Un calcio d'altri tempi

 

Strana architettura … un soffitto a forma di gradini non è cosa che si vede tutti i giorni. Mastro Ciccio abitava lì, Sotto i “distinti” del “militare” aveva casa. Dimorava insieme alla sua famiglia nell'alloggio ricavato sotto gli spalti e si prendeva cura dello stadio, spogliatoi compresi.

Le divise dei giocatori appese ad asciugare al sole dalla signora Maria dopo ogni allenamento gocciolavano sui ciuffi d'erba. E sulle magliette c'era cucito il numero col rispettivo ruolo, dal n°1 al n°11. Portiere, terzino destro e sinistro, libero, mediano, ala, centrocampista, attaccante, punta.




Sasà Leotta giocò nella catanzarese, fu punto di riferimento del settore giovanile e anche futuro allenatore. Una parte di storia! Dunque. Come lo è stato l'avvocato Nicola Ceravolo, il presidentissimo che seppe contornarsi di allenatori quali Gianni Di marzio, Seghedoni e giocatori come Mammì; Bui, Gori; Spelta; Banelli, Braca, Ranieri, Silipo; Palanca, Maldera e tanti altri che hanno fatto la storia e restano impressi nelle menti e nel cuore dei tifosi che hanno vissuto quegli anni.

Gli anni '70 del Catanzaro in serie A!

Ma non è degli uomini che si sono susseguiti nelle fila del club giallorosso che si dovrebbe parlare.

Gli uomini passano! Anche se sono gli uomini a determinare la buona riuscita di ogni impresa sociale, sportiva o di altra natura corale che necessita di comunità d'intenti. Ciò che rimane indelebilmente impresso nelle generazioni future è un dato esperienziale emotivamente agganciato alle storie documentali e ai cinque sensi che traslano i fatti vissuti in sensazioni: l'olfatto, la vista, l'udito, il sapore e il tatto di proustiana memoria, detti anche cinque ingegni, appunto, sensazioni comuni, allertati in quanti non sono stati presenti agli eventi per motivi anagrafici alla storia. Sensori che si accendono anche in quanti non hanno goduto dei calcio d'angolo beffardi tirati da Palanca allorché qualcuno li racconta e fa rivivere l'entusiasmo dei tifosi quando il pallone calciato da "o rey" sorprendeva i portieri avversari e s'infilava in rete e, ancora prima, dei goal di Sasà Leotta, figura storica del calcio catanzarese. Entrambi Bandiere accomunate dalle cromie sociali: il giallo e il rosso con l'aquila presente nello stendardo della città. Uomini simbolo associati indelebilmente ai colori sociali, tutt'uno con la storia dei club passati dai chiodi di ferro sotto le scarpe al pallone coi sensori in un eterno presente! L'odore dell'adrenalina accappona la pelle, attrae gli sguardi delle tifoserie che rinnovano nel tempo, pur rimanendo ancorati ai riti campanilisti, nuove strategie di gioco e fantasiose coreografie.

Rituali atavici, quelli delle tifoserie compiuti tra riti scenografici bene auguranti; cori, ola sugli spalti addobbati di giallo e rosso e poi il verde del manto erboso su cui si gettano sguardi apprensivi. “fhora gabbu” ieri come oggi l'odore della terra scalciata; la pioggia e il vento che un tempo scuoteva i rami della “pignara” nella curva ovest solleva nuvole pluricromatiche, ricordi nostalgici, germogli votati a trasmettere enfasi e nuova vita.

Un calcio con la cravatta, gestito con alto senso del savoire faire di dirigenti e giocatori nel reciproco rispetto dei ruoli e con la sacrale convinzione che lo sport è gioco, gara tra atleti temprati nel corpo e nello spirito dotati di fair play. Sasà Leotta è stato uno di questi, in campo e fuori ha saputo coniugare sport e signorilità che non dismette mai i colori della squadra amata.

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