Catanzaro, 1964: Una sera con Pasolini

 In questi giorni la figura di Pier Paolo Pasolini torna ripetutamente al centro del discorso pubblico. Una pagina di cultura che un tempo si definiva “controcorrente”, ma che oggi sembra aver perso quella tensione originaria. Non è chiaro se si tratti di un recupero sincero del suo pensiero, da sempre inviso all’intellighenzia dominante, o di una strategia di marketing culturale. Personalmente, non avrei avuto intenzione di parlarne: certe presenze si custodiscono come reliquie interiori, non si espongono. Ma il ricordo che mi ha inviato Nicola Ventura — preciso, vivo, non celebrativo — ha riaperto una soglia. E merita di essere condiviso.

Pasolini a Catanzaro: tracce di una presenza critica

Nel cinquantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, riemerge una testimonianza significativa: la sua presenza a Catanzaro negli anni Sessanta. 

Non si trattò di una visita ufficiale né di un soggiorno turistico, ma di un passaggio concreto e dialogico. Pasolini camminava su Corso Mazzini, osservava, ascoltava, interagiva. Non lasciò monumenti, ma tracce: civiche, inquietanti, non pacificate.

Nicola Ventura, insieme a Franco Politano, Nuccio Marullo, Mario Foglietti e Gianni Amelio, fu tra i giovani che lo incontrarono. L’interesse non era idolatrico, ma mosso da una fame di cinema, parola, sguardo. Pasolini parlava con loro, li provocava, li ascoltava. In una città sospesa tra provincia e aspirazione alla modernità, la sua presenza fu atto di testimonianza.

Questa memoria non è nostalgica. È materiale da interrogare. Pasolini fu tensione, conflitto, domanda. Chi lo ha incrociato, anche solo per un frammento, porta con sé una responsabilità: non quella di custodire un mito, ma di continuare a porre domande scomode, cercare il cinema nella realtà, fare della parola un atto politico.

Un incontro sul corso

Ventura racconta un episodio preciso: una sera tra fine marzo e inizio aprile del 1964, cinque giovani — Marcello Furriolo, Nuccio Marullo, Franco Pristerà, Franco Santopolo e lo stesso Ventura — si trovavano su Corso Mazzini, come accadeva spesso. Il corso era allora il “salotto buono” della città, luogo di ritrovo e confronto.

Quella sera, tre figure nuove attirarono la loro attenzione:

 Nuccio Marullo riconobbe Pasolini, accompagnato da Elsa Morante e Ninetto Davoli. I giovani li avvicinarono, furono accolti con cordialità. Passeggiarono insieme, parlarono di Calabria, di Catanzaro, di arte e cultura. Era un giorno di pausa dalle riprese de Il Vangelo secondo Matteo, girato anche nel crotonese.

L’incontro durò circa due ore. Morante rispose con disponibilità alle domande, Davoli raccontò la sua esperienza di attore non professionista e le sue origini calabresi. Li accompagnarono fino al ristorante del Grande Albergo Moderno, in piazza Matteotti.

Un circolo, un giornale, un’intervista

Nel 1964, gli stessi giovani fondarono il circolo culturale “Piero Gobetti”, promotore del primo cinema d’essai a Catanzaro, con proiezioni settimanali al Supercinema. Tra i film proposti, Il Vangelo secondo Matteo. La sezione cinema era curata da Gianni Amelio.

Ad aprile dello stesso anno nacque anche un periodico, il manifesto — antesignano, solo nel nome, del quotidiano omonimo. Nel primo numero fu pubblicata un’intervista a Pasolini, concessa a Marcello Furriolo. Nel secondo, un breve scritto dell’autore su Palmiro Togliatti, scomparso nell’agosto 1964.

Calabria come tensione

La presenza di Pasolini a Catanzaro si inserisce in un rapporto più ampio con la Calabria. Nella “Lettera ai cittadini di Cutro” (1959), intervenne per chiarire le sue posizioni dopo aver definito il paese “dei banditi”. Il gesto, pur controverso, testimonia il suo coinvolgimento diretto con la realtà calabrese.

In “Riflessioni sulla Calabria”, descrisse la regione come “deserto rarefatto” capace di generare “mitezza e dolcezza”. Un rapporto ambivalente, fatto di paura e attrazione. Anche Catanzaro, come capoluogo, rientra in questa tensione.

Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ha recentemente ricordato Pasolini come “genio inquieto” che “amava la Calabria”, citando la sua frase: “terra di limoni in cui vorrei vivere e morire”.

Memoria come responsabilità

Le testimonianze non sono archivistiche, ma emergono da ricordi, lettere, citazioni, commemorazioni. Sono frammenti culturalmente significativi, anche se non sempre formalmente certificati. La presenza di Pasolini a Catanzaro non è un episodio da celebrare, ma una pagina da interrogare. Un gesto che continua a porre domande.


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