Il prezzo dell’infanzia tradita
Tra fake news e macerie: il silenzio del buon senso
Parliamo ancora di buon senso: del buon senso soffocato dagli interessi.
Il caso della famiglia che ha scelto di vivere nei boschi è
stato trattato come una “disavventura”, ma la vera questione non è la foresta o
la città: è la qualità dell’affetto, la presenza dei genitori, la crescita dei
figli. Paolo Crepet lo ha ricordato con lucidità: non è il contesto a
determinare il benessere, ma la sostanza delle relazioni. Non solo quelle di
casa nostra! Se alziamo l’attenzione distogliendo o magari osservando con
empatia quanto succede attorno a noi e oltre i confini geografici ci accorgiamo
che:
Ci sono i bambini di Gaza, sepolti sotto le macerie di una
guerra che non risparmia nessuno. La loro sofferenza è il volto più crudele di
un sistema incapace di proteggere i più vulnerabili. Le istituzioni
internazionali condannano, ma non impongono; i grandi della terra parlano, ma
non agiscono. Il diritto rimane sulla carta, mentre la logica della forza e
delle lobby prevale.
Il buon senso non è scomparso: è soffocato. Non fa rumore, non genera consenso immediato, non produce profitto. Eppure resta il criterio più semplice e universale: proteggere i bambini, garantire relazioni affettive sane, mettere la dignità umana al centro.
Se vogliamo restituire senso a questa parola dimenticata,
dobbiamo avere il coraggio di sottrarci al rumore di fondo e di guardare la
realtà con lucidità. Perché il buon senso non è un lusso: è l’unico antidoto
alla crudeltà del nostro tempo.
La tragedia dei bambini palestinesi è una delle ferite più
profonde e insopportabili del conflitto: migliaia di minori sono stati uccisi o
feriti sotto i bombardamenti, e la loro sofferenza rappresenta il volto più
crudele della guerra.
Secondo Save the Children, in quasi due anni di guerra a
Gaza oltre 20.000 bambini sono stati uccisi, una media di più di un bambino
ogni ora dall’ottobre 2023.
L’UNICEF ha
denunciato che la media è di 28 minori morti al giorno, “l’equivalente di una
classe scolastica”.
Il Washington Post ha
pubblicato una lista con i nomi di 18.500 bambini palestinesi uccisi, una Spoon
River che testimonia la portata devastante della violenza.
Le condizioni disumane non sono certo da invidiare e non lo
facciamo, comodamente seduti nel nostro presente, leggiamo ma non prendiamo
coscienza davvero delle innumerevoli vittime dirette della guerra che deturpa
decine di migliaia di bambini, feriti, mutilati o malnutriti, e l’ormai
inesistente tessuto sociale di ospedali
e scuole distrutti e una carestia che minaccia 132.000 bambini sotto i cinque
anni e non solo.
Le bombe hanno colpito case, campi profughi e persino tende
di emergenza, cancellando intere famiglie.
La responsabilità è politica e militare!
Gli attacchi israeliani, ordinati dal governo Netanyahu,
hanno infranto più volte i cessate il fuoco, causando nuove vittime civili,
inclusi bambini.
La comunità internazionale denuncia una crisi umanitaria
senza precedenti, ma le pressioni delle lobby e degli interessi geopolitici
rendono difficile un intervento risolutivo.
Il premier
dell’Autorità Palestinese ha chiesto che Israele paghi la ricostruzione di Gaza,
sottolineando che non si può tacere di fronte a queste violenze.
Le immagini e i dati mostrano una realtà che va oltre la
politica: la distruzione dell’infanzia di un intero popolo è stata studiata e
voluta.
In definitiva, parlare di “buon senso” in questo contesto
sembra quasi un ossimoro: la guerra ha sostituito la ragione con la logica
della forza, e i bambini palestinesi ne pagano il prezzo più alto.
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