Giancarlo Siani

Cosa significa, si spieghi meglio. “Anche col voto”.

Insomma, i simboli sono importanti ma non importantissimi laddove regna la fame la disoccupazione e nessuna voglia di far crescere la cultura da parte di chi detiene il potere.
Che rilievo può avere l'accensione della macchina di Giancarlo Siani, giovane reporter ucciso dalla camorra per i suoi scritti su il Mattino di Napoli nello sfacelo totale di una Repubblica guidata da gente che per mantenere i conti dello Stato in ordine toglie il lavoro ai dipendenti pubblici e privati ma mantiene intatti i privilegi dei ricchi e affama il 90% dei cittadini?

Simili presupposti non lasciano spazio alla speranza checché ne dicano scrittori, intellettuali, politici che assediano gli schermi e i media.


martedì 30 novembre 2010

codici cavallereschi e devianze etiche

Osso Mastrosso e Carcagnosso secondo una favola romantica dovrebbero essere i padri fondatori del malaffare in Italia.

In base ai racconti folkloristici si tratterebbe di tre cavalieri spagnoli, appartenuti ad una associazione cavalleresca fondata a Toledo nel 1412, che, scappati dalla Spagna per avere difeso l’onore della sorella, portarono nel Mezzogiorno d'Italia quelle che sarebbero divenute le regole della mafia in Sicilia, della camorra in Campania e della 'Ndrangheta in Calabria.

Una leggenda che è servita a creare un mito, a nobilitare le ascendenze, a costituire una sorta di albero genealogico con tanto di antenati.

La sera della strage di Duisburg una delle sei vittime, prima di essere uccisa, facendo bruciare un santino di San Michele Arcangelo con tre gocce del suo sangue, aveva giurato fedeltà alla 'ndrangheta in nome dei tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Per la 'ndrangheta i codici e la loro trasmissione sono una ossessione.

Per quante trasformazioni essa abbia subito non ha mai voluto cambiare le modalità dell'affiliazione formale e simbolica. Ma qui siamo in pieno folklore. Una sorta di romantica adesione a dei valori “morali” da parte di giovani che affrontano i mali sociali. Giovani ingenui strumentalizzati da menti scaltre che non si sporcano le mani con omicidi o andando a lavorare nei campi. I pezzi da novanta vestono e frequentano l’alta finanza. Determinano le sorti delle nazioni. Pilotano notizie e ricchezze. Censurano ma sanno anche indossare la maschera del buonismo populista.

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