Manicheismo asociale
Sulla vicenda della famiglia nel bosco di Palmoli (Chieti), che ha rifiutato lavori di riqualificazione e ha perso la difesa legale dopo la rinuncia del loro avvocato.
Questa la fotografia sulla "solitudine scelta" che isola l'altro da me:
La storia della famiglia che vive isolata nei boschi abruzzesi ha suscitato un dibattito acceso. Un casolare fatiscente, condizioni di vita precarie, figli allontanati dai servizi sociali. Eppure, nonostante le proposte di riqualificazione e l’intervento delle istituzioni, i coniugi hanno scelto di rifiutare ogni compromesso.
La loro volontà di rifiutare le mani tese ha fatto capitolare ogni possibilità di dialogo.
- Il Comune aveva offerto lavori di riqualificazione e soluzioni alternative per garantire condizioni minime di sicurezza.
- La coppia ha respinto ogni proposta, rivendicando il diritto a vivere secondo il proprio stile di vita.
- Persino l’avvocato incaricato della difesa ha rimesso il mandato, denunciando “mancanza di fiducia” e “ingerenze esterne”.
Le conseguenze?
- Senza difesa legale, la famiglia si trova ora in una posizione fragile di fronte alle istituzioni.
- I figli, già allontanati, rischiano di non avere una tutela giuridica adeguata.
- La determinazione dei genitori diventa un paradosso: la volontà di autonomia si traduce in isolamento e perdita di strumenti di protezione.
Il nodo culturale e sociale:
Questa vicenda non è solo una cronaca locale. È il simbolo di una tensione più ampia: tra libertà individuale e responsabilità collettiva, tra diritto alla scelta e dovere di garantire condizioni minime di sicurezza.
La famiglia del bosco rappresenta un caso limite, ma mette in luce una domanda universale: fino a che punto la società deve rispettare la volontà dei singoli, quando questa mette a rischio i più vulnerabili?
Che dire, quindi, della situazione definita "Impattante" dai coniugi "naturisti"?
. Con questa definizione i genitori del bosco hanno rifiutato i lavori di riqualificazione del casolare in cui vivono. È indubbiamente fatiscente e il degrado è documentato. Ma suona strana la situazione per rimanere connessi al web. E cioè l’escamotage per alimentare la linea internet che consente di gestire il sito curato dalla moglie.
è un punto davvero emblematico. La vicenda della famiglia nel bosco è “impattante” proprio perché mette in luce una contraddizione forte: da un lato il rifiuto ostinato di lavori di riqualificazione per un casolare fatiscente, dall’altro l’uso di un escamotage tecnologico per alimentare una linea internet che consente alla moglie di gestire un sito web.
Le incongruenze della situazione:- Rifiuto della riqualificazione: i genitori hanno respinto interventi che avrebbero migliorato le condizioni di vita, preferendo mantenere il casolare nel suo stato di degrado.
- Uso della tecnologia: nonostante la scelta di isolamento, hanno trovato un modo per avere accesso alla rete, indispensabile per l’attività online della moglie.
- Contrasto evidente: da un lato il rigetto della modernità e delle istituzioni, dall’altro l’accettazione di strumenti digitali che richiedono infrastrutture e connessioni.
- È il simbolo di una tensione tra autonomia radicale e dipendenza invisibile dalle strutture moderne.
- e mostra come anche chi rifiuta la società non possa del tutto sottrarsi alle sue reti: l’internet, l’energia, la difesa legale.
- Rivela un paradosso: la libertà rivendicata si regge su un compromesso nascosto, un “escamotage” che contraddice la narrazione di totale autosufficienza.
Questa contraddizione racconta molto più di un caso locale:
La definizione “impattante” è calzante: la vicenda colpisce perché mette in scena un cortocircuito tra rifiuto e dipendenza. La famiglia del bosco diventa così un caso che interroga la società su quanto sia possibile vivere ai margini senza, in realtà, continuare a poggiarsi — anche indirettamente — sulle stesse strutture che si dice di voler rifiutare.
La solitudine scelta dai coniugi è diventata una trappola. Nel rifiuto di ogni compromesso, hanno perso non solo la difesa legale, ma anche la possibilità di tutelare i propri figli. La vicenda ci ricorda che la libertà non può essere disgiunta dalla responsabilità: vivere ai margini è una scelta, ma quando coinvolge minori e diritti fondamentali, la comunità non può restare indifferente.
Cerchiamo di cogliere il senso più profondo della nostra riflessione e ragioniamo su un tema coerente e contemporaneo:
che ci apre al dialogo tra: Natura, tecnologia e il mito della coerenza
Da sempre l’essere umano vive in bilico tra due poli: il desiderio di radicarsi nella natura e la spinta a trasformarla attraverso la tecnica. L’eremo e la domotica non sono che simboli di questa tensione: il primo rappresenta la nostalgia di un ritorno all’essenziale, la seconda l’aspirazione a un controllo totale sull’ambiente.
La scelta di ritirarsi nel bosco, rinunciando alle comodità, appare come un gesto di purificazione. Ma la purezza assoluta è un mito: anche l’eremita porta con sé strumenti, abitudini, tracce della società da cui si è separato. La coerenza totale è un ideale irraggiungibile, e proprio per questo affascina e scandalizza.
Il caso della famiglia nel bosco mostra che la contraddizione non è un errore, ma una condizione inevitabile. Vivere “naturale” e al tempo stesso connessi non è solo incoerenza: è il segno che l’uomo non può recidere del tutto i legami con la comunità e con la tecnica. La contraddizione diventa così la cifra della nostra epoca: aspirare alla semplicità senza rinunciare alla complessità.
I media amplificano questa tensione, trasformando la contraddizione in spettacolo. Non raccontano tanto la vita nel bosco, quanto il paradosso che essa incarna. In questo modo solleticano la curiosità morbosa del pubblico, che si riconosce e si rassicura: vedere l’incoerenza altrui significa legittimare la propria.
La riflessione filosofica ci invita a superare il giudizio morale sull’incoerenza. Non si tratta di scegliere tra natura e tecnologia, ma di riconoscere che entrambe sono parti di noi. La salute dell’esistenza non nasce dalla fuga radicale né dall’abbandono totale alla tecnica, ma dalla capacità di creare spazi di equilibrio: momenti di silenzio dentro la connessione, gesti di semplicità dentro la complessità.
Il nostro dialogo verte su un dato inconfutabile: che la vera questione non è se la natura umana “abbia bisogno” di eremi privi di comodità, ma se sappia abitare la contraddizione senza trasformarla in spettacolo. La vita sana non è quella che elimina la tecnologia, né quella che la idolatra: è quella che accetta la tensione tra i poli, e la trasforma in un cammino di consapevolezza.
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