Lumache, tra economia e folklore in Calabria
“mussimoddhi, virdeddhi, vermituri, dormituri, vovalaci,
queste alcune delle locuzioni più comuni nei dialetti calabresi per indicare le
lumache. Questo è il tempo delle lumache, prima che entrino in letargo,
s'affossano nel terreno e diventino "mporteddhati" cioè creano con la
bava la porticina biancastra che li proteggerà fino al risveglio.”
E' una meraviglia questo scorcio di cultura calabrese! Le lumache, creature umili ma affascinanti, hanno un posto speciale nella tradizione popolare, e i nomi dialettali come *mussimoddhi*, *virdeddhi*, *vermituri*, *vovalaci* raccontano la ricchezza linguistica della regione. Ogni termine evoca un mondo di gesti, stagioni e saperi tramandati.
“tracce”:
Il tempo delle lumache è davvero un momento magico: prima
del letargo, si preparano con cura, scavando nel terreno e costruendo quella
piccola porta biancastra — ‘a *mporteddhata* — fatta di bava solidificata, che
le proteggerà dal freddo e dalla siccità. È un gesto semplice ma straordinario,
un piccolo capolavoro di sopravvivenza.
Questa fase è anche legata a tradizioni culinarie e
contadine: in molte zone della Calabria, le lumache vengono raccolte proprio in
questo periodo, prima che si chiudano nel loro guscio per l’inverno.
Anch’io, approfittando del tempo, ho fatto “caccia grossa” a
più riprese. Durante la passeggiata mattutina, nel parco, lungo il tracciato
tra gli alberi e l’erba alta, li vedo luccicare aggrappate agli arbusti, per lo
più lungo i gambi delle piante di finocchio selvatico.
Le lumache che
luccicano tra gli arbusti e si arrampicano sui gambi del finocchio selvatico
sembrano piccole gemme della natura, silenziose e pazienti.
La “caccia grossa” mattutina ha il sapore di un rituale
antico, fatto di osservazione, lentezza e connessione con il paesaggio.
Il finocchio selvatico, con il suo profumo intenso e i suoi
steli sottili, è spesso un rifugio ideale per le lumache: trattiene l’umidità,
offre riparo e attira con il suo aroma. In molte tradizioni contadine, questo
tipo di raccolta non è solo un’attività alimentare, ma anche un modo per
tramandare gesti, parole e stagioni.
“tra narrazione e folklore”
La caccia grossa alle lumache: racconto calabrese intriso di
folklore.
Nel cuore dell’autunno, quando la terra calabrese si fa
umida e l’aria profuma di finocchio selvatico, si rinnova un rito antico: la
caccia alle lumache. Non è solo raccolta, è una danza silenziosa tra uomo e
natura, un gesto che affonda le radici nel tempo.
All’alba, quando il sole ancora indugia dietro le colline e
il parco si veste di rugiada, i passi si fanno cauti. Tra gli steli alti e le
fronde tremolanti, brillano come perle i *mussimoddhi*, *virdeddhi*, *vermituri*, le *vovalaci* — ognuna con il suo
nome, ognuna con la sua storia. I vecchi del paese dicono che le lumache
conoscono il tempo meglio di noi: quando sentono l’inverno bussare, si
affossano nel terreno e si chiudono nella loro casetta a doppia mandata
*mporteddhata*, quella porticina bianca fatta di bava, che le protegge come un
incantesimo.
Si racconta che chi trova la lumaca più grande, quella che
si arrampica sul finocchio selvatico più alto, avrà fortuna per tutto l’anno. E
che le lumache raccolte prima di San Martino portano sogni dolci e raccolti
abbondanti. I bambini, con le mani fredde e gli occhi curiosi, seguono i nonni
tra i cespugli, imparando a distinguere le buone dalle amare, le vive dalle
dormienti.
La sera, attorno al fuoco, si raccontano le storie: di
lumache che scappano, di quelle che cantano sotto la pioggia, di spiriti che si
nascondono nei gusci. E intanto, nel tegame, sfrigolano con cipolla, pomodoro e
peperoncino, mentre l’odore si mescola ai racconti e alle risate.
Questa non è solo cucina. È memoria, è terra, è magia.
Però, l’azione più atroce è quando si gettano nell’acqua
bollente vive in modo che restino son il muso di fuori. pare che la vecchina
presagisca il loro destino e, se pur costretta. le raccoglie una ad una, ne va
della sua sopravvivenza... è un frammento di vita, tra necessità e compassione.
Nel gesto lento della vecchina che raccoglie le lumache, c’è
tutta la tensione di un mondo antico, dove la sopravvivenza si intreccia con il
rispetto per la vita. Le sue mani, nodose e pazienti, si muovono tra gli steli
del finocchio selvatico, come se chiedessero scusa a ogni creatura che tocca.
Sa bene cosa le attende: l’acqua bollente, il muso di fuori, quel momento
sospeso tra il vivere e il morire che la tradizione impone.
Eppure, nel suo sguardo c’è qualcosa di più profondo. Non è crudeltà, ma consapevolezza. Sa che senza quelle lumache, la dispensa resterà vuota, il piatto sarà povero, e l’inverno più duro. È il peso di chi ha vissuto abbastanza da sapere che la fame non fa sconti, ma che ogni vita merita almeno un pensiero.
In alcune zone della Calabria, si dice che chi raccoglie le
lumache con rispetto avrà sogni tranquilli. Che il loro spirito, se onorato,
protegge la casa. E forse è per questo che la vecchina, pur costretta, le
raccoglie una ad una, come se volesse imprimere in ogni gesto una benedizione
silenziosa.
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