Il popolo nell’acqua calda: democrazia a fuoco lento”
Mentre le lumache bollivano e qualcuna tentava la fuga, ho colto un’immagine: i rumori mediatici, come un calore invisibile, avvolgono e guidano le menti passo dopo passo
Non so quanto ci sia di vero e quanto d’inventato nella spy
stori che ha investito il Quirinale. Qualcuno, non necessariamente
complottista, ha ravvisato una ferma e tenace linea destabilizzante per minare
le fondamenta da destra la Repubblica democratica e piegarla alla logica del
più forte che riesce a vincere le elezioni, non importa con quale maggioranza, ma
chi vince va a governare nel nome del Popolo Italiano. E noi? Noi Popolo siamo
trattati come la rana nell'acqua calda, ma anche come le lumache, poiché
entrambe si mettono sul fuoco a bollire gradatamente.
In sintesi:
la cosiddetta “spy story del Quirinale” legata al
consigliere Francesco Saverio Garofani appare, secondo molti osservatori, più
una vicenda grottesca e gonfiata dai media che un vero complotto istituzionale.
Tuttavia, il caso ha alimentato tensioni politiche e la percezione di una
strategia destabilizzante, soprattutto da parte di chi teme un indebolimento
delle regole democratiche.
Che cosa è successo davvero?
Andiamo per sommi capi:
Il “caso Garofani” nasce da una cena tra amici e da alcune frasi attribuite al
consigliere del Quirinale, poi diffuse tramite una mail anonima e pubblicate da
giornali vicini al centrodestra.
Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno chiesto le dimissioni
del consigliere, accusandolo di comportamenti “inopportuni” e di aver tramato
contro il governo Meloni.
Il Quirinale ha definito la vicenda “grottesca”, rilevando
che si trattava di ricostruzioni fantasiose e di parole mai pronunciate.
Mattarella e Meloni hanno avuto un colloquio per
disinnescare lo scontro istituzionale, evitando che la polemica
degenerasse.
Alcuni commentatori
hanno parlato di “commedia all’italiana”, più che di una vera spy story, con
elementi farseschi come mail da indirizzi improbabili e cronisti
inesistenti.
Altri hanno visto in
questa vicenda un tentativo di destabilizzazione, volto a mettere in difficoltà
il Quirinale e a rafforzare la narrativa secondo cui chi vince le elezioni
governa “in nome del popolo”, indipendentemente dai contrappesi
istituzionali.
In un Paese
“normale”, sostengono alcuni editorialisti, un consigliere coinvolto in simili
polemiche si sarebbe già dimesso. Ma c’è
da chiarire che si trattava di una sua personalissima considerazione politica
nei confronti di una sinistra che non ha una leadership travolgente al punto
tale da potere scalzare l’attuale governo con proposte, non populiste, ma
politicamente attraenti.
La metafora della rana nell’acqua calda materializza un’immagine
della rana o delle lumache messe a cuocere in acqua che bolle lentamente e
coglie bene il senso di un processo graduale:
Cioè, Il rischio percepito è che i cittadini si abituino a
piccoli scossoni istituzionali, a tensioni tra poteri dello Stato, senza
reagire. E nel frattempo la logica del più forte, cioè
chi vince governa senza limiti, può sembrare naturale se accettata passo dopo
passo, ma mina la funzione di garanzia delle istituzioni.

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